“La sfida di Netanyahu non è vincere ma governare”

“La sfida di Netanyahu non è vincere ma governare”

Nel futuro di Israele ci sono temi cruciali come la minaccia iraniana, gli insediamenti nei territori palestinesi e le crescenti difficoltà economiche. Secondo Sergio Della Pergola, demografo e professore all’Università Ebraica di Gerusalemme, collaboratore alle politiche sociali del governo di Ariel Sharon, il voto di domani aprirà nuovi scenari politici.

Professore, la sfida di Netanyahu dunque non sarà vincere, ma piuttosto governare? 
Direi di sì. Il Likud ha deciso, con lungimiranza, di fare una lista comune con il partito di Avigdor Liberman Israel Beiténu. Sono schieramenti simili, si sarebbero portati via voti a vicenda. La somma dei due avrebbe dovuto garantire 42 seggi su 120, ma gli ultimi sondaggi li danno a 33. Se dovessero scendere sotto i 31 seggi, governare bene sarebbe difficile. In Israele si vota con un sistema proporzionale puro. Questo fa si che in Parlamento sia rappresentata una pluralità quasi eccessiva, fatta anche di partiti molto piccoli. Governare senza una maggioranza forte è difficile, soprattutto in una realtà così articolata dal punto di vista sociale e culturale. È un sistema molto democratico, ma molto instabile. Si rischiano politiche populiste.

Come si ripercuote questa estrema pluralità nel dibattito sui temi economici? 
Con questa frammentazione ogni partito alza la posta per avere voce in Parlamento. Tutti promettono di più ai cittadini, ma le risorse, soprattutto ora, sono limitate. Per questo Netanyahu ha orientato la sua campagna elettorale su temi come la sicurezza e la politica estera e non sull’economia, su cui avrebbe avuto più difficoltà. 

L’operazione Pillar of Defense (colonna di difesa ndr), condotta dall’esercito israeliano contro Hamas lo scorso novembre, ha favorito Netanyahu? 
Sì, ma solo in parte. Israele ha formalmente sconfitto il nemico, ma non l’ha annientato. Più che una vittoria è stato un pareggio. In qualche modo si ripropone lo scenario che seguì l’operazione Piombo Fuso del 2008, sotto il governo di Centrosinistra di Ehud Olmert. Allora il vantaggio di misura nei confronti di Hamas spostò voti verso il Likud e Israel Beiténu. Netanyahu è stato aiutato soprattutto dal recente riconoscimento della Palestina all’Onu e dalla minaccia dell’Iran, eventi che hanno stimolato di nuovo il senso di solidarietà nazionale degli israeliani. Molti elettori hanno però deciso di spostarsi ancora più a destra e di votare Habayt Hayehudi, il partito di Naftali Bennet, la rivelazione di questa tornata elettorale. Bennet è un ex imprenditore dell’hi-tech. Ha vinto le primarie di un partito che prima era di centro e poi è diventato ultranazionalista. Raccoglie i voti di chi rifiuta la coalizione Netanyahu-Liberman, perché supporta una politica ancora più sionista, con scarse concessioni ai Palestinesi. Sarà comunque uno degli alleati naturali del Likud.

Perché la sinistra non ha alimentato il dibattito sull’economia e sui temi sociali?
Le forze di centro e di centrosinistra hanno inscenato una sconcertante lotta fratricida senza coalizzarsi in una concreta proposta alternativa di governo. Ci sono quattro-cinque partiti che corrono uno contro l’altro senza portare via voti alla destra. È stato un errore fatale. Può darsi che Netanyahu riesca a raccogliere il consenso di uno di questi schieramenti per sostituirlo nella coalizione agli ultra religiosi di Shas. Il più probabile sarebbe Yesh Atid, dell’ex anchorman Yair Lapid. Si tratterebbe comunque di “un’operazione cosmetica” per dimostrare di avere la maggioranza e formare il governo. È anche interessante notare come, negli ultimi vent’anni, il Likud abbia mantenuto la sua egemonia tra i partiti di centrodestra, mentre tra quelli di centrosinistra ci sia stato un sorpasso delle forze centriste a discapito di quelle più tradizionalmente socialiste.

Che fine hanno fatto gli Indignados, i giovani che nell’estate 2011 riempirono di tende le vie principali di Tel Aviv per protestare contro il caro vita?
E’ stato un movimento importante, ma gonfiato dai media. Israele vive un momento difficile, ma la crescita economica si attesta ancora tra il 3 e il 5% e la disoccupazione è al 6%. I prezzi sono saliti dell’1, 6%, ma ancora non c’è inflazione. Qui i trentenni hanno casa, famiglia e lavoro, contrariamente a quanto accade altrove. Il partito Laburista di Shelly Yachimovich ha candidato tre esponenti della Protesta delle tende, ma non sembrano aver avuto molto successo. In questo preciso momento si preferisce la difesa alle riforme. Per la prima volta dopo anni non ci sarà alternanza al governo tra centrodestra e centrosinistra.

Non potranno contare nemmeno sul voto dei giovani?
Credo che i giovani sceglieranno perlopiù l’astensionismo. Non saranno i soli. Il vero sconfitto di questa tornata elettorale sembra essere la coalizione di centro Kadima.

Nel 2009 Kadima era il partito di governo, ma nella prossima Knesset dovrebbe ottenere solo 2 seggi. Come mai? 
La storia dei movimenti legati alla società civile in Israele è ciclica. Raccolgono grande consenso nell’opinione pubblica, ma poi non hanno una solida struttura di partito alle spalle. Per questo durano poco. Per Kadima, in particolare, è stata fatale l’uscita di scena di Tzipi Livni, che ha fondato il suo partito Hatenuah. 

Lei si occupa di demografia e da anni studia l’evoluzione della popolazione israeliana. Quali sono, oggi, i gruppi sociali in crescita?
I Haredim, gli ebrei ultraortodossi, e gli arabi. Questo si nota anche a livello politico, i partiti che li rappresentato sono stabili. La coalizione religiosa, composta da Shas, United Torah Judaism e Am Shalem, dovrebbe arrivare a 18 seggi. Quella araba con Ra’am Ta’al , Balad e il partito misto ebreo-arabo Hadash potrebbe raggiungerne 11. Chi governerà Israele nei prossimi anni dovrà tenerne conto.

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