«Cosa vuole, signorina, è la crisi», dice secco. Carlo Ulrico Hoepli risponde al telefono della sua casa milanese. La sua libreria, una delle storiche e più famose di Milano, ha cassintegrato da pochi giorni 60 dipendenti. Una misura temporanea, di soli tre mesi, spiega. «Poi si vedrà. Se superiamo la recessione, se la gente continua ad apprezzare il libro di carta si riprende. Altrimenti …». Si ristruttura? Non osa andare troppo in là il signor Hoepli, ma fa intendere che sì, anche la sua libreria dovrà probabilmente rivedere numero di personale e spazi. Non solo perché la crisi non demorde e il consumo di libri degli italiani è calato del 7% solo nell’ultimo anno (fonte Ali). Ma anche perché la tecnologia toglie spazio alla carta. «Gli atlanti e le cartine geografiche – spiega ad esempio Hoepli – non vanno più, la gente usa il Gps. Dovremo capire quali titoli le persone vorranno continuare a leggere su carta e stampare solo quelli», continua lui che si dice appassionato di e-book, «leggeri e comodi». Certamente non la manualistica e i libri scientifici che identificano la sua libreria, «sostituiti dalle informazioni su Internet». Ma aggiunge presto un’altra spiegazione alle difficoltà del settore. Caratterizzato da logiche commerciali non favorevoli alla libera concorrenza e che paiono segnare il destino dei librai milanesi e non solo: o si chiude o si emigra in periferia.
«In Italia manca il prezzo fisso del libro. O meglio – spiega Hoepli – c’è una legge che pone dei limiti ma non è poi così efficace. E la concorrenza non è, diciamo, proprio da gentiluomini». La legge Levi, cui Hoepli si riferisce, fu introdotta nel settembre 2011 proprio per limitare la percentuale di sconto applicabile sui libri. «Il punto è», spiega Paolo Ambrosini, libraio veronese e vicepresidente nazionale dell’Ali, Associazione Librai Italiani, «che catene come Feltrinelli, Mondadori, Messaggerie Italiane e Rizzoli coprono produzione, promozione, distribuzione e vendita. Offrendo sconti maggiori sui titoli ai loro punti vendita rispetto agli indipendenti, che non potranno quindi attirare i clienti con gli stessi prezzi bassi».
Le legge Levi in vigore dal settembre 2011 pone un limite del 15% agli sconti sul prezzo di copertina e del 25% alle promozioni librarie, quelle fatte direttamente dall’editore, che non devono superare la durata di un mese. Le limitazioni valgono undici mesi all’anno, dicembre escluso. Eppure, sostengono alcuni editori indipendenti, nemmeno così si sopravvive ai grandi marchi.
«È stata introdotta in tutta fretta non appena Amazon è sbarcata in Italia», spiega Pietro Biancardi della casa editrice milanese Iperborea. Insieme ad altri sei editori indipendenti ha creato il gruppo di pressione Mulini a vento. «Ne discutevamo da molto tempo, tra editori, librai e grandi catene, nel tentativo di trovare una soluzione favorevole a tutti. L’ideale sarebbe stata una legge alla francese, con il 5% di sconto massimo sui libri e senza promozioni editoriali, oppure alla tedesca, imponendo il prezzo fisso di copertina a tutti». Ma così non è stato. E alla fine, la legge uscita dal Parlamento, sostiene Biancardi insieme a molti librai, è servita soprattutto a proteggere le grandi catene italiane dai supersconti di Amazon. Colosso che in Inghilterra, priva di leggi sugli sconti di copertina, copre oggi il 40% della distribuzione libraria e «ha ucciso migliaia di librerie, indipendenti e non», spiega Piero Fiechter dell’Associazione Librai Italiani.
Biancardi espone il meccanismo contorto che sta alla base delle promozioni editoriali, permesse dalla legge. «Un’assurdità», dice, «che serve a vendere l’illusione di uno sconto sul prezzo di copertina ai clienti e danneggia noi indipendenti». L’editore stampa un prezzo sulla copertina. Poi decide di vendere il libro in promozione, con uno sconto che può essere del 20 o 25%. Il libraio accetta se aderire alla campagna o meno. Ovviamente i distributori e i librai della stessa catena aderiranno all’operazione, il cui scopo è gonfiare le vendite ed esaurire il prima possibile i volumi.
