Non c’era solo la presidenza di Fincantieri, controllata di Finmeccanica, o il ruolo da tesoriere della Lega Nord, uno dei partiti più importanti e più ricchi a livello di rimborsi elettorali in Italia. Francesco Belsito, l’ex cassiere del Carroccio, cacciato il 12 aprile del 2012, indagato per appropriazione indebita e truffa ai danni dello stato da tre procure (Napoli, Milano e Reggio Calabria) prima degli scandali pensava ancora di continuare la sua carriera nella politica italiana.
Ci teneva a contare nel partito questo quarantenne dalle lauree sospette, dentro un movimento dove era apprezzato perché portava «la focaccia genovese» durante le riunioni in via Bellerio con l’ex leader Umberto Bossi. Ma soprattutto Belsito voleva entrare nelle grandi aziende statali e pubbliche, nella Rai o nella Fiera di Milano, protagonista di uno degli eventi più importanti a livello di appalti e di indotto come l’Expo 2015. E per arrivarci avrebbe avuto un metodo molto semplice: venire incontro alle richieste della famiglia Bossi e di Rosi Mauro. Sulla sua strada l’unico ostacolo era Roberto Maroni, attuale segretario, uno che con Belsito non parlava quasi mai, anzi con cui litigava spesso e volentieri.
È quanto emerge dall’interrogatorio reso dalla segretaria del Carroccio Nadia Dagrada al pm Giuseppe Lombardo della procura di Reggio Calabria che indaga sui presunti legami con la ‘Ndrangheta di Tombolotto, soprannome di Belsito. Le operazioni finanziarie in Tanzania, gli investimenti in corone norvegese e il fatto che venissero esaudite le richieste di The Family rappresentavano – secondo la Dagrada – il lasciapassare per aspirazioni più alte, dal punto di vista politico e di sistema. Sarebbero potuti magari essere «ricatti», ma resta che il potere del tesoriere di origini calabresi era enorme. «È chiaro che Belsito diventa a quel punto autonomamente forte, perché dice io nel momento in cui rendo noto anche solo uno di questi passaggi, voi siete finiti», chiede Lombardo alla segretaria amministrativa del Carroccio.
Risposta della Dagrada: «Indiscutibilmente ma lui non aveva nessun interesse a renderli perché tanto lui a ottobre voleva una nomina da qualche parte e si sarebbe tolto di torno come amministratore». Nel 2011 Belsito, dopo aver «gestito bene i soldi» (parole sue in un’intervista alla Stampa di lunedì scorso ndr), progettava di occupare nuovi posti in consigli di amministrazione di aziende pubbliche. Per questo motivo, in a cavallo tra Natale e la fine dell’anno continuava a chiedere «quando ci sarebbe stata la sostituzione della Bianchi Clerici dalla Rai». Giovanna Bianchi Clerici è sempre stata il punto di riferimento del Carroccio a Saxa Rubra. Ma in quel posto voleva arrivarci Belsito, forte della sua influenza sulla classe dirigente del Carroccio.
E in questo caso, l’ex tesoriere, non sembrava guardare in faccia nessuno, nè cerchio magico nè barbari sognanti vicini all’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni. Dice la Dagrada, interrogata: «Visto che lui come amministratore era stufo, perché all’interno del partito non era compreso, tutto il bene che lui cercava di fare e tutto quanto e pensava a un posto comunque di prestigio e a parte il Cda della Rai dove doveva essere in scadenza credo la Bianchi Clerici». Il tentativo di entrare nel board della tv pubblica emerge anche da alcune intercettazioni agli atti dell’indagine. Non solo. Oltre alla Rai, Belsito voleva ritagliarsi un posto anche in Fiera Milano, posto, che, a quanto pare doveva essere assegnato a Marco Reguzzoni che aveva da poco perso il posto da capogruppo a Montecitorio.
A Belsito del fatto che Reguzzoni fosse uno degli esponenti di punta del cerchio magico bossiano, le persone più vicine al Senatùr dopo la malattia non importava poi più di tanto. Spiega la Dagrada durante l’interrogatorio: «Parlava del Cda Fiera perché sembrava che Reguzzoni lo avesse chiesto come buona uscita per dimettersi dal Parlamento dopo che era stato eliminato come capogruppo e visto che però ormai era caduto in disgrazia completa. Lui ha detto: “invece che a Reguzzoni lo potrebbero dare a me, che di sicuro lo merito di più”».
Un posto nel consiglio di amministrazione del più importante operatore fieristico e congressuale italiano avrebbe potuto valere soprattutto nel futuro, nel 2015 per l’esattezza con l’Expo 2015. E non è un caso che le domande di Lombardo andassero a parare proprio lì. Perché da Reggio Calabria i magistrati hanno già messo gli occhi insieme con i colleghi di Milano sulle possibili infiltrazioni della ‘Ndrangheta negli appalti per l’Expo.
Ma Belsito sulla sua strada ha sempre avuto un nemico giurato. Tra le domande poste alla Dagrada dal pm ce n’è appunto una che riguarda la freddezza dei rapporti con Maroni. «Ma come era possibile» si domanda Lombardo «voglio dire che un esponente così importante come Maroni rifiutasse gli incontri con il tesoriere e il tesoriere stava là». I due non avevano rapporti. «Perché Maroni lo attaccava anche in consiglio federale», taglia corto la Dagrada.