Caro Direttore,
nell’intervista sulle carenze della classe dirigente italiana rilasciata a Linkiesta, il professor Luigi Zingales afferma, a un certo punto, che «bisogna creare le condizioni affinché le start-up possano operare senza sussidi, anche perché si pone subito il problema di chi li distribuisce e come». Zingales tocca un punto cruciale della logica che ha ispirato l’azione di Governo di questi mesi e, in particolar modo, della normativa sulle start-up fortemente voluta dal ministro Passera.
Purtroppo in Italia, non appena si parla di sostegno all’impresa e all’imprenditorialità, la prima domanda che viene fuori è sempre: dove sono i soldi? Resistendo a questa tentazione, abbiamo preferito adottare un approccio profondamente diverso sulle start-up. Basandoci sul Rapporto “Restart, Italia!” – prodotto da una task force di esperti costituita ad hoc per avanzare proposte concrete sul tema – ci siamo concentrati sul creare un ecosistema favorevole alla nascita e allo sviluppo di nuove aziende innovative, intervenendo su tutte le leve e gli attori principali di tale ecosistema e su tutte le principali fasi del ciclo di vita di queste aziende.
Abbiamo cioè lavorato per creare quelle condizioni, a cui accenna Zingales, affinché le startup possano operare senza sussidi, evitando il rischio di distorsioni del mercato. Lo abbiamo fatto prevedendo – tra le altre – misure sul fronte della semplificazione e riduzione degli oneri amministrativi in fase tanto di avvio quanto di chiusura dell’impresa; una normativa sul lavoro che permetta alle startup di costituire il team in maniera più flessibile e con la possibilità di ricorrere con maggiore facilità a strumenti come le stock options o il work for equity; introducendo il crowdfunding per la raccolta di capitali diffusi; certificando gli incubatori di startup.
Quando si è posta la questione dei “soldi”, siamo partiti dall’obiettivo, non dal mezzo. L’obiettivo era assicurare sufficienti risorse per il finanziamento della crescita delle start-up. Abbiamo quindi pensato a un pacchetto di misure complementari – nessuna delle quali prevede soldi a pioggia – tra cui un sistema di incentivi fiscali per aziende e privati che vogliano investire in startup. Risultato? Lo Stato non finanzia direttamente, ma “incoraggia” l’allocazione di capitali privati a favore delle startup. Con un importante effetto collaterale: che si incentiva tutto il tessuto produttivo italiano a guardare con interesse alle startup non come all’ultimo gruppo di aziende “privilegiate”, ma come alla potenziale nuova primavera dell’economia italiana. A guardare alle startup come ad aziende giovani che investono in innovazione e ricerca e ambiscono a posizionarsi rapidamente sui mercati internazionali. Rappresentando così un’opportunità per chi le fonda, per chi ci lavora, e per le altre aziende che sono spinte a fare un investimento in innovazione che domani potrebbe portare i suoi frutti.
Oggi troppi giovani con idee innovative cercano altri contesti di business per trasformare la propria idea in impresa. Noi crediamo che le start-up possano essere la risposta giusta alle loro aspirazioni e alla loro voglia di scommettere sul proprio talento. Così come crediamo che le start-up potranno sempre più costituire una straordinaria fucina di classe dirigente per il Paese. Sostenerle e aiutarle come è stato fatto, nel rispetto delle logiche di mercato, assume quindi una valenza ulteriore e forse ancora più preziosa.
Crediamo di aver portato una innovazione significativa nel panorama normativo italiano – dove la definizione di start-up fino a pochi mesi fa addirittura non esisteva – anche grazie alla passione civile e al coinvolgimento di tanti operatori, tecnici ed esperti del settore. Tutto ovviamente è migliorabile, e molto altro dovrà su questo essere costruito, ma la direzione ora è chiaramente tracciata.
* Capo segreteria tecnica del ministro dello Sviluppo economico
** Consigliere del ministro dello Sviluppo economico