È dai tempi in cui gli Stati Uniti hanno adottato il Securities Act del 1933 e il Securities Exchange Act del 1934 che si è affermata l’idea, decisamente persuasiva, che il buon funzionamento del mercato mobiliare richiede la diffusione in via continuativa di informazioni complete e attendibili relative alle società quotate e agli strumenti finanziari da queste emessi. Affinché il mercato finanziario funzioni correttamente è necessario facilitare le imprese nella raccolta di capitale e garantire la tutela degli investitori.
La filosofia della trasparenza ha individuato nel prospetto informativo lo strumento essenziale per dare una raffigurazione corretta dello stato finanziario-economico e delle prospettive future dell’emittente e, allo stesso tempo, per proteggere gli investitori scarsamente informati. In Italia, il primo intervento normativo risale alla legge istitutiva della Consob (216/1974). Si dovrà però aspettare il 1983 per estendere tale documento a ogni ipotesi di sollecitazione all’investimento e soppiantare definitivamente il controllo burocratico delle emissioni. La prospettiva delineata ha guidato il legislatore comunitario che ha disciplinato per tappe il processo del ricorso al mercato mobiliare a partire dalle direttive del 17 marzo 80/390/CE e del 17 aprile 89/298/CEE, rispettivamente in materia di offerte di valori mobiliari quotati e non destinati ai mercati ufficiali di borsa.
Ben presto ci si rese conto che per realizzare un mercato unico era necessario armonizzare le informazioni degli emittenti e semplificare la procedura di riconoscimento in tutti gli stati membri. Per superare tali ostacoli il legislatore di Bruxelles ha emanato nel 2003 la cosiddetta Direttiva prospetti affermando il principio del mutuo riconoscimento con il dichiarato obiettivo del passaporto unico.
In veloce sintesi, il prospetto approvato dallo Stato di origine è valido per l’offerta al pubblico o per l’ammissione alla negoziazione nei mercati regolamentati in qualsiasi Stato comunitario. Il contenuto e la struttura del prospetto sono stati profondamente innovati con il recepimento della Direttiva prospetti. Il “nuovo” prospetto, idoneo ad agevolare le offerte paneuropee e il cosiddetto fenomeno del dual listing (simultanea richiesta di quotazione in due o più borse europee) è redatto sulla base di moduli standard (“blocks”), predisposti dal legislatore comunitario.
La policy della standardizzazione e dell’uniformità dell’informazione consente così di superare il vecchio regime che prevedeva il riconoscimento del prospetto da parte delle Autorità nazionali e accogliere, per l’appunto, il principio in base al quale un prospetto autorizzato dall’Autorità di uno Stato membro è valido negli altri Stati membri.
Il tema del contenuto del prospetto conduce a sua volta a quello dei soggetti deputati al controllo, e di conseguenza al ruolo e ai poteri della Consob di richiedere informazioni supplementari rispetto a quelle contenute nei moduli standard. In proposito, a scanso di equivoci, va subito detto che l’importanza dell’uniformità delle informazioni non compromette il potere delle Autorità di Vigilanza di “graduazione” e “adattamento”. «Se è necessario per la tutela degli investitori, la Consob può esigere che l’emittente o l’offerente includa nel prospetto informazioni supplementari» (art. 94, comma 5 TUF, nonché art. 5 Direttiva Prospetti).
Non solo. La Direttiva UCITS IV del 2009 in tema di fondi comuni di investimento attribuisce ai controllori dei singoli paesi membri la facoltà di introdurre a livello nazionale requisiti informativi più stringenti rispetto a quelli di base tratteggiati dalla stessa normativa comunitaria, intervenendo direttamente sul prospetto. E la stessa Direttiva prospetti, anche nella versione recentemente riformata, ha conservato delle “aperture” per mantenere in capo alle Autorità di vigilanza dei singoli Stati membri la facoltà di richiedere, in determinate circostanze, integrazioni al prospetto rispetto alle informazioni standard.
