“Il ministero dà pieni poteri ai baroni universitari”

“Il ministero dà pieni poteri ai baroni universitari”

Per avere un’idea concreta di quanto mal amministrata sia la politica del merito nelle nostre Università, basta leggere attentamente quanto un documento stilato da alcuni colleghi di varî Atenei, e sottoscritto da numerosi studiosi di vaglia indiscussa (tra cui si annoverano parecchi Accademici dei Lincei), denuncia; tra i firmatarî si annoverano Carlo Ginzburg, Adriano Prosperi, Cesare Segre, Luca Serianni, Salvatore Settis, Alfredo Stussi (mi limito a pochi nomi più prossimi ai miei campi di ricerca, ma è ben noto il prestigio scientifico di tutti coloro che hanno sottoscritto, escludendo chi firma questa nota).

Richiamo brevemente l’attenzione, per coloro che fossero meno addentro alle logiche ministeriali, su un fatto che peraltro mi pare del tutto evidente. Chi non fosse in grado di proporre progetti dotati di «visibilità» e «attrattività» (stesse in me, mai accetterei di promulgare alcun atto ufficiale che si esprimesse in modi così rozzi e approssimativi; ma quale lingua parlano simili legislatori?) sarebbe tagliato fuori automaticamente da qualsiasi bando, che dovrebbe essere invece pensato allo scopo di premiare il merito oggettivo delle singole ricerche.

Lascio inoltre immaginare, visto l’altissimo potere di discrezione conferito alla fase di preselezione e al rettore (il quale ultimo nomina il comitato di preselezione), quale speranza di successo potrebbe mai avere un progetto ideato da chi si fosse solo azzardato a disturbare il manovratore.

A parte il caso personale (chi scrive ha più volte, e invano, chieste le dimissioni del proprio rettore, Luigi Frati, “convivente” nella stessa Università con tre familiari stretti e un nipote, sarà meglio si levi ogni fantasia in merito), non sfuggirà a nessuno come il bando, concepito in modo aberrante e formulato secondo logica deplorevole, sia funzionale a un’Università che tenda a perpetuare se stessa, nella più classica tradizione di un’istituzione vecchia e ormai morta (anche se affetta di non saperlo): non c’è che dire, proprio la ricetta che occorre per rendere il nostro Paese “competitivo”, secondo ogni momento viene strombazzato in via ufficiale. Largo ai giovani! risuona impavida la dichiarazione dei responsabili. Infatti; ecco qui sotto il documento: 

Per il diritto ad una libera ricerca scientifica nell’Università italiana.

Il 28 dicembre 2012 è stato pubblicato il bando PRIN 2012 (D.M. n. 957/ric.), sigla che sta per «Progetti di Rilevante Interesse Nazionale». In questi ultimi anni, in cui i fondi per la ricerca derivati dal bilancio ordinario delle Università si sono drasticamente ridotti, in molti casi addirittura azzerati, si tratta di una delle poche fonti di finanziamento accessibili agli studiosi italiani per sviluppare liberamente le proprie ricerche e pubblicarne i risultati.

Come nel bando 2010-2011, la procedura valutativa è suddivisa in due fasi, l’una di competenza locale (la cosiddetta “preselezione”), l’altra di spettanza ministeriale (la valutazione nazionale). Già l’istituzione di una prima fase gestita dai singoli Atenei (voluta dal ministro Gelmini e ora confermata dal ministro Profumo) appare criticabile perché in sé pregiudizievole per una libera competizione in campo scientifico. Ma il nuovo bando, rispetto al dettato del precedente, introduce altri elementi, a nostro giudizio, assai negativi, che sono in rapporto proprio con il singolare concetto di preselezione. Tra questi, per il potenziale effetto nefasto sull’intera ricerca universitaria italiana, segnaliamo quel che si mette nero su bianco nel c. 7 dell’art. 4: Ogni università, tramite un proprio “comitato di preselezione” (nominato con decreto rettorale e costituito da docenti di ruolo della stessa università non partecipanti ai progetti del presente bando) assume la piena responsabilità di definire l’elenco delle proposte preselezionate […]; a tale scopo, ogni università, entro l’11 febbraio 2013, provvede a predefinire e rendere pubblici i propri criteri di preselezione, tenendo conto sia degli aspetti di natura strategica (opportunità di assicurare una congrua ripartizione delle proposte preselezionate tra i tre settori ERC […]; possibili ricadute in termini di visibilità, attrattività, competitività internazionale; potenzialità di attivazione di interazioni con soggetti imprenditoriali e/o con altri organismi di ricerca pubblici o privati, anche internazionali; ecc.), sia del punteggio medio conseguito da ogni proposta.

