A meno di un mese dal voto aumenta la temperatura nella Lega Nord di Roberto Maroni. Non solo sulla fronte del segretario federale e candidato in regione Lombardia – a letto con l’influenza -, ma in tutto il Carroccio, in particolare in Piemonte e Veneto. Nelle due regioni dove i leghisti governano da tre anni sono giornate intense e preoccupanti, con guerre fratricida che stanno mettendo in discussione la tenuta delle stesse giunte padane. Problemi interni che si sommano a queli degli alleati del Popolo della Libertà di Silvio Berlusconi, in picchiata nei sondaggi, dilaniato dai ricatti interni, con un sistema ormai in disfacimento.
Il sogno della macroregione del Nord – progetto di unire tutte le regioni settentrionali che Bobo ha messo tra le basi della sua campagna elettorale – trova ogni giorno sul suo cammino qualche ostacolo. Certo c’è il Pirellone da vincere, ci sono le critiche alla proposta di trattenere il 75% delle tasse, ma è una vicenda soprattutto politica e interna alla Lega quella che preoccupa.
Tanto che qualcuno arriva persino a sostenere che «la vendetta» dei fedelissimi dell’ex segretario Umberto Bossi (più che mai inviperiti per essere stati messi da parte) potrebbe essere proprio questa: far cadere le giunte regionali come massimo sgarbo ai progetti di Maroni. Obiettivo? Rifondare il Carroccio e ripartire da zero.
In sostanza, non ci sono solo i sondaggi lombardi che danno il candidato di centrosinistra Umberto Ambrosoli in buona salute. A preoccupare è lo stato stesso del Carroccio, a meno di un anno di distanza dalla rivoluzione delle scope e del congresso di Assago. E la diagnosi del movimento, come si spiffera nei corridoi di via Bellerio, «non è delle migliori».
Guerre tra bande. Litigi sui soldi. Schermaglie sulle candidature. Bossiani contro barbari sognanti. Beghe interne di ogni tipo. Sono tutte spie di un malessere che ha portato da un lato Maroni a dire che lascerà la segreteria al termine delle elezioni («Già nella composizione delle liste per le politica si era rotto i c…» si mormora), dall’altro a far vacillare appunto i governi di Veneto e Piemonte.
Non è un caso che Roberto Cota, attuale governatore piemontese, abbia scelto di candidarsi anche in parlamento, con un posto sicuro. «Sarà pure stato il posacenere di Bossi», spiega un maroniano di ferro «ma di certo non è uno stupido». Cota ha già smentito: la sua sarebbe una candidatura civetta e resterà in regione. Ma chi conosce i meccanismi politici del Piemonte sostiene che la giunta «sia tenuta insieme con lo sputo». Bilancio in rosso, schermaglie a ripetizione con il Popolo della Libertà, una guerra sul territorio proprio tra i leghisti e soprattutto il rischio di nuove indagini sulle spese dei politici nel consiglio regionale di palazzo Lascaris: sono altri malesseri che potrebbero amplificarsi in caso di un risultato negativo dal punto di vista elettorale.
Del resto, da queste parti, se le danno tutti di santa ragione. C’è Gianna Gancia, compagna dell’ex ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli che presidia il territorio di Cuneo e che sognava un posto in parlamento. Poi c’è Mario Borghezio, ormai battitore libero, europarlamentare, tenuto distante dalla campagna elettorale, anche perché noto per le sue sparate poco con «giacca e cravatta» in linea con la Lega 2.0. C’è Mario Giordano che presidia la zona del Novarese. Dalle parti di Domodossola, poi, fanno «un po’ tutti come vogliono loro». E poi ancora c’è Michelino Davico, che ha agguantato un posto per Roma, ma che con il suo gruppo continua a tenere vivo il dibattito interno.
Se il Piemonte piange, il Veneto di certo non ride. È delle ultime ore una polemica che potrebbe trascinarsi a lungo proprio a palazzo Balbi, dove Luca Zaia governa una delle regioni più importanti d’Italia. Santino Bozza, consigliere regionale veneto, compagno della bossiana di ferro Paola Goisis (fatta fuori dalle liste per le politiche), ha pensato bene di presentare un esposto in procura per fare chiarezza sulla gestione delle spese dei gruppi in consiglio regionale.
Rischia di finirci dentro pure la Lega, con una nuova sequela di scandali, dopo quelli già noti in regione Lombardia che ha portato a indagare quasi tutto il gruppo consiliare. Bozza usa anche una certa ironia per attaccare Maroni: «In fin dei conti, non È questo che dicevano i barbari sognanti nel pieno dello scandalo che ha travolto Bossi? Nella notte delle scope non chiedevano una Lega onesta, lontana da chi usa male i soldi pubblici? È esattamente quello che chiedo anche io».
Il caso Veneto nasce soprattutto per la gestione della segreteria nazionale di Flavio Tosi, il sindaco di Verona, abituato spesso a prendere posizioni «diverse» dentro il Carroccio tanto da essere definito da Bossi in passato come «uno stronzo». Una settimana fa alla Stampa, Tosi ha annunciato che l’accordo con il Pdl finirà dopo le elezioni. Non solo. Il repulisti nelle liste per le politiche ha scontentato tanti, che ora sono pronti a presentargli il conto.
Ma sul Veneto tira una brutta aria anche perché l’antico asse del Nord tenuto insieme da quell’uomo di sistema di nome Aldo Brancher ormai non esiste più. Il Pdl è ai minimi storici. E Giancarlo Galan e Renato Brunetta, che sono tornati con Berlusconi, non hanno mai visto di buon occhio la Lega Nord. Non è un caso che Zaia abbia chiesto a tutti di tirare il freno a mano e frenare sulle polemiche. Ma la rabbia sale. Pure in Lombardia, dove c’è chi inizia a polemizzare sullo strapotere del segretario nazionale Matteo Salvini, che ha piazzato molti dei suoi uomini nelle liste per le regionali. La febbre di Maroni, insomma, non finirà con una semplice aspirina.