In campagna elettorale si parla più di fascismo che di lavoro

In campagna elettorale si parla più di fascismo che di lavoro

Una campagna elettorale all’avanguardia. Un confronto schietto tra i partiti sui temi della modernità e del futuro. Scandito da accuse di fascismo, omaggi al Duce e nostalgiche candidature.

Evidentemente l’Italia non ha altri problemi. L’attualità dei nostri politici e dei loro esperti di comunicazione si misura anche così. E dal 2013 si torna dritti al ’46. Difficile dire se il problema sia più profondo, legato a un Paese privo di una storia condivisa. Oppure se a mancare siano proprio gli argomenti. Intanto questo è quello che accade:

Alla disperata ricerca di allargare il proprio consenso, pochi giorni fa l’ex premier Silvio Berlusconi è tornato sul tema. Al termine di una visita al nuovo memoriale della Shoah di Milano, proprio durante la Giornata della Memoria, il Cavaliere ha pensato bene di riabilitare Benito Mussolini. Perché sì, va bene, le leggi razziali, ma il Duce «per tanti altri versi ha fatto bene». Giusto? Sbagliato? Sicuramente pretestuoso.

Al coro sdegnato di tanti esponenti politici è seguito, ieri, il duro monito del capo dello Stato. Giorgio Napolitano è intervenuto nel dibattito per assicurare che «nel Paese c’è la consapevolezza dell’aberrazione introdotta dal fascismo con l’antisemitismo e l’infamia delle leggi razziali». Ma anche la «necessità di tenere alta la guardia, di vigilare contro persistenti e nuove insidie di negazionismo e revisionismo».

Per carità, nulla da eccepire. Ma è curioso che a meno di un mese dal voto lo scontro politico sia incentrato su una materia che, settant’anni dopo, dovrebbe essere prerogativa degli storici. Tant’è, in questa campagna elettorale dare dal fascista è tornato di gran moda.

Fascista è Beppe Grillo. Ce l’hanno spiegato un po’ tutti, a partire dal segretario democrat Pier Luigi Bersani. Fascista la sua comunicazione sulla rete, fasciste le sue “epurazioni” dal Movimento Cinque Stelle. «Il qualunquismo parte da qualsiasi luogo ma arriva sempre a destra – ha spiegato Bersani parlando del blogger genovese – fa tutta la sua strada e arriva a delle posizioni fascistoidi».

Fascista, un po’ a sorpresa, è Mario Monti. Parola dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che poche ore fa se l’è presa con il Professore: «Quando Monti dice: “se perdo le elezioni lo spread sale”, è inaccettabile. Dobbiamo farci dire dai tedeschi come si vota in Italia? Monti ha detto una cosa tipicamente fascista». D’altronde una settimana fa era stato proprio Berlusconi a sottolineare lo stretto legame tra Monti e Mussolini. Il governo tecnico avrebbe avuto persino più poteri del ventennale esecutivo del Duce, perché ha potuto ricorrere abbondantemente alla decretazione d’urgenza.

Ma fascisti sono persino i dirigenti del Partito democratico. Ecco il paradosso. Lo ha spiegato il leader radicale Marco Pannella. Quando Nicola Zingaretti ha posto come condizione dell’alleanza alle Regionali del Lazio la non ricandidatura dei consiglieri uscenti, Pannella ha accusato senza mezzi termini «le condizioni ricattatorie di stampo fascista e nazista» del dirigente Pd.

Nel frattempo si riapre il dibattito sull’opportunità di concedere rappresentanza democratica ai partiti che nel fascismo troverebbero ispirazione. È il caso di CasaPound. In tanti puntano il dito contro il movimento, richiamando più o meno a sproposito la Costituzione italiana. E quella dodicesima disposizione transitoria – che a sessantacinque anni di distanza non vuole saperne di transitare – sul divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista.

Il tema evidentemente ancora divide. E tira. Non è un caso, forse, se sulle schede elettorali gli italiani troveranno addirittura due Mussolini. La più famosa è Alessandra, nipote del Duce, candidata dal Popolo della Libertà in Campania. In corsa per un posto al Senato. La meno celebre è Edda Negri Mussolini, altra nipote del fondatore del fascismo, inserita in Emilia nelle liste di Futuro e Libertà.

La crisi economica, il lavoro, le riforme costituzionali. Di fronte a un tema così attuale passa tutto in secondo piano. E il dibattito sul fascismo è destinato a proseguire. Il prossimo 10 febbraio si celebrerà “il Giorno del ricordo”. La discussa ricorrenza – basta rileggere i resoconti parlamentari di qualche anno fa – in memoria degli italiani sterminati nelle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata. Un appuntamento istituito solo pochi anni fa. Che rischia di caratterizzare un altro passaggio importante della campagna elettorale. 

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