Il contrasto alla criminalità organizzata è un’emergenza nazionale? La risposta è sicuramente affermativa, soprattutto in un Paese come il nostro in cui mafia e corruzione vanno a braccetto e dove su quest’ultima si sono fondate, si fondano e si fonderanno carriere e sistemi. In Italia sono presenti i reparti investigativi più preparati del mondo nel contrasto alle mafie, che si avvalgono anche di una struttura legislativa relativamente avanzata.
Spiegare alla politica, che poi è quella fetta di persone che studia e scrive le leggi, che a normative e procedure per l’antimafia andrebbe dedicata la massima attenzione, sembra essere sempre un’impresa. Se una nota positiva riguardo all’ingresso di personaggi come Pietro Grasso e Antonio Ingroia in politica, con tutte le riserve del caso, c’è è sicuramente quella di avere chi operativamente ha contrastato le mafie tutti i giorni e conosce pregi e limiti della legislazione in tema.
Ci sono tuttavia alcuni punti fondamentali e spesso dimenticati, che vanno al di là degli arresti sul territorio e dello svolgimento delle indagini. Aspetti determinanti, sicuramente da aggiustare e da dotare di risorse, ma per cui sarebbe sufficiente più attenzione e meno politica con la p minuscola. Basti guardare dove l’arcinota “Agenda Monti” vada a relegare il tema: in coda e con cenni privi di ogni approfondimento.
Il primo aspetto che si sta rivelando però un’emergenza ancora irrisolta è l’anno zero che il contrasto alla mafia a livello europeo sta attraversando in questi anni. Come per molti altri settori, l’armonizzazione tra i vari sistemi legislativi degli Stati dell’Unione europea è lontanissima. Così accade anche per una normativa antimafia che in questi giorni il procuratore di Reggio Calabria Nicola Gratteri ha addirittura definito non solo disomogenea ma addirittura “schizofrenica”.
L’allarme su questa schizofrenia normativa e sulle proiezioni europee delle mafie italiane era già stato lanciato all’indomani della strage di Duisburg nel ferragosto del 2007. A ribadirlo recentemente è stato anche il sostituto procuratore nazionale Antimafia Carlo Caponcello, delegato servizio di cooperazione internazionale con la Germania. Lo scorso luglio davanti alla Commissione parlamentare antimafia, oltre a porre un problema culturale che vede parte dei tedeschi approcciarsi al fenomeno mafioso come un episodio di folklore, pone un ancor più serio problema legislativo che poi si ripercuote inevitabilmente sul lavoro degli investigatori.
«V’è da dire – dichiara Caponcello in occasione dell’audizione – che in Germania, sotto l’aspetto legislativo, di certo non hanno gli strumenti di cui avrebbero bisogno e di cui avrebbe bisogno ciascun Paese europeo perché si possa realizzare su tutto il territorio europeo una seria lotta alla mafia». Mezzi spuntati quelli delle polizie tedesche e in realtà di tutta Europa contro le mafie, e il primo problema è proprio quello della mancanza di un reato di associazione per delinquere che non sia quello semplice. Nell’agenda antimafia europea, sempre che ve ne sia una seria e non solo sbandierata da organismi come la commissione europea antimafia diretta da Sonia Alfano, l’introduzione a livello comunitario del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso è sicuramente ai primi posti.
A mettere altri punti fermi è stato di nuovo lo stesso procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, che in occasione dell’anniversario dell’uccisione di Beppe Alfano è intervenuto con una linea chiara sulle cose da fare in Europa per coordinare le indagini tra tutti gli stati membri. «In Europa – specifica Gratteri – circolano tonnellate di cocaina, ma non è possibile il sequestro e nemmeno il ritardato arresto. Se è vero che la ricchezza delle mafie proviene dalla droga, di cosa stiamo parlando se non possiamo fare sequestri in questi Paesi, dove non è ancora possibile nemmeno intercettare un BlackBerry? Sono paesi che parlano di tecnologie che noi in Italia usiamo da 10 anni. A me dispiace per i colleghi, che se la prendano. Ma dove vogliamo arrivare?». «Abbiamo bisogno – ha concluso – di catalogare i reati in modo che in Europa siano tutti d’accordo: per i reati di droga, sessuali, gli omicidi. Dobbiamo assolutamente avere la possibilità di compiere le intercettazioni. L’utopia sarebbe un’Europa federale, con una Procura europea che si interessa di reati federali, di macrocriminalità. Ma è una strada molto lunga, perché interviene la politica».
