La Francia in crisi ora compra il pane del giorno prima

La Francia in crisi ora compra il pane del giorno prima

E così la crisi è arrivata, arrabbiata e dispettosa, anche in Francia, con buona pace della grandeur, del transfuga Depardieu e, persino,della sacralità della gastronomia d’oltralpe. A Nimes, città tra le più colpite dalla disoccupazione e roccaforte del Front National, se ne ha una delle più chiare dimostrazioni. Uno dei pochi negozi sempre pieni, è il nuovo “Au pain de la veille” (il pane di ieri) bottega in cui il pane costa 40 centesimi, contro gli 80 e 90 a addirittura un euro che si paga negli altri forni.

Il pane che si compra qui, però, non è fresco, ma è quello avanzato negli altri forni della città il giorno prima: “Basta inumidirlo e metterlo nel forno”, spiegano i commessi ai più scettici tra i clienti, diffidenti di fronte a questa versione sacrilega e low cost di uno dei simboli della francesità. Al banco di ‘Au pain de la veille’ non ci sono solo baguette e filoni. Tra gli avanzi degli altri forni si trovano anche pizze, croissant, focacce, pain au rasin…tutto sempre a meno di un euro.

Il negozio funziona e i clienti, per lo più studenti, disoccupati e pensionati, non mancano: arrivano, comprano il pane duro, lo inumidiscono e lo mettono in forno. Poi a tavola fanno finta che sia squisito. Una scena, e un ‘impresa commerciale, quella del piccolo negozio di Nimes, che sarebbe sembrata impensabile solo pochi mesi fa, quando la Francia, anche se in affanno, poteva sbandierare le sue tre A, e sedere al fianco di Inghilterra e Germania, tra i “primi della classe d’Europa”.

Poi le cose sono cambiate e la Francia ha iniziato, alla stregua di un Pigs qualunque, ad annaspare tra i marosi della crisi: il 13 gennaio di un anno fa, Standard & Poor’s si è ripresa una A; stessa cosa ha fatto a novembre Moody’s e, adesso, solo Fitch continua a credere (più o meno) alla solidità dei bilanci di Parigi. Appena eletto, il neo presidente Francois Hollande ha detto che i conti di Sarkozy non erano stati del tutto giusti e che la realtà era peggiore del previsto. A novembre l’Economist, un po’ salace ma di rado in errore, ha dedicato al Paese una copertina, definendolo «una bomba a orologeria nel cuore dell’Europa», in difficoltà di fronte a un debito pubblico arrivato al 90% e con una prospettiva di crescita che, nella migliore delle ipotesi, non supera lo 0,8%.

Dati che non hanno fatto altro che confermare quello che i Francesi
sapevano già da un pezzo: ossia che le cose giravano male. Negli ultimi quattro anni, i disoccupati sono arrivati a tre milioni con un tasso percentuale di 10,6% (che diventa 25% se si tratta di under 30). Secondo un sondaggio diffuso da dall’istituto Csa per il quotidiano economico Les Echos, l’11% degli intervistati si dice povero e il 37% è convinto che lo diventerà entro breve tempo.

Così anche oltralpe si sono cominciate a tagliere le spese: dapprima dove c’era più margine, (il mercato dei giocattoli, per esempio, ha segnato un meno 3,9%) poi dove ce n’era meno, cioè a tavola. L’inizativa di Nimes non è la sola del genere: tra le più popolari c’è quella di Incroyables comestibles, idea copiata ai cugini d’oltre manica e al loro Incredible Edible, dal giovane Francois Ruoillay. L’idea è semplice: si coltiva un orto in zone di passaggio delle città (la rete è diffusa in tutta la Francia) e si lasciano frutti e ortaggi a disposizione dei passanti. 

L’idea sembra piacere molto ai francesi che vi attingono a piena mani. Un po’ meno al loro orgoglio, ma di questi tempi anche quello s’accontenta.

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