Ha confessato. Se non tutto, molto. Ha pianto e chiesto scusa a Livestrong, la fondazione da lui voluta per combattere il cancro e dare una speranza a chi nel mondo lotta quotidianamente contro il male del Secolo. Avrebbe detto tutto nelle due ore d’intervista concessa a Oprah Winfrey e registrata (andrà in onda in forma integrale giovedì e venerdì su DMax) questa notte ora italiana.
Liestrong, la grande bugia di Lance Armstrong ora pare essere chiara e manifesta. Il grande inganno smascherato, una volta per tutte. Ma non tutti al momento hanno pagato. Non tutti hanno ancora ammesso le loro colpe. Il texano è stato messo spalle al muro dalla giustizia americana, che si è avvalsa della fondamentale collaborazione di un pm italiano, BenEdetto Roberti. Ma se è vero quanto sta trapelando dagli States, Armstrong avrebbe chiamato in causa anche i vertici dell’Unione ciclistica internazionale, il governo mondiale del ciclismo, reo di averlo difeso e protetto in questi anni perché la sua storia di miracolato dello sport era troppo preziosa da essere dissipata. La questione, quindi, non deve riguardare solo il corridore, i suoi compagni di squadra e parte del suo staff, ma tutti quelli che hanno partecipato attivamente al grande inganno: ad incominciare da Uci e Aso, l’ente che ha il compito di organizzare Tour de France, la più grande corsa a tappe del pianeta.
Armstrong per il ciclismo degli ultimi quindici anni è stato molto, per non dire tutto. Tornano alla mente le paroledi Marco Pantani, che non ha mai nascosto la propria idiosincrasia per il corridore americano. «Io non credo che un Armstrong sia mai andato sulla luna, figuriamoci se credo a Robocop…», diceva il romagnolo, che non sopportava nemmeno quando Lance lo chiamava “elefantino” e i loro rapporti si erano irrimediabilmente rovinati quando sul Mont Ventoux il texano fece capire di averlo lasciato vincere «per una pura questione umana…».
Armstrong in quegli anni poteva fare e dire di tutto quello che riteneva più utile. Era il vero padrone del ciclismo e sul piedistallo ce l’avevano messo l’Uci e lo stesso Tour de France, che si è affrettato a cancellare il texano dall’albo d’oro, lasciando colpevolmente iscritto però, il nome di un reo confesso come Bjarne Riis.
Armstrong chi? Nessuno più lo conosce. Nessuno più vuole avere rapporti con uno che è stato certamente simbolo di forza ma anche e soprattutto d’arroganza. L’amico dei repubblicani. L’amico di George W Bush. L’amico di tanti politici e tante star di Hollywood. Colui che sognava di entrare in politica e correre un giorno per la poltrona di Governatore del Texas e perché no? magari in seguito puntare anche alla Casa Bianca. Al Tour aveva fatto molto comodo come a tutto il ciclismo, per accelerare la mondializzazione di uno sport che storicamente era di matrice europea. Grazie a lui in Francia sono arrivati inviati da tutto il mondo, soprattutto da quella parte di terra dove la lingua madre è l’inglese e non il francese, che per lo sport del pedale è stata la lingua di riferimento fino a solo dieci anni fa.
Alla Grande Boucle sono diventati degli habituè i cronisti del New York Times, del Financial Times, del Wall Streat Journal, ma anche gli inviati di reti televisive prestigiose come quelli della CNN o della CBS non hanno perso una tappa della Grande Boucle targata Armstrong . Era il re assoluto e incontrastato, Lance. Temuto e idolatrato. Ha avuto per molto tempo le chiavi di casa del ciclismo, nella cui casa è entrato e uscito a suo piacimento, senza dover mai chiedere il permesso. È stato l’amico di tanti potenti dello sport mondiale, e si era persino permesso di donare all’Uci 100 mila euro nel 2000 per comprare dei macchinari antidoping e l’Uci, a sua volta, non aveva provato il benché minimo imbarazzo.
Armstrong è stato il tutto, ora è niente. Si merita di pagare profondamente per il grande inganno perpetrato negli anni, ma i dirigenti del ciclismo mondiale, e anche quelli della più importante corsa del mondo, non possono fare finta di niente. Non possono uscirne da verginelle. Tutto quello che ha fatto Armstrong è stato possibile perché qualcuno gliel’ha permesso.
E in questo scenario, come può continuare a fare finta di niente il Cio, il governo mondiale dello sport, a cui deve rispondere l’Uci e al quale non è stato per il momento chiesto ancora nulla. Anzi, la cosa grottesca e raccapricciante è che l’Uci ha dato mandato ad una commissione indipendente da lei nominata, di indagare sul pro proprio operato, in perfetto stile Uci, che tutto controlla e tutto dispone. Controllore e controllato, giudicante e giudicato. Per anni abbiamo gridato allo scandalo per l’uso politico dell’antidoping. Per anni abbiamo chiesto a gran voce che l’antidoping fosse gestito da un ente terzo, super-partes, lontano dall’Uci e vicino alla Wada, il governo mondiale dell’antidoping. Appelli caduti nel vuoto. Nel silenzio. Lo stesso che accompagna ancora oggi tutta questa vergognosa vicenda. Rotta questa mattina da un comunicato stampa che era meglio non leggere.
«L’Uci si asterrà da qualsiasi commento relativo a Lance Armstrong fino al momento in cui non avrà visto l’intervista da lui concessa a Oprah Winfrey. L’Uci prende atto delle speculazioni dei media a proposito di questa intervista avrebbe confessato e ammesso di essersi dopato nel corso della sua carriera. Se queste affermazioni si rivelassero esatte, l’Uci incoraggia con forza Lance Armstrong a testimoniare davanti alla Commissione Indipendente costituita per indagare sui comportamenti dell’Uci nel quadro della decisione presa dall’Usada». Applausi.
*Pier Augusto Stagi – direttore di tuttoBICI e tuttobiciweb.it