Insomma, l’unico limite, più che fondato, all’armonizzazione è dato dal valore assoluto del need of protection [bisogno di protezione] che è la causa genetica del prospetto e perciò necessariamente sovraordinato a qualsiasi altro principio. La stessa logica ispira anche le regole che riguardano le offerte transfrontaliere ovvero i casi in cui il prospetto sia stato approvato dall’Autorità di vigilanza dello Stato membro d’origine e gli strumenti finanziari siano destinati agli investitori italiani.
In tutte queste ipotesi la Consob è investita del potere di richiedere alla Autorità competente dello Stato membro d’origine nuove informazioni. Tale funzione deve essere esercitata, fra l’altro, ogniqualvolta l’emittente o il prodotto finanziario non siano conosciuti al mercato domestico, ovvero si tratti di strumenti finanziari opachi, complessi, non immediatamente comprensibili.
La normativa comunitaria, da questo punto di vista, non si presta ad interpretazioni equivoche nonostante l’attuale presidente della Consob, Giuseppe Vegas, sollecitato recentemente da Assofinance in merito ad una “discutibile” operazione di finanza transfrontaliera, abbia, senza mezzi termini, invocato il cosiddetto “divieto di gold plating” [cioè il divieto di introdurre vincoli aggiuntivi in sede di recepimento di normativa europea, ndr] per giustificare il mancato intervento della Commissione.
Un caso clamoroso, che evoca fantasmi del (recente) passato. La società per azioni Alfa con sede legale nel Granducato di Lussemburgo e controllata dalla banca tedesca Beta emette obbligazioni “bancarie” destinate al mercato italiano, per un controvalore di 300 milioni di euro. Il titolo contiene, fra l’altro, una componente derivativa, sotto forma di “costo occulto”, che trasferisce il rischio default Italia ai sottoscrittori dei prodotti finanziari. Nel 100% dei casi, l’obbligazione assicura una rendita del 21% in meno rispetto a un Btp della stessa durata. Viene cioè venduto a 100 ciò che vale 90, con un guadagno immediato a favore della società emittente e un costo occulto a carico degli investitori pari a 10 punti. La Commission de Surveillance du Secteur Financier [analogo lussemburghese della Consob, ndr] approva il prospetto e l’emittente procede alla distribuzione dei prodotti in Italia con il suggello della nostra Autorità.
Il tema è di stringente attualità “politica” e riporta al centro della discussione i presidi di trasparenza necessari affinché gli investitori percepiscano la reale componente di rischio dei prodotti acquistati, non sottostimando l’eventuale componente aleatoria. Da questo punto di vista va detto che qualcosa è stato fatto in diversi Paesi europei che negli ultimi anni hanno introdotto appositi presidi nella “fabbricazione” o nell’offerta o ancora nella distribuzione degli strumenti finanziari. In particolare, la Consob con una comunicazione del 2 marzo 2009 ha “raccomandato” agli intermediari collocatori di effettuare la scomposizione (unbundling) delle diverse componenti che concorrono al complessivo esborso finanziario sostenuto dal cliente per l’assunzione della posizione nel prodotto illiquido, distinguendo fair value e costi che gravano, implicitamente o esplicitamente, sul cliente. Non solo.
Al fine di migliorare la possibilità di apprezzamento, da parte del cliente, del profilo rischio-rendimento e dei costi dell’operazione che sta per concludere agli intermediari viene richiesto di fare una valutazione comparativa con prodotti semplici, noti, liquidi ed a basso rischio di analoga durata. E se il prodotto è complesso il cliente deve poter conoscere, secondo la Comunicazione, le risultanze di analisi di scenario di rendimenti da condursi mediante simulazioni effettuate secondo metodologie oggettive.
