L’ultimo messaggio del settennato di Napolitano ha avuto, al di là dei doveri di comunicazione al Paese, il senso di un commiato in tono minore, intriso qua e là di malinconia. E non tanto (e non soltanto) perché si trattava dell’ultimo, quanto piuttosto del quadro politico confuso e dell’incertezza sostanziale del Paese, precipitato in una prova elettorale dai contorni carichi di incognite.
Un clima che risaltava di più se appena confrontato con il messaggio precedente. Allora, un anno fa, comparve un vero e proprio “discorso del re”, quando il Presidente trasmetteva apertamente un senso di rinnovamento e di speranza, seguito alla crisi politica, al cambio di esecutivo, alla nascita del “governo tecnico” del quale l’inquilino del Colle era stata la vera levatrice. Allora, pur nella cupezza della crisi economico-finanziaria e nella certezza di onerosi sacrifici, Napolitano appariva il solido timoniere che guidava con mano ferma la nave-Italia su una rotta aspra ma sicura.
Questa volta, invece, il Capo dello Stato non nascondeva il disincanto per una situazione molto più opaca del Palazzo e di un Paese stremato dalla pesante pressione fiscale e dalla spirale recessiva. Certo, a bilancio positivo, andava valorizzata la nuova credibilità internazionale e il ruolo autorevole ritrovato nel consesso europeo, dove l’Italia ritornava protagonista e non più comprimaria, oltretutto con uno “spread” meno infuocato: ma ben poco di più.
Solo due cifre ha citato il Presidente: i due milioni di minori (il 70 % al Sud) scesi al livello della povertà strutturale e gli 85 miliardi, all’anno necessari per il servizio del debito pubblico. Dati che comunicano la gravità della crisi e la profondità di una “questione sociale” contrassegnata altresì dalla chiusura di migliaia di aziende, dall’aumento della disoccupazione e dalla sostanziale deindustrializzazione di intere regioni come la Sardegna.
E tuttavia, dentro la pesante responsabilità delle classe dirigenti, resta il dovere di offrire ai giovani prospettive per il futuro, compreso il recupero di una fiducia collettiva che superi la legittima indignazione per la corruzione, l’evasione fiscale, gli abusi delle amministrazioni e degli eletti. Ma la risposta non può prescindere da scomode “parole di verità”, che scoraggino le facili illusioni. Di qui il rosario dei problemi aperti, delle sofferenze collettive mai sanate, delle emergenze irrisolte. Un elenco particolarmente lungo e volutamente compresso nei 22 minuti del discorso (registrato, perché a un occhio allenato non sfuggivano le minime cesure tra una fase e l’altra, come pure il fatto che Napolitano non leggesse il testo, ma recitasse un intervento ben meditato che tutto doveva contenere).
Eppure, nel quadro desolato, il richiamo ripetuto e deciso alla forza della politica. “Nobile”, secondo una citazione di Benedetto Croce, e comunque indispensabile nella sua propria funzione di esercizio del bene comune. Una politica pure impotente (a cominciare dal mancato accordo sulla legge elettorale) e carica di tante occasioni sprecate sulle riforme istituzionali comunque necessarie. Ma una politica che ritrova obtorto collo il suo primato con l’accelerazione verso il momento elettorale, nell’inedita data invernale del 24 febbraio. E qui, pur nel richiamo al senso della misura e alla necessità di sforzi convergenti in Parlamento, il Presidente nota in vista un arricchimento della democrazia, una voglia di partecipare a un moto di cambiamento, con il fiorire di nuove liste (di cui raccomanda la qualità) e di raggruppamenti inediti che si confronteranno nel voto.
Non è mancato un educato risentimento verso il senatore a vita Mario Monti che, per sua libera scelta, ha rinunciato alla terzietà e si è posto come “patrocinatore” di una nuova entità, pur restando a Palazzo Chigi per il disbrigo degli affari correnti. Il che obbliga il Capo dello Stato a seguire il processo politico e a conferire, secondo Costituzione, il mandato di formare il governo secondo il responso delle urne.
E tuttavia nessuno si nasconde che con l’affollarsi delle candidature e delle coalizioni si va a sfarinare l’unico elemento chiaro dell’orrido “Porcellum”, ovvero la certezza e la consistenza delle maggioranze parlamentari. E che questa decisiva prova elettorale per il Paese porterà con tutta probabilità ad un esito francamente modesto. D’altra parte (anche i nomi e le date sono misteriosamente simbolici) forse non è proprio un caso che le elezioni siano state fissate per il giorno di San Modesto, appunto il 24 febbraio. Come pure modestamente, fra non pochi e condivisi rimpianti, sarà “in calando” l’uscita di scena di un grande Presidente…