Mali, l’Algeria sostiene Parigi e ora gli islamisti gliela fanno pagare cara

Mali, l’Algeria sostiene Parigi e ora gli islamisti gliela fanno pagare cara

Negli ultimi mesi, l’Algeria è il paese che più si è impegnato per impedire che scoppiasse il conflitto nel nord del Mali. È anche quello che, nella zona, per primo ne ha pagato le conseguenze. È questa l’analisi fatta oggi da molti osservatori arabi, interpellati da al Arabiya e al Jazeera per capire cosa stia accadendo davvero nel campo petrolifero di In Amenas, dove un commando di miliziani islamici ha tenuto in ostaggio 41 stranieri e 300 algerini. Questa vicenda, che ancora non si è conclusa ma appare già come un bagno di sangue, è significativa: dà ragione a quanto dicevano negli ultimi mesi le autorità di Algeri che chiedevano di evitare un’offensiva militare contro le basi di al Qaeda nel nord del Mali. Il motivo? L’attacco avrebbe fatto del Sahel un nuovo Afghanistan. L’Algeria era giunta anche a ospitare una delegazione dei ribelli Tuareg islamici del gruppo “Ansar Eddine”, alleati di al Qaeda, con i quali ha dialogato ed è stata sul punto di arrivare ad un accordo.

Eppure, con l’improvvisa offensiva francese su Konne in Mali, il via libera dell’Algeria ai caccia di Parigi per il sorvolo del suo spazio aereo sarebbe stato un errore fatale: in questo modo Algeri risulta fin da subito coinvolta in prima linea nel conflitto in corso. Insomma, non avrebbero dovuto consentire ai caccia francesi di sorvolare il proprio spazio aereo per bombardare il nord del Mali. Questa è, almeno, l’opinione di Abdel Bari Atwan, direttore del quotidiano arabo al Quds al Arabi, giornale pan-arabo pubblicato a Londra. Ieri commentava l’offensiva militare in corso nell’Azawad con un editoriale dal titolo: “L’Algeria ha sbagliato e questi sono i motivi”. Secondo il giornalista arabo, «il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, ha fatto esplodere una bomba quando ha rivelato di aver ottenuto il via libera dell’Algeria per il sorvolo del suo spazio aereo». I caccia possono passare di lì per «bombardare le basi dei gruppi islamici nel nord del Mali». E così, dato che gli aerei francesi attraversano «i cieli algerini in piena libertà e senza condizioni, di fatto l’Algeria ha dato la sua benedizione a questa operazione».

Atwan ricordava anche che da Algeri non è arrivato nessun commento alla notizia, aggiungendo che «in precedenza, il portavoce del governo algerino aveva espresso la sua contrarietà nei confronti di qualsiasi intervento militare nella crisi del Mali, spingendo verso una soluzione pacifica e rifiutando la richiesta avanzata da Hillary Clinton di coinvolgere le forze algerine in qualsiasi tipo di missione africana contro le forze jihadiste». Questa presa di posizione algerina «era, secondo noi, coraggiosa. Per questo ora la domanda è: per quale motivo il governo algerino ha cambiato posizione in favore di un paese che lo ha colonizzato per oltre 130 anni? E perché, invece, è rimasto neutrale durante la guerra della Nato in Libia, condotta contro un paese alleato (quello di Muammar Gheddafi), e in Mali ha cambiato posizione?».

Atwan rileva come «ci siano degli interessi comuni, tra Algeria e Francia, per scatenare una guerra contro i gruppi islamici nel Sahel». Il problema è che «se anche l’Algeria riuscisse ad accontentare le pretese militari francesi (…), i pericoli e le difficoltà resterebbero uguali e il fallimento sarebbe assicurato – come lo è stato in Iraq e Afghanistan. I francesi lo sanno bene e hanno ritirato le loro truppe in anticipo in Afghanistan, rifiutandosi poi di entrare con forza nella guerra in Iraq. Successivamente hanno poi cercato dei pretesti per entrare militarmente in Libia, come ha detto l’ex premier italiano Silvio Berlusconi, e i risultati drammatici dell’intervento in Libia hanno poi coinvolto l’attuale crisi in Mali».