La Comunicazione sugli illiquidi contiene dunque chiare indicazioni sull’applicazione dei metodi probabilistici per le finalità della trasparenza del rischio finanziario. In più, a queste raccomandazioni al distributore, la Consob ha affiancato per alcuni prodotti finanziari specifici obblighi informativi nei prospetti basati sui metodi probabilistici. Gli stessi metodi che hanno indotto un importante movimento di opinione, ad oggi inascoltato, a richiedere alle istituzioni competenti una semplificazione del prospetto, sulla falsa riga del dibattito avviato da tempo dall’Autorità di vigilanza del Regno Unito all’insegna del less is more, meno informazioni ma essenziali, per costruire documenti leggibili chiamati “Key Financial Document”.
L’idea è di offrire in poche pagine al mercato tutte le informazioni necessarie e sufficienti per comprendere davvero le caratteristiche, i costi e i rischi dei prodotti attraverso i tre pilastri: la tabella di scomposizione dell’investimento e degli scenari probabilistici, l’orizzonte temporale di investimento e il rischio. Indicatori semplici ma efficaci, che mettono l’investitore nelle condizioni di comprendere le caratteristiche di rischiosità del prodotto e confrontarle con le proprie esigenze di liquidità e attitudine al rischio.
In un contesto di forte recessione è fondamentale per la ripresa dell’economia europea assicurare agli investitori una completa trasparenza e correttezza informativa. Solo per tale via si garantisce la salvaguardia della fiducia del pubblico nel sistema finanziario. Il problema è, almeno apparentemente, del legislatore comunitario spesso rapito dagli interessi dell’industria e in forte deficit democratico. Di fronte a tali ritardi, tuttavia, è compito e responsabilità della Consob tutelare il risparmio nazionale esercitando con rigore l’attività di regolamentazione e vigilanza all’interno delle maglie larghe della normativa comunitaria.
L’aumento della concorrenza non può essere l’alibi per la Consob di abdicare al suo ruolo istituzionale di regolatore e controllore, imparziale e indipendente. In questa prospettiva, si devono abbandonare quelle tecniche di regolazione che hanno contribuito a “frammentare” il sistema delle fonti, accentuando gli intrecci tra interessi privati e lobby capaci di governare il processo di formazione del “nuovo diritto” finanziario.
La trasparenza dei rischi attraverso un’analisi probabilistica è il primo passo in questa direzione. Sui prodotti complessi, la Consob portoghese ha recentemente stabilito che nel “Documento chiave per i risparmiatori” (Kiid) venissero inserite le informazioni degli scenari probabilistici. Grazie anche a questa esperienza, la Consob dovrebbe allora farsi carico di promuovere a tutto tondo sia sul mercato italiano sia sul più ampio mercato comunitario una regolamentazione snella e improntata a quei metodi probabilistici che sono indispensabili per la tutela degli investitori. Il primo banco di prova è dietro l’angolo: si chiama Key financial document dei “Prips”, i prodotti d’investimento pre-assemblati che sono tanto diffusi presso il pubblico sebbene, ancora oggi, molto spesso senza le dovute indicazioni informative.
Si aggiunga l’importante precedente del convertendo Bpm. Il prodotto finanziario, che è stato inizialmente collocato senza l’indicazione degli scenari probabilistici, ha raggiunto un volume medio giornaliero di dieci milioni di euro, per un totale su base mensile di oltre duecento milioni di euro. La seconda tranche, invece, che includeva gli scenari di probabilità ha visto scendere i volumi di vendita a 1,5 milioni di euro, e sono stati necessari oltre tre mesi (da settembre a novembre) per arrivare allo stesso controvalore.
Non va infine trascurato che la stessa Autorità di vigilanza ha sanzionato gli esponenti aziendali di Bpm proprio per non aver previsto «meccanismi di efficace e pronta informativa sui profili di rischio del prodotto». Insomma il principio giuridico di precauzione dovrebbe essere applicato anche quale strumento di decisione nell’ambito della gestione del rischio finanziario. In fondo, il comune buon senso ci insegna che “prevenire è meglio che curare”.
*L’Autore è professore associato di diritto privato nell’Università di Trento e direttore della rivista dirittobancario.it