Quando il libraio accetta ottiene dall’editore un sovra sconto sull’acquisto. Se solitamente compra al 30% del prezzo di copertina, in caso di promozione ottiene uno sconto in più, in genere del 12,5% – ci si divide tra libraio ed editore il 25% della promozione – quindi compra il volume al 42,5 percento. Così un Ken Follett che in copertina costa 25 euro, viene venduto al pubblico a 18,75 euro, meno 25 percento. Il guadagno del libraio è del 17,5%, «troppo poco per un indipendente, che per pagare affitto e personale dovrebbe guadagnare almeno il 30% su ogni titolo», conclude Biancardi. Diversi invece i margini delle catene: guadagnano di più anche in occasione delle promozioni «perché acquistano i libri anche al 40, 50% del prezzo di copertina anziché il nostro 30». Cui si aggiunge il sovra sconto del 12,5 in caso di promozioni.
Sebbene le promozioni non siano vantaggiose per gli indipendenti, essi sono quasi obbligati ad aderirvi per non perdere clienti. Soprattutto quando gli editori mettono in promozione i titoli nuovi, il peggior danno per un libraio: «Costringe gli indipendenti ad aderire alle campagne promozionali, perdendo soldi sulle novità, quelle che vanno di più», dice Biancardi, «e la legge Levi non lo impedisce».
Ma non solo. Spesso le catene sfruttano “la filiera” con operazioni simili a quella di Kobo. «Si tratta di un libro elettronico venduto dalla Mondadori», spiega Ambrosini. È stato distribuito finora solo nei negozi della catena. Durante la fase di lancio, «quando il pubblico è più attento e pronto a rispondere», nel lettore è stato inserito il catalogo degli Oscar.
Di fronte a una concorrenza simile, gli indipendenti hanno indebolito la loro struttura patrimoniale fino a non avere più i soldi per pagare l’affitto dei locali o i dipendenti. «Negli ultimi tre anni sono una ventina le librerie indipendenti milanesi che hanno chiuso», racconta Piero Fiechter, il presidente provinciale dell’Ali. Altre invece hanno lasciato il centro di Milano, «sempre più costoso e invaso dalla moda» per trasferirsi in periferia. Recente è il caso di Utopia, che da Moscova si è spostata in via Vallazze. «L’affitto era troppo caro», ha spiegato il proprietario Lucio Moravez. E così è capitato alla Libreria di Porta Romana e a quella del Giallo, chiuse un anno fa. Archivi del ‘900 che da Duomo si è spostata in via Solari prima di chiudere definitivamente, la Libreria di Brera che sta per abbassare la serranda per sempre. «Per capire quanto costa un affitto del centro, basti pensare a Libraccio, che ha aperto un anno fa in Viale Romolo, spazio che costa il 10% di quelli in centro», racconta Fiechter.
«Io sono fiduciosa», dice tuttavia Lucia Castellano, assessore alla Casa del Comune di Milano che si prepara a lasciare l’incarico per candidarsi alle prossime elezioni regionali. Insieme a Franco D’Alfonso, responsabile del Commercio, ha firmato la scorsa primavera una delibera con cui si concedono a tutti i librai milanesi, catene e indipendenti, spazi comunali con un affitto scontato del 40% del valore di mercato. «È un’operazione che ci ha permesso di salvare le librerie Bocca e Rizzoli in Galleria, ma anche la Calusca, che riaprirà la prossima settimana», racconta. «Prima del 20 gennaio, data della fine del mio incarico, incontreremo l’associazione dei librai per capire le loro esigenze di spazi e poi fare un bando ad hoc per l’assegnazione dei locali comunali», spiega decisa. «Abbiamo spazi in tutta la città. Soprattutto locali tra i 50 e i 70 mq nei quartieri popolari, ad esempio Quartoggiaro, Chiesa Rossa».
Stefano Boeri, intanto, pensa a rilanciare l’editoria milanese con operazioni simili a Bookcity, la tre giorni milanese di letture e incontri cittadini che lo scorso novembre ha registrato 100 mila partecipanti già alla prima edizione. I piani non sono ancora definiti. «Ma proveremo a dare continuità all’iniziativa durante tutto l’anno», assicura, immaginando un aiuto ai librai che parte dal rilancio dei consumi, passando anche attraverso aperture notturne delle biblioteche cittadine.
Quella degli spazi resta comunque una questione centrale. «Ciò che identifica le librerie indipendenti sono proprio i locali storici in cui sono nate. E il pubblico che li frequenta», chiosa Carlo Ulrico Hoepli. Forse anche l’Utopia faticherà a essere se stessa in via Vallazze. O forse no, chissà.