Non a caso, a pianificare l’attacco di In Amenas non è stato un esponente di al Qaeda nel Maghreb islamico, di Ansar Eddine o del Mujao. Ma è stato Mokhtar Belmokhtar, che in questo momento ha un gran bisogno di imporsi sulla scena del mondo jihadista come nuovo leader del Sahara, dopo che l’emiro di al Qaeda in Algeria, Abdel Malik Droukedel, lo ha esautorato dalla carica di emiro della brigata degli “al Mulathamin”. Belmokhtar, allora, ha lasciato al Qaeda e ha fondato pochi mesi fa un nuovo gruppo, denominato “al Muwaqiin Bil Damm”, (Coloro che firmano col sangue). Si è, insomma, messo in proprio sfruttando la sua enorme conoscenza del business del contrabbando di armi e droga e del mercato dei rapimenti degli occidentali. È con queste tre attività che ha finanziato, per anni, prima i gruppi armati algerini e poi al Qaeda nel Maghreb islamico. Proprio per sfruttare questo mercato lo scorso anno è nato in Mali il gruppo Mujao, che è stato battezzato con il rapimento dell’italiana Rossella Urru dal campo profughi saharawi di Tindouf, nel sud dell’Algeria. Si tratta di due gruppi nati da una scissione di al Qaeda e la loro attività fa capire quanto i paesi del Sahel (Algeria, Libia, Mali e Niger) siano legati tra loro.

Belmokhtar ha iniziato negli anni novanta a contrabbandare armi e droga proprio da una base lungo il confine con il Niger. Nei mesi scorsi, quando era caduto da poco il regime di Muammar Gheddafi, era stato visto in Libia a comprare carichi di razzi anti-aereo Sam7 e portarli nelle sue basi in Mali, dove ancora oggi sono tenuti in ostaggio diversi occidentali. Nel 2005 ha messo a segno diversi attentati in Mauritania. Si muove con estrema facilità in tutta la regione, pur essendo stato condannato a morte in contumacia per tre volte in Algeria. È lui che, a distanza, ordina ai miliziani che occupano il campo di In Amenas come muoversi e cosa fare.

Non è un caso allora che il blitz sia stato effettuato con jeep – come spiegava oggi il quotidiano algerino El Khabar – che avevano targhe libiche e maliane. Tra i miliziani islamici che tengono in ostaggio 41 occidentali nel campo petrolifero di In Amenas, nel sud dell’Algeria, ci sarebbero anche terroristi provenienti da paesi occidentali. Lo ha rivelato all’agenzia di stampa mauritana Ani una fonte del gruppo islamico. «Tra di noi ci sono anche dei mujaheddin occidentali che provengono dai paesi alleati della Francia», spiega la fonte. Sembra confermarlo oggi, nel corso di un colloquio telefonico con l’emittente televisiva araba al Jazeera, uno dei lavoratori algerini rilasciati dai sequestratori. «Tra i miliziani ci sono degli stranieri, forse occidentali, che non parlano bene l’arabo. Oltre agli algerini ci sono anche egiziani e tunisini».

Intanto la vicenda va avanti e, col passare delle ore, aumenta il numero delle vittime. Dopo i due morti e sei feriti di ieri, registrati durante il blitz dei miliziani islamici, se sono arrivati altri. Si parla di 34 ostaggi (insieme ai 15 rapitori), uccisi nel sud dell’Algeria mentre si trovavano a bordo di un bus e tentavano la fuga dal campo di In Amenas. Secondo quanto ha rivelato all’agenzia di stampa mauritana Ani uno dei rapitori che si è salvato, le cose sono andate in questo modo: un gruppo di sequestratori ha tentato di fuggire a bordo di un bus portando con sé degli ostaggi, ma l’esercito lo ha attaccato con elicotteri da combattimento. Il gruppo aveva usato un veicolo della società proprietaria del campo e tra i morti ci sarebbe anche il loro capo, Abu al Bara, che era stato intervistato dalla tv araba al Jazeera dove aveva chiesto la fine dei raid francesi in Mali. Uno degli ostaggi algerini che sono riusciti a fuggire parla invece di altri 180 algerini che sono riusciti ad allontanarsi dal campo, anche se sembra che un gruppo di terroristi sia ancora all’interno con degli ostaggi.

Quella di Ain Amenas però non è l’unica zona dell’Algeria a risentire della guerra in Mali. Il verificarsi di queste scissioni conferma che la guerra sta provocando tensioni tra i miliziani del gruppo islamico, molti dei quali hanno preferito scappare verso i campi di Tindouf, nel sud dell’Algeria, gestiti dal Fronte Polisario, per sfuggire ai raid aerei francesi. Sarebbe proprio per ostacolare questo esodo che le autorità algerine hanno deciso, due giorni fa, di chiudere le frontiere con il Mali. Tuttavia, denuncia il sito Polisario confidentiel, si tratta di una mossa assunta in ritardo e a Tindouf circolano voci che, tra sabato e domenica, siano arrivati un decina di pick-up con a bordo miliziani venuti dal fronte maliano. Tra i fuggitivi ci sarebbe anche Hamada Ould Khairou, alias El Sicario, alto dirigente del Mujao, prima formazione scissionista di al Qaeda, noto come capo dei rapitori dell’italiana Rossella Urru, e sposato con una donna saharawi. 

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