E di una superprocura europea si parla infatti da anni, ma il progetto pare essere rimasto solo nella testa di alcuni e uscito dalle orecchie per non farvi più ritorno ai politici di mezza europa. Tornando in patria ovviamente non mancano le carenze sia a livello legislativo, sia a livello di risorse da assegnare ai reparti investigativi. Oggi la grande emergenza sul piano nazionale, di cui troppo poco spesso si parla, riguarda però l’amministrazione dei 12.670 beni confiscati alle organizzazioni criminali italiane, di cui 11.007 immobili e ben 1.663 aziende (situazione al 5 novembre 2012).
Beni che seguono un iter lunghissimo tra sequestro e confisca e riassegnazione che andrebbe snellito e che non sempre va a buon fine. Basti pensare che nove aziende su dieci di quelle confiscate finisce per fallire con l’inevitabile perdita di posti di lavoro e l’amara sensazione che fa dire agli ex lavoratori «era meglio quando c’era la mafia». Servono manager preparati a gestire queste situazioni di transizione e la volontà di rendere l’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati non un contenitore vuoto ma un centro operativo con personale qualificato.
Spesso si parla delle carenze di risorse e personale in cui si trova a operare la Direzione investigativa antimafia, e guardando la grande quantità di immobili a disposizione farebbe sorridere, non fosse tragico, che la Dia stessa sia costretta a corrispondere un affitto per le sedi operative quando una miriade di confische non riescono a essere riutilizzate.
In ultimo ci si scontra con tutto quello che riguarda l’economia criminale e l’ingresso delle mafie nel mondo degli affari, degli appalti e dell’economia legale. Pare un mantra da ripetere, ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire quando si dice di introdurre il reato di autoriciclaggio. Una richiesta datata ma rimasta per altrettanti anni lettera morta, figurarsi nell’ultima legislatura, probabilmente una delle meno produttive della storia repubblicana. Così come sembra essere lettera morta il cenno di riforma all’articolo 416-ter, cioè quello che punisce il voto di scambio politico mafioso. Reato rimasto ancorato al concetto della dazione di denaro in cambio di voto, una transazione sempre più difficile da cogliere e un reato di non facile contestazione visti anche episodi corruttivi che non necessariamente prevedono il passaggio di denaro.
Ci sono poi tutti i settori che scontano tipicamente l’ingresso di capitali e manovalanza mafiosa come l’edilizia, i rifiuti, il gioco d’azzardo e i ‘compro oro’. Il primo necessariamente dovrà essere tenuto sotto stretta osservazione dal prossimo governo: solo l’indotto e il numero dei posti di lavoro, condito a un certo modo di fare impresa fanno gola alle mafie, così come il ricco sottobosco dei subappalti e degli appalti a trattativa privata. Anche in ottica di prevenzione, che rimane il fattore forse più importante. Il gioco sconta invece la difficoltà della politica davanti a una lobby di potere impressionante, che in buona o in cattiva fede apre le porte alle cosche come ha dimostrato ben più di una indagine negli ultimi anni.
Non meno importante è il settore dei rifiuti, che riguarda da vicino sia l’Italia, che sconta il problema discariche e quello degli smaltimenti illegali e pericolosi, sia l’Europa per il transito del materiale in particolare verso i paesi del nord. Una filiera, quella della ‘monnezza’, che storicamente attira gli appetiti della mafie ma contro cui ancora troppo poco si è fatto, per esempio, nel campo della tracciabilità del rifiuto pericoloso.
Tutti aspetti che andranno approfonditi, soprattutto in un momento di contesto sociale come quello creato dalla congiuntura economica sfavorevole che vede imprenditori sempre più in difficoltà e dipendenti licenziati. Ed è proprio sui contesti del lavoro e del sistema economico che l’Italia deve lavorare per fare il salto di qualità nel contrasto alle organizzazioni criminali, anzitutto per togliere ossigeno alla mafia e darne a chi sul territorio opera legalmente in un periodo dove la domanda di illegalità è in ascesa. Troveremo qualcosa di tutto questo nelle ‘agende’ dei prossimi candidati?
Twitter: @lucarinaldi