J.P. Morgan va sotto processo per quel buco da 6 miliardi di dollari

J.P. Morgan va sotto processo per quel buco da 6 miliardi di dollari

Il colpo è di quelli duri da ricevere. Non da ko, ma comunque pesante. Eppure, secondo i bene informati, Jamie Dimon non ha quasi mosso ciglio. Del resto, sapeva già a cosa stava andando incontro. La sua banca, J.P. Morgan, ha peccato di presunzione e dovrà pagare per questo. La Financial services authority, l’organo di vigilanza finanziaria britannico, ha deciso di aprire formalmente un’inchiesta su cosa ha combinato la “London whale”, la balena londinese che ha provocato perdite per circa 6,2 miliardi di dollari a una delle regine di Wall Street. E azioni analoghe sono arrivate anche dall’altro versante dell’Atlantico.

«Non è possibile che siano state aperte posizioni così grosse senza che qualcuno se ne sia reso conto». È questo quello che aveva detto Hector Sants, amministratore delegato della Fsa fino al giugno scorso. Parole condivise anche a Lord Adair Turner, presidente della Fsa. Un mese prima, banca statunitense comunicò al mondo intero che un suo trader dei floor londinesi, Bruno Iksil, aveva assunto posizioni talmente grosse da mette a rischio l’intera banca. Posizioni che poi lasciarono perdite per poco più di 6 miliardi di dollari. Il tutto ruotava intorno a un indice di derivati, il Markit CDX North America Investment Grade Series 9 10-Year Index, nome in codice CDX IG 9. La “London whale”, Iksil appunto, continuò ad agire, ad aprire trade su trade. E le potenziali perdite erano ripianate da altre operazioni che, in teoria, doveva essere funzionali a rientrare delle perdite. J.P. Morgan se n’è accorta troppo in ritardo. Il resto è storia.

Dalla Fsa non ci sarà alcuna investigazione informale, come in un primo momento si era pensato. Sarà istituita una commissione d’inchiesta che controllerà come ha agito Iksil. Non solo. Saranno passate al vaglio le operazioni di J.P. Morgan, comprese le email scambiate fra il trader e i suoi superiori, per verificare se ci sono complici. Ancora, saranno interrogati «diversi dirigenti», dicono i bene informati, e non si esclude alcuna opzione. È probabile perfino che sia chiamato a testimoniare il banchiere più potente di Wall Street, Jamie Dimon. E dire che era stato proprio lui a mettersi alla gogna nel maggio scorso, annunciando senza troppi giri di parole che le perdite prodotte da Iksil erano anche colpa sua.

La decisione della Fsa non è l’unica che sta attanagliando J.P. Morgan. Oltre al Regno Unito, anche gli Stati Uniti hanno deciso di agire contro la banca di Dimon. La Federal Reserve e l’Office of the Comptroller of the Currency (Occ) hanno dato tre mesi a J.P. Morgan per portare a termine una riforma interna su due campi: gestione del rischio e pratiche anti-riciclaggio. «Il timore è che ci siano state troppe lacune nell’amministrazione della banca», ha detto la Fed.

Sul primo versante, l’istituto dovrà spiegare come mai non si erano accorti delle perdite di Iksil. L’accusa, peraltro facilmente verificabile data l’entità del danno, è che J.P. Morgan non avesse un accurato sistema di controllo delle operazioni. Una situazione, quest’ultima, potenzialmente portatrice di un rischio sistemico, data la dimensione e la ramificazione della banca stessa.

Sul secondo punto, l’anti-riciclaggio, J.P. Morgan dovrà spiegare come intende rafforzare le barriere contro il traffico di denaro sporco. A seguito delle mega-multe che hanno punito banche internazionali come HSBC, Fed e Occ hanno deciso di aumentare i controlli per evitare che il terrorismo internazionale, o il narcotraffico, possano utilizzare le banche americane per le loro transazioni.

Per entrambi i casi americani, J.P. Morgan avrà tempo fino ad aprile per chiarire la sua posizione ed evitare sanzioni. Di contro, non è chiaro quando la Fsa britannica aprirà ufficialmente il fascicolo d’inchiesta sui trade sbagliati dalla “London whale”. Tuttavia, potrebbe esserci un ulteriore sviluppo statunitense della questione. Il senatore democratico Carl Levin, capo della Sottocommissione permanente sulle indagini del Senato Usa, ha già comunicato di voler attendere l’esito dei lavori di Fed e Occ per poi analizzare i documenti. «La nostra preoccupazione è capire quali e quanti rischi sono stati assunti da J.P. Morgan», ha spiegato Levin. Un’ulteriore piaga per Dimon, che però nel frattempo ha fatto pubblicare il report interno prodotto da Mike Cavanagh, direttore finanziario del gruppo

Come nel recente caso di BATS, anche in quello di J.P. Morgan le lacune si sono perpetrate sia tra i regolatori sia tra gli operatori. Le operazioni della “London whale” come mai sono passate inosservate agli occhi della Fsa e della Sec? Possibile che non ci fosse un sistema di risk management interno capace di controllare le posizioni a fine giornata? Bruno Iksil h agito da solo o sotto la spinta di qualcuno? Domande che per ora non trovano una risposta.  

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