L’Israele che vota Lapid? Ceto medio stanco di guerre

L’Israele che vota Lapid? Ceto medio stanco di guerre

Che aspetto avrà il nuovo governo israeliano dopo le elezioni del 22 gennaio? A quanto pare, se protagonista principale rimarrà il collaudato Benjamin Netanyahu, il principale attore non-protagonista sarà il fascinoso 49enne Yair Lapid, già conduttore televisivo ed editorialista politico. Il suo partito centrista “Yesh Atid” (“C’è un futuro”) è stato fondato appena lo scorso aprile, e ha raccolto contributi in “stile Renzi” da internet e da imprenditori insoddisfatti dallo stile di governo di Netanyahu.

Si pensava che Lapid sarebbe riuscito a conquistare una decina di seggi su 120. Alla fine ne potrà occupare diciannove, dietro al primo partito, il “Likud” del centro-destra di Netanyahu, che ha raggiunto 31 deputati. Il voto è stato frammentato come raramente nella storia del parlamento israeliano, ma si può individuare una tendenza di fondo: la decadenza del messaggio politico oltranzista dell’ortodossia religiosa e politica. Si pensava infatti che la novità delle elezioni sarebbe stata quella di Naftali Bennet, signore di nascita americana ed estremamente aggressivo sul tema degli insediamenti. Il suo partito “Casa Ebraica” avrebbe dovuto conquistare fino a 15 seggi, ma ne ha presi la metà.

La tendenza Lapid era individuabile per le strade, ma non nei sondaggi. Lapid è uno scatto d’orgoglio della classe media israeliana. È stanca della gestione oltranzista dei rapporti internazionali, tanto da – ormai – ignorarla. Si preoccupa delle questioni economiche, e non riesce a comprendere come un paese in forte crescita come Israele non sia in grado di garantire la sopravvivenza della media borghesia, tanto da costringere il governo a tagli della spesa draconiani e a nuove tasse. Il governo è sempre sembrato più preoccupato delle richieste degli ultra-ortodossi, che di affrontare la questione abitativa: il paese negli ultimi cinque anni ha subito il terzo maggior aumento mondiale nei costi immobiliari, dopo Cina e Hong-Kong.

Il premier Netanyahu aveva compreso che la batosta era nell’aria: 31 seggi sono un disastro. Insieme ai nazionalisti di “Yisrael Beiteinu”, il partito di Avigdor Lieberman, alle elezioni del 2009 aveva ottenuto 42 deputati. Il 25 ottobre aveva annunciato la fusione tra i due partiti di governo, ma i risultati sperati non sono arrivati. Ha provato a cambiare le carte offrendo una posizione “last minute” come ministro delle Finanze alla “stella nascente” del Likud Moshe Khalon, ma non è servito. Khalon è un personaggio di buon richiamo per la classe media perché da ministro delle Comunicazioni era riuscito ad abbassare di molto i costi delle telefonia, ed alcuni mesi fa aveva misteriosamente dichiarato di voler lasciare il governo.

Così, tariffe dei cellulari a buon mercato hanno potuto poco contro le idee di Lapid, portavoce del sentimento borghese. Lapid vuole prendere di petto la questione degli ultra-ortodossi: sono 700.000 persone, figliano a raffica, e di quelli in età da lavoro il 60% sceglie la disoccupazione. Nelle loro scuole non s’insegna la matematica e l’inglese, e soprattutto il pensiero critico: sono viste come “centri di programmazione mentale” per essere costretti a far parte tutta la vita di una sorta di setta religiosa. Mantenere gli ultra-ortodossi in esplosione demografica costa allo stato oltre un miliardo di euro l’anno.

Lapid sostiene che il 50% degli ultra-ortodossi lavorerebbe se ne avesse la possibilità. Ciò richiederebbe ingenti spese in formazione, ma consentirebbe alla fine di risparmiare centinaia di milioni di dollari ogni anno. Lapdid ha dichiarato poi in tempi non sospetti che entrerà in una coalizione di governo solo se si farà qualcosa contro la “Tal Law”, che praticamente esenta gli ultra-ortodossi dal servizio militare (tre anni per gli uomini e due per le donne). Vuole anche riformare il servizio militare per tutti gli israeliani. Troppi giovani si sentono “traditi” dal paese: dopo la leva, incontrano difficoltà enormi per casa, formazione e lavoro. Lapid vuole riconoscere borse di studio a chi completa tre anni di servizio, oltre a un salario in alcuni casi.

Non è un caso che il partito di Lapid sia stato il primo come voti nelle circoscrizioni di Tel Aviv, al 20,7%. Tutti i suoi messaggi politici sono orientati alla classe media moderata e alle questioni di uguaglianza sociale ed economica. È un messaggio “rivoluzionario” a fronte della tribalizzazione politica promossa da Netanyahu, abile a giostrare il favore di diversi gruppi d’interesse.

Si parla poco di politica estera: Lapid si è limitato a dichiarare di voler sostenere la “soluzione dei due stati”. È la prima volta nell’Israele contemporaneo che delle elezioni vengono giocate quasi esclusivamente su questioni politiche interne. Tutti i tentativi di Bibi di ignorare i problemi economici sono falliti. A questo punto, qualsiasi opzione per la formazione di un governo è aperta.

Se Netanyahu dovesse rimanere fedele alla sua linea politica dal 2009, dovrebbe infilare una collana di partiti nazionalisti-ortodossi dal profilo politico spaventoso per la classe media moderata. Si tratterebbe dei suoi 31 seggi, oltre agli undici dell’oltranzista Bennet di “Casa Ebraica”, e altri diciotto radunati tra le due principali formazioni ultra-ortodosse. Si trema a Tel Aviv, così come a Gaza e in Cisgiordania. Si tratterebbe però di una maggioranza risicata di 61 seggi su un totale di 120. Da sinistra, la situazione non è migliore. Lapid (diciannove seggi) potrebbe collegarsi ai quindici deputati laburisti e ad altre formazioni minori, per un massimo di 48 seggi.

Anche se Netanyahu cambiasse improvvisamente idea politica (e l’uomo non è nuovo a mosse simili) e invitasse Lapid al governo, raggiungerebbe una cinquantina di seggi. Da qui, non sembrano esserci formazioni politiche compatibili per raggiungere una maggioranza vera. Lapid non andrebbe mai d’accordo con ortodossi e ultra-nazionalisti, così come il Likud di Netanyahu non ha grandi affinità elettive con i laburisti.

Sembra, cioè, che Netanyahu sia un vincitore perdente, e Lapid un perdente vincitore. A essere sconfitta è la governabilità, e tutto lascia presagire che nuove elezioni potrebbero arrivare presto. A meno che questa iper-frammentazione non costringa finalmente la leadership del paese a impegnarsi per rifondare i presupposti politici ed economici del paese: è qualcosa che gli israeliani attendono da vent’anni.

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