Il 12 gennaio di tre anni fa un terremoto di magnitudo 7 ha sconvolto Haiti. Una stima prudente calcola in oltre 250mila le vittime del sisma, ma a queste si devono sommare tutte quelle causate anche dal colera, una malattia infettiva che ha trovato nei campi di senzatetto e nelle difficili condizioni igieniche il terreno ideale per propagarsi. Secondo Joan Arnan, capomissione di Medici Senza Frontiere nel Paese, a luglio del 2012 le vittime del colera nel paese caraibico erano già oltre 7mila, ma i contagi stimati erano oltre 500mila. Numero che non ha potuto far altro che aumentare al passaggio degli uragani Sandy e Isaac.
La strada migliore per cercare di limitare i contagi è riuscire a vaccinare la popolazione, ma si tratta di un’operazione difficile in un paese in cui le persone senza casa sono ancora centinaia di migliaia e dove, ancora secondo Arnan, solo l’1% di queste ha ricevuto il sapone per potersi lavare, i costi sono un problema a volte praticamente insormontabile.
Riuscire a ottimizzare le operazioni, vaccinando il minor numero di haitiani per ottenere il massimo risultato di contenimento delle epidemie è il problema che hanno studiato Glenn Morris e i suoi colleghi dell’Università della Florida. Con il loro modello matematico hanno potuto calcolare che per fermare i contagi sarebbe sufficiente vaccinare il 46% della popolazione. «Non è necessario vaccinare tutti», ha spiegato Morris ai media. «Una percentuale di vaccinati tra il 40 e il 50% potrebbe essere sufficiente per mettere sotto controllo le successive ondate di colera». Ovvero abbassare sufficientemente il tasso dei contagi da individuo a individuo in modo da far progressivamente sparire la malattia. Usare modelli matematici applicati allo studio delle epidemie non è una novità assoluta, ma colpisce i non addetti ai lavori lo sguardo apparentemente cinico, quasi da contabile, che riesce a dare su di una situazione in realtà drammatica, dove il sistema sanitario nazionale è ancora oggi definito «devastato».
Ad Haiti i dati per costruire il modello di Morris e colleghi sono stati raccolti da Nazioni Unite e dalle varie ong che operano sul territorio. «In tutte le epidemie quello che conta sono le interazioni umane», spiega Daniela Paolotti della Fondazione ISI di Torino: attraverso di esse gli agenti patogeni passano da un essere umano a un altro. Conoscere e riuscire a modellizzare come ciò accada signifca conoscere come si diffondono virus e batteri in una popolazione. In casi meno complessi di quello haitiano, il web è uno strumento potentissimo per raccogliere i dati. La Fondazione ISI ha lanciato da diversi anni un progetto, Influweb, di cui la Paolotti è project manager, che raccoglie informazioni sull’influenza stagionale attraverso semplici questionari online.
Modelli costruiti su queste basi hanno già mostrato di essere molto efficaci, come nel 2009, quando l’Europa fu colpita dal virus H1N1, la cosiddetta «suina». L’influenza ha un andamento stagionale piuttosto ben noto, ma i ricercatori di un progetto britannico simile a Influweb, sono riusciti a prevedere che il picco di contagi di H1N1 sarebbe stato attorno alla metà di novembre e non, come normalmente accade, nel periodo gennaio-febbraio. Il web, assieme ai modelli matematici, ha fatto meglio della rete di medici-sentinella, ovvero di quei medici di base che sparsi sul territorio informano il sistema sanitario dei casi di influenza.
«Conoscere quando l’influenza colpirà maggiormente nel breve periodo», continua Daniela Paolotti, «significa poter allocare posti letto negli ospedali, organizzare la distribuzione di medicinali specifici e in generale avere un sistema nazionale pronto a intervenire per contenere il contagio». Dal novembre dello scorso anno i dati raccolti da Influeweb, che si basa sulla dichiarazione dei sintomi da parte dei propri utenti, sono entrati a far parte del bollettino di informazione epidemiologica redatto dal ministero della Sanità e dall’Istituto Superiore di Sanità. Non solo, perché il monitoraggio italiano ora è in rete con quello di altri paesi europei.
«L’Italia, assieme a altri 8 paesi, fa parte del network di Influenzanet, un monitoraggio europeo che condivide metodi e obiettivi», racconta Daniela Paolotti, «cosa che rende per la prima volta davvero confrontabili i dati dei diversi paesi». Piattaforme come queste stanno avendo grande successo perché il web permette di raccogliere in modo semplice ed economico enormi quantità di dati da elaborare, permettendo di migliorare sempre di più la risposta dei sistemi sanitari di fronte a un’epidemia di qualsivoglia tipo. Ne è un esempio Epiwork.eu che non si limita alla sola influenza, ma allarga studio e previsione epidemiologica alle malattie infettive in generale.
Questi esempi sembrano dire che la scienza oggi è in grado di fornire tecnologie che allontanano gli scenari più apocalittici. Lo ha raccontato in modo romanzato Contagion di Steven Sodereberg, film del 2011 in cui l’umanità doveva fronteggiare un’epidemia letale modellata proprio su quella di suina di due anni prima. Al cinema le cose finiscono abbastanza bene, e piuttosto velocemente. Nella realtà, oltre ai virus e ai batteri, ci sono anche i terremoti e gli uragani che mettono in ginocchio i paesi poveri come Haiti, mettendo sotto stress qualsiasi modello e piano di intervento.