Far saltare una banca sembra molto più semplice che farla. In entrambi i frangenti i toscani appaiono maestri. Mai tante banche sono state fondate in Toscana, e mai così tante sono state viste tramontare. Le città toscane si sono passate il testimone del credito l’una con l’altra proprio a causa dei fallimenti: a Lucca è succeduta Siena che poi ha ceduto il posto a Firenze (e quindi sono arrivati i Fugger e la finanza ha passato le Alpi).
Il primo grande fallimento toscano che la storia registri è quello dei lucchesi Ricciardi. Lucca tra XII e XIII diventa la capitale del credito, favorita dal fatto di trovarsi sulla via Francigena, ovvero lungo i 1600 chilometri che i pellegrini percorrono per andare da Canterbury a Roma. Nella facciata della cattedrale di San Martino nel 1111 viene inciso il giuramento, ancor oggi visibile, con cui cambiavalute e speziali si impegnano a non commettere frodi. Nella piazza finanziaria lucchese si distinguono i Ricciardi, la loro compagnia risulta essere la più importante. Il primo documento che la nomina è del 1231, una sessantina d’anni più tardi quello che nel frattempo è diventato uno dei più importanti istituti di credito d’Europa, con filiali in Italia, Francia, Fiandre, Inghilterra, Irlanda e Norvegia crolla. I sequestri quasi contemporanei attuati da Edoardo I in Inghilterra e da Filippo il Bello in Francia dei beni della banca, uniti alla richiesta di rientro dei depositi da parte di Bonifacio VIII provocano il fallimento della banca nel 1296.
Due anni dopo saltano pure i Bonsignori di Siena. La Gran Tavola di Orlando Bonsignori è senza dubbio il più importante istituto di credito dell’epoca, con filiali a Genova, Bologna, Pisa, Parigi e Londra. Linkiesta si già occupata di questa storia. Qui basterà ricordare che mentre Lucca perde definitivamente il suo ruolo nella storia del credito, Siena invece resiste. Continueranno a esserci banche senesi e il Monte dei Paschi, seppur di un paio di secoli più giovane (è stato fondato nel 1472) è il continuatore della tradizione arrivato fino ai nostri giorni.
Il primato però, nel Trecento passa da Siena a Firenze: nel 1338 sono presenti ben ottanta banchi. Non che non ci fossero banchieri fiorentini anche in precedenza, ma erano messi nell’ombra dalla grandezza dei senesi in genere e dei Bonsignori in particolare.
Ora viene il turno dei Bardi e dei Peruzzi che fino alla metà dei XIV secolo sono gli istituti più importanti. Nessuno, in Italia, raggiungerà mai le loro dimensioni, neppure i Medici. I Bardi, i più grandi dei due, hanno 346 dipendenti e contano su undici uffici con magazzini in Italia, e quattordici all’estero, da Londra ad Alessandria d’Egitto, passando per Costantinopoli. Ancora una volta è il re d’Inghilterra a far saltare i banchi.
Di nuovo un Enrico, questa volta III, si rifiuta di restituire i crediti ottenuti, utilizzati soprattutto per muovere guerra alla Francia (è l’inizio della guerra dei Trent’anni). I Peruzzi falliscono nel 1343 per la somma colossale di 600 mila fiorini, i Bardi seguono nel 1346 con un fallimento addirittura superiore, 900 mila fiorini. In tutto fa un milione e mezzo di fiorini, ovvero l’un per cento dell’intero circolante in Europa. Crollano «le colonne del commercio cristiano» come li definisce Giovanni Villani, il cronista fiorentino per qualche tempo socio dei Peruzzi. Linkiesta si è già occupata pure di questo fallimento, che ne trascina con sé vari altri, come quello del banco Acciaiuoli, per esempio.
Ma questa volta non è solo il crollo delle banche a scuotere la città dalle fondamenta. Anzi, l’incredibile susseguirsi di un disastro dopo l’altro fa sì che i fallimenti bancari sembrino alla fin fine i mali minori. Infatti verso metà Trecento si assommano il rincaro dell’argento che provoca un esodo di metalli preziosi verso il Medio Oriente, una carestia e infine la terrificante Peste Nera del 1348, che dimezza la popolazione fiorentina (e dell’intera Europa). Firenze passa da 85-90 mila abitanti a 40-45 mila. Il botto è talmente rumoroso che per una cinquantina d’anni nessuno è in grado di prendere il testimone del credito abbandonato dai Bardi e dai Peruzzi.
Lo faranno i Medici, quando Giovanni di Bicci, nel 1397, fonda il banco che prende il nome dalla famiglia. La loro banca non raggiungerà mai le dimensioni dei predecessori, in compenso sarà la famiglia ad agguantare il primato, aggiudicandosi la signoria di Firenze. La meraviglia della Firenze che conosciamo oggi è in gran parte dovuta alla munificenza di queste grandi dinastie di banchieri: i Bardi fanno decorare da Giotto la loro cappella all’interno della basilica di Santa Croce, i Medici chiamano a Firenze i più grandi artisti del Rinascimento. Accanto ai Medici si segnalano altre dinastie di banchieri, su tutte gli Strozzi, tanto che il loro palazzo fiorentino sarà preso come modello dagli architetti americani che, nel 1924, costruiscono la sede newyorkese della Federal Reserve, in Liberty Street.
Il banco Medici non fallisce, ma chiude quando la famiglia granducale viene scacciata da Firenze, nel 1494. C’è da dire che era però ridotto al lumicino, compromesso soprattutto dalla cattiva gestione di Lorenzo che era stato sì Magnifico come signore della città, ma davvero pessimo come banchiere. I toscani lasciano il passo ai tedeschi, ora sono i Fugger a espandersi e ingrandirsi e, come in una specie di contrappasso, assumono nella loro sede di Anversa (la più importante) numerosi impiegati provenienti dall’ormai chiuso banco Medici.