L’Aquila: “I sismologi non erano in diritto di rassicurare la città”

L’Aquila: “I sismologi non erano in diritto di rassicurare la città”

Novecentoquarantasei pagine per spiegare perché il 22 Ottobre scorso il Tribunale dell’Aquila ha condannato a sei anni, in primo grado, i sette partecipanti alla riunione della Commissione Grandi Rischiche si tenne il 31 marzo 2009. Pochi giorni prima del terremoto che sconvolse la cittadina abruzzese e causò 309 morti. Ventinove dei quali potevano essere salvati se la Commissione si fosse pronunciata diversamente, secondo il giudice Marco Billi.

L’accusa per i sei esperti e il vicedirettore della protezione civile Bernardo De Bernardinis è di omicidio colposo plurimo e lesioni gravi attribuitagli per non aver comunicato in maniera adeguata il rischio. Perché «benché fossero consapevoli del grave rischio sismico a cui è soggetto il territorio, fornirono, in seguito a quella riunione, valutazioni superficiali, approssimative e generiche, del tutto inefficaci ai doveri normativi imposti», come si legge dalle motivazioni redatte del giudice Marco Billi. Fatto che portò 29 aquilani a modificare i loro piani e non attuare alcuna azione preventiva (come andare via dall’Aquila per qualche giorno o dormire fuori casa), rassicurati dalle parole delle conferenza stampa.

Un’operazione mediatica voluta dall’allora capo della Protezione Civile Guido Bertolaso, che preferì tranquillizzare gli aquilani invece che metterli al corrente del rischio reale: «Gravi profili di colpa si ravvisano nell’adesione, colpevole e acritica, alla volontà del capo del Dipartimento della Protezione Civile di fare una “operazione mediatica” che si è concretizzata nell’eliminazione dei filtri normativamente imposti tra la Commissione Grandi Rischi e la popolazione aquilana. Tale comunicazione diretta, favorita dall’autorevolezza della fonte, ha amplificato l’efficacia rassicurante del messaggio trasmesso, producendo effetti devastanti sulle abitudini cautelari tradizionalmente seguite dalle vittime».

Il problema non fu, quindi, una mancata previsione del terremoto, che com’è noto è assolutamente impossibile da effettuare, ma piuttosto una mancata prevenzione. «Il presente processo non è volto alla verifica della fondatezza, della correttezza e della validità sul piano scientifico delle conoscenze in tema di terremoti. Non è sottoposta a giudizio la scienza per non aver previsto il terremoto del 6 aprile 2009, ma il compito dei componenti della commissione era quello di valutare il rischio sulla base delle loro conoscenze e fornire una corretta informazione». Prevedere e prevenire il rischio, afferma Billi.

I dubbi irrisolti restano comunque tanti. Ad iniziare dal perché fu voluta una comunicazione del rischio del genere, cioè mirata a rassicurare i cittadini dell’Aquila, piuttosto che a metterli in guardia del pericolo che potevano correre, e di cui gli esperti erano a conoscenza. Per finire con una domanda che si è posto anche Nicola Nosengo, giornalista scientifico che ha seguito per Nature la vicenda, e che si chiede: con una comunicazione differente da parte della Commissione Grandi Rischi, quelle persone si sarebbero salvate? Si può davvero accusarli della morte di questi cittadini dell’Aquila?

D’altro canto l’Ingv (Istituto Nazionale di Geologia e Vulcanologia) in un comunicato stampa, li difende e dice che la colpa principale è da attribuirsi: «alla prevenzione in termini di riduzione della vulnerabilità degli edifici». E ancora che «i sismologi italiani hanno sempre contribuito con grande impegno alla difesa dai terremoti lavorando insieme alla Protezione Civile e alle autorità locali, mettendo a disposizione del Paese la mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale, (la cui ultima versione aggiornata nel 2006 – tre anni prima del terremoto dell’Aquila – è legge dello Stato) del territorio nazionale. Strumento importantissimo per la prevenzione sismica, che era ed è ben nota. Nella mappa, l’Aquila ricadeva in una zona ove la pericolosità sismica è massima, indipendentemente dal fatto che ci fossero o meno delle sequenze sismiche in atto. Questo è stato discusso durante la riunione e quindi l’”allarme” e la comunicazione del rischio erano stati chiaramente dati, per le proprie competenze, dai sismologi». 

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