In ciascun Ateneo, dunque, la procedura di preselezione sarà affidata al controllo di un comitato nominato mediante un decreto rettorale, riconducibile perciò, in definitiva, ad un organo di governo monocratico, non collegiale (come per es. il Senato Accademico): in questo modo la scelta delle linee di ricerca prioritarie verrà a dipendere dai rapporti di forza esistenti all’interno di ciascun Ateneo, i quali per di più, in conseguenza di un inevitabile circolo vizioso, tenderanno a perpetuarsi e a cristallizzarsi nel tempo. Inoltre, ed è un fatto d’inaudita gravità, si specifica che i criterî di preselezione che ogni Università è chiamata a darsi dovranno tener conto non solo della qualità scientifica dei progetti (misurata dal «punteggio medio» assegnato dai revisori) ma anche degli «aspetti di natura strategica», vale a dire politica o d’immagine, come le «possibili ricadute in termini di visibilità, attrattività, competitività internazionale» dell’Ateneo o le eventuali «interazioni con soggetti imprenditoriali».

Orbene, se non è detto che tra il concetto di qualità scientifica e quello di «visibilità» o «attrattività» sussista un’insanabile e connaturata contraddizione, nel senso che si possono ben dare progetti ottimi sotto il rispetto scientifico e al tempo stesso fortemente «attrattivi» e «visibili», è d’altro canto evidente che con l’esplicitazione di un criterio di natura «strategica», ovvero politica, si introduce un elemento estraneo e potenzialmente distorsivo in un àmbito in cui dovrebbe contare soltanto la qualità scientifica; senza dire che progetti di ricerca in apparenza poco «visibili» (ma per chi? per la comunità degli studiosi, per gli studenti, per i media?), proprio in forza della fecondità e imprevedibilità intrinseche alla libera ricerca scientifica, possono arrivare a risultati visibilissimi e di un’«attrattività» addirittura magnetica.

Considerando poi la questione in una più ampia prospettiva europea, alla quale il bando ministeriale fa continuo riferimento richiamando istituzioni come l’European Research Council (ERC) e i suoi àmbiti disciplinari, va detto che i criterî appena discussi tradiscono completamente lo spirito dell’ERC: nei bandi ERC non c’è infatti traccia dell’istituto della preselezione, né a livello di singolo Ateneo né a livello nazionale; né vi si trova accenno ai concetti di «visibilità», «attrattività» e simili, dal momento che in tali bandi si fa esclusivo riferimento alla bontà del progetto e alla qualificazione scientifica del coordinatore (il «Principal Investigator»). Il motto dell’ERC è infatti «Excellence is the sole criterion of evaluation», e solo questo criterio «will be applied to the evaluation of both the Principal Investigator and the research project in conjunction».

Queste ultime considerazioni ci riportano alla questione di principio: con il bando PRIN il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, operando nell’interesse generale, dovrebbe assegnare soldi pubblici alle migliori proposte nazionali di ricerca, non finanziare iniziative, pur di rilievo scientifico, che assicurino «visibilità» e «attrattività» ai singoli Atenei o interagiscano con gli imprenditori di questa o quella provincia d’Italia, magari a scapito di progetti eccellenti ma, almeno sulla carta, poco «visibili». Più in generale, è evidente che con questa nuova versione del bando PRIN, consonante del resto con alcune recenti disposizioni legislative che incrementano l’influenza della politica e del cosiddetto “territorio” sull’Università (L. 240/2010, art. 2, c. 1, lettere h e i), si viene a ledere – non solo in prospettiva ma già oggi – l’effettività del diritto alla libera ricerca scientifica, affermato a chiare lettere nella nostra Costituzione (artt. 9 e 33).

Per tutti questi motivi noi, firmatari di questa lettera, leviamo la nostra ferma voce di protesta e invitiamo il Ministero a riformulare il bando PRIN 2012, presentandone un testo che sia fedele al principio dell’interesse nazionale della ricerca italiana.

Seguono oltre 700 firme (alla data di oggi, 10 gennaio 2013). Chi fosse desideroso di sottoscrivere può farlo al sito: www.petizionepubblica.it (dove esso figura in evidenza tra le “principali petizioni attive”).