Un’alleanza di governo seria, stabile, affidabile. I leader del centrosinistra presentano alla stampa la coalizione dei progressisti. Per proporsi alla guida del Paese Pier Luigi Bersani, Nichi Vendola e Bruno Tabacci scelgono la piccola sala di un noto albergo romano. L’obiettivo è quello di rassicurare gli italiani: il centrosinistra è pronto per governare. Nessun rischio di una nuova Unione. Nessuna incompatibilità tra i partiti alleati. La dimostrazione? I tre dirigenti puntano sulla strategia dell’usato sicuro (per usare le parole di Matteo Renzi). «La nostra non è una coalizione costruita in vitro» specifica Bersani. L’intesa esiste già da tempo in diverse amministrazioni locali. E non è destinata a implodere. «Lasciare Vendola? – dice a un certo punto il segretario Pd – Se lo tolgano dalla testa».
Nella piccola sala Pavillon della Residenza di Ripetta, a due passi da Piazza del Popolo, i leader del centrosinistra sono costretti a stringersi. Lo spazio è poco, i giornalisti e gli operatori troppi. E così per prendere la parola in favore di telecamere, Bersani, Vendola e Tabacci devono scambiarsi di posto. Prendendo la parola a turno davanti ai microfoni. Defilato c’è Giacomo Portas, leader dei Moderati. Manca, invece, il rappresentante della pattuglia socialista Riccardo Nencini. Cinque sigle e due grandi partiti, l’alleanza di centrosinistra è tutta qui. Segno che l’esperienza dell’ultimo governo Prodi – e l’impossibile coesistenza di decine di movimenti politici – ha insegnato qualcosa. Gli italiani che andranno a votare troveranno sulla scheda «solo tre simboli», precisa Tabacci. «Questa non è l’Unione».
Il messaggio principale è legato alla governabilità. Un continuo richiamo all’affidabilità e all’unità del centrosinistra. Bersani non risparmia un velenoso suggerimento agli avversari. «Noi la facciamo la foto di gruppo», spiega il segretario rispolverando un cliché non troppo fortunato (chi ha dimenticato le polemiche sull’intesa con Di Pietro e la discussa foto di Vasto?). «Ma vorrei invitare Mario Monti a fare una foto con Fini e Casini. Ingroia a farsi fotografare con Ferrero e Di Pietro. E Berlusconi con Storace e Maroni. Così almeno la gente vede».
Bersani difende il fronte dei progressisti. «Questa è una coalizione che non nasce oggi» spiega il segretario. È un’alleanza vera. Non «costruita in vitro», al contrario di altri. «Io e Sel saremo un fattore di stabilità» conferma Nichi Vendola. La conferenza stampa dura meno di un’ora. Ma c’è tempo per tornare più volte sull’argomento. Bersani ricorda che i protagonisti del centrosinistra già governano insieme e «reggono grandi amministrazioni». Vendola presenta orgoglioso i dati del suo governo in Puglia. «Otto anni e mezzo esempio di stabilità e capacità di governo, sotto qualunque indicatore economico». Anche Tabacci, ex assessore al Bilancio al Comune di Milano, ci tiene a ricordare la sua esperienza al fianco di Giuliano Pisapia. «E molti dicevano che era un sovversivo» scherza. «Un sovversivo come Vendola».
Il rischio scissioni non esiste. Gli italiani che votano centrosinistra posso stare tranquilli. Bersani ricorda più volte che alla base dell’accordo politico c’è un documento – Italia Bene Comune – sottoscritto da tutti i presenti. Il patto rappresenta una reciproca cessione di sovranità. Se nella prossima legislatura ci faranno divergenze politiche, saranno affrontate insieme. Durante le riunioni congiunte dei gruppi. E la linea che ne uscirà sarà univoca. «Ascolto e mediazione – racconta Vendola – sono due parole che vanno recuperate alla nobiltà della politica»
Tanti i riferimenti a Mario Monti. Non tutti positivi. Le polemiche su un presunto accordo post elettorale hanno lasciato il segno. Dopotutto siamo in campagna elettorale: Bersani ha la necessità di sottolineare le differenze con il Professore. E allora il segretario Pd torna a parlare della politica capace di avere «feeling e sentimento» con il Paese. Di leader in grado di guardare gli italiani «all’altezza degli occhi, non dall’alto». Tabacci sottolinea il limite del progetto politico montiano. «Monti e Casini scommettono sullo stallo al Senato. Questo non è un programma di governo serio». Vendola – il più distante dal Professore – incalza: «A volte non riesco proprio a vedere il liberale che c’è in Monti. Penso al tema dei diritti civili…».
Porte chiuse al presidente del Consiglio? Non proprio. Bersani non si preclude una fase di «dialogo e discussione» dopo il voto. Un confronto che ovviamente non coinvolgerà Silvio Berlusconi e i rappresentanti della «destra populista», ma dovrà tener conto dell’alleanza politica costruita attorno alla figura del premier. Dialogo, ma nessun compromesso. «Chi vince ha la barra della politica» ammonisce Bersani. Non si può andare oltre gli impegni già stabiliti. «Se la vittoria del centrosinistra sarà dimezzata – spiega Vendola – chiedo a Bersani di presentarsi alle Camere con il nostro programma e vedere lì se ci saranno alleati». Insomma, «sono vincolato all’agenda di governo che ho firmato».
L’alleanza di centrosinistra non è in discussione. Neppure se per governare fossero necessari i voti di Monti, Fini e Casini. Al giornalista che gli chiede se sarebbe disposto a mollare Sel per guardare al centro dello schieramento, Bersani risponde convinto: «Non esiste. Qui siamo persone serie. Ci si levi dalla testa il venir meno l’impegno che abbiamo preso con Vendola».
Ma non c’è solo Monti. Bersani si ritaglia un piccolo spazio per tornare sulle polemiche legate al Monte dei Paschi di Siena. «Al Pd non ci occupiamo di banche. Facciamo politica» alza la voce il candidato premier. «Nessun imbarazzo, solo preoccupazione». Non manca qualche frecciata ad Antonio Ingroia. L’altro avversario, forse quello più inatteso all’inizio della campagna elettorale. In alcune regioni Rivoluzione civile rischia di intercettare i voti necessari per superare il centrodestra. «Alla mia sinistra e alla mia destra vedo rivoluzioni che puzzano di antico. Perché le rivoluzioni fatte solo da maschi sono incivili» dice Vendola, criticando la scarsa presenza femminile nelle liste dell’ex procuratore di Palermo. Bersani punta ancora sul voto utile. «I voti sono tutti utili – esordisce – Ci sono quelli utili per testimoniare, per protestare. Ma per battere la destra e vincere c’è solo quello per noi. È una questione di gusti».
Monti da una parte, Ingroia dall’altra. E se fosse necessario coinvolgere uno dei due movimenti per governare il Paese? Quale sarebbe la scelta migliore? Bersani quasi si stupisce. «E se vincessimo noi? Io sono convinto che siamo nella condizione di vincere. Poi discuteremo con tutti».