La paura dei Tuareg: “Parigi vuole solo il petrolio”

La paura dei Tuareg: “Parigi vuole solo il petrolio”

È allarme in queste ore per i governi dei paesi del Maghreb arabo: le conseguenze della guerra francese in Mali sulla loro già precaria sicurezza interna potrebbero essere gravi. A parte il Marocco, che è sempre stato favorevole all’intervento militare in Mali, tutti gli altri paesi del Nord Africa hanno avuto posizioni ondivaghe, condizionate dal doppio gioco dell’Algeria che ha contrastato fino all’ultimo l’intervento militare, salvo poi, alla fine, concedere alla Francia il suo spazio aereo per i raid nell’Azawad.

Il primo ad apparire in difficoltà per quanto avviene nella regione è il governo tunisino. In queste settimane ha cambiato più volte posizione. La prima, assunta dal ministro degli Esteri di Tunisi, Rafiq Abdel Salam, è stata «rifiutare in linea di principio qualsiasi ingerenza militare in Mali» chiedendo «una soluzione africana per la crisi dell’Azawad». Questa linea ha messo ulteriormente a rischio i rapporti con la Francia, già minati dopo l’ascesa al potere a Tunisi del partito islamico di Ennahda. Nei giorni scorsi, allora, i diplomatici tunisini avevano cambiato linea esprimendo posizioni di apertura nei confronti dell’intervento francese in Mali. Sostenevano di «comprenderlo in linea di massima». Eppure ancora l’altro ieri, alla luce degli avvenimenti in Algeria, il governo tunisino voleva di nuovo rivedere la sua linea ed evitare di sostenere la guerra voluta dalla Francia.

In mezzo a tutto questo, l‘emittente televisiva satellitare “al Arabiya” rivela che l’altro ieri mattina si è tenuto un importante incontro nel palazzo presidenziale cui hanno partecipato i vertici dello Stato. L’obiettivo era proprio studiare la situazione alla luce della guerra in Mali e rivedere la posizione del paese. Alla fine della riunione si è deciso di «avviare un dialogo tra le forze politiche nazionali, ricordando i pericoli che potrebbero sorgere se i politici del Mali faranno ricorso alle armi».

Le autorità tunisine hanno anche rafforzato le misure di sicurezza intorno a tutti i siti d’interesse francese nel paese, nel timore di rappresaglie dei gruppi islamici. Secondo quanto riferisce la versione online del quotidiano “Elaph”, hanno preso provvedimenti eccezionali per proteggere l’ambasciata francese nella capitale. La Guardia nazionale tunisina ha sequestrato una notevole quantità di armi, con l’arresto di due persone in un’operazione di polizia condotta a Madin, il capoluogo dell’omonima provincia al confine con la Libia.

Anche la politica è agitata: in base ai commenti che si trovano sulla stampa locale, il timore è che, a due anni di distanza dalla rivoluzione che ha sconvolto la sicurezza interna e l’economia del paese, la Tunisia debba affrontare una nuova destabilizzazione, derivante dagli effetti del conflitto nel paese del Sahel, Così almeno ha commentato Said Aidi, politico dell’opposizione ed ex ministro del Lavoro e della formazione professionale in Tunisia. «Dobbiamo prestare molta attenzione a questa guerra», ha aggiunto Aidi. Il presidente tunisino, Moncef Marzouki, intanto, ha incontrato Abdelkader ben Salah, presidente del Senato algerino, lo scorso 12 gennaio, proprio il giorno dopo il lancio delle operazioni aeree da parte della Francia. Marzouki e Salah hanno deciso di elaborare una strategia comune per affrontare quella che è stata definita una «sfida per la sicurezza dei paesi della regione».

Ma perché la Tunisia è preoccupata? È vero che non confina con il Mali, ma è stata a lungo un corridoio di transito per le armi che dalla Libia, attraverso l’Algeria, sono arrivate in Mali dopo la caduta del regime di Muammar Gheddafi. Per questa ragione il governo di Tunisi ha schierato 2.500 militari sulla frontiera meridionale, per aumentare la sicurezza e fermare il traffico di armi e droga. Mehdi Taje, studioso tunisino e consulente specializzato nel Maghreb e nel Sahel, ha affermato in un’intervista alla stampa locale che «la guerra in Mali comporta molti rischi per la Tunisia e la regione occidentale del Nord Africa».

Uno dei principali timori di Taje è che anche elementi tunisini possano unirsi alla lotta dei ribelli in Mali. «Quei tunisini che non hanno futuro in patria – ha spiegato l’esperto – potrebbero andare a combattere con i ribelli islamici in Mali. E dopo aver combattuto lì, potrebbero tornare in Tunisia. Sarebbero ben addestrati e molto pericolosi. È possibile anche che una cellula jihadista possa nascere nel sud della Tunisia». Lo studioso ha rilevato che «la situazione geopolitica è complicata dal rapporto, a volte difficile, tra Algeria e Tunisia. Alcune fazioni algerine non vogliono che la Tunisia diventi democratica. Altre fazioni algerine non supportano l’intervento francese in Mali. Penso che questo sia solo l’inizio di una lunga guerra». Le prospettive possono essere drammatiche. «I francesi – secondo Mehdi Taje – potrebbero trovare nel nord Mali un nuovo Afghanistan».

Lo stesso problema riguarda anche la Mauritania. Il governo di Nouakchott aveva annunciato, lo scorso dicembre, di non voler partecipare all’operazione militare che i paesi africani dell’Ecowas stavano preparando nel nord del Mali. Lo aveva detto il ministro della Difesa mauritano, Ahmed Ould Mohammed al Radhi, citato dal sito locale “Sahara media”. Rispondendo a un’interrogazione dell’opposizione in parlamento, ha spiegato che «il paese combatte contro i terroristi e lo fa all’interno del suo paese», concludendo che «il nostro paese rifiuta la guerra».

Questa posizione, simile a quella espressa dall’Algeria proprio in quel periodo, aveva dato l’impressione di un appiattimento delle posizioni della Mauritania su quelle algerine. Per questo si registravano tensioni tra Nouakchott e il Marocco, favorevole invece alla guerra in Mali, oltre al deterioramento dei rapporti diplomatici tra i due paesi africani. Il campanello d’allarme è stato un episodio avvenuto a fine dicembre fa quando il presidente mauritano, Ould Abdel Aziz, si è rifiutato di ricevere un membro del governo di Rabat, il sottosegretario Abdullah Baha, in occasione di una festa di partito, nella quale ha invece ricevuto altre personalità africane.

Eppure solo pochi giorni fa anche Nouakchott ha deciso di cambiare linea sulla guerra in Mali. Il presidente mauritano, Ould Abdel Aziz, ha incontrato il 15 gennaio ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, il presidente francese Francois Hollande. Secondo alcune indiscrezioni della stampa araba, il presidente mauritano avrebbe dato la disponibilità del suo paese a partecipare alla missione nel Mali su richiesta del governo di Bamako. A mettere in allerta i paesi del Maghreb sono anche le fatwa (editti religiosi) che da giorni vengono emesse in tutti i paesi del Maghreb che vietano qualsiasi sostegno all’intervento militare nel Mali. Secondo quanto spiega il giornale algerino “el Khabar”, gli editti sono stati emessi da predicatori, imam e religiosi in Algeria, Marocco e Mauritania. Queste fatwa ammoniscono i fedeli musulmani, ricordando che per la sharia (la legge islamica) “è un peccato mortale offrire qualsiasi forma di sostegno” alle operazioni militari lanciate dalla Francia in Mali, definite “nient’altro che la continuazione delle campagne colonialiste contro la umma (nazione musulmana, ndr)”. A scendere in campo contro la guerra in Mali sono stati i quattro imam salafiti più importanti del Marocco e un gruppo di 39 dotti islamici della Mauritania.

A parlare chiaramente dei motivi economici dietro l’offensiva militare francese in Mali, che sta portando instabilità in tutta la regione del Sahel, sono i ribelli Tuareg del nord del Mali. «La Francia vuole mettere le mani sul petrolio della regione del Sahel e dividere l’Algeria». È quanto dichiarato dal portavoce dei ribelli tuareg del nord del Mali, Sanada Ould Bouamama, che fa capo al gruppo islamico Ansar Eddine. In un’intervista al quotidiano arabo “al Sharq al Awsat” chiede di fermare l’offensiva militare nel nord del Mali: avrebbe come obiettivo «mettere in sicurezza gli interessi delle società francesi che finanziano le guerre come quelle in Iraq e Afghanistan». Bouamama sostiene che «a Bamako ora ci sono seimila soldati francesi arrivati per difendere i loro interessi, e non la città, anche perché noi non abbiamo piani per avanzare sulla capitale maliana e quanto viene detto è falso».

Che questa vicenda rischi di mettere i paesi del Maghreb l’uno contro l’altro lo conferma non solo la tensione registrata tra Mauritania e Marocco ma anche lo scambio di accuse avvenuto tra Mauritania e Algeria. L’agenzia di stampa mauritana “Ani” ha infatti annunciato che il suo sito internet è stato più volte hackerato da «agenti dei servizi segreti algerini». Poco prima una fonte del governo algerino, interpellata dal sito informativo di Algeri “Tsa”, aveva duramente criticato l’operato dell’agenzia di stampa mauritana definendola «un megafono dei terroristi islamici». Questo perché l’agenzia  di Nouakchott è da sempre in stretto contatto con i jihadisti del nord del Mali. Durante i primi due giorni dell’attacco all’impianto petrolifero di In Amenas, nel sud dell’Algeria, ha intervistato il portavoce dei rapitori per poi perdere il contatto telefonico diretto con i terroristi dopo il blitz dell’esercito algerino di ieri e interpellare quindi fonti vicine al gruppo presenti in Mali. 

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