Resta una domanda: perché Monti si è candidato?

Resta una domanda: perché Monti si è candidato?

La strana scelta del professor Monti. A un passo dal Quirinale, il premier ha deciso di impegnarsi in politica. Contro i suggerimenti di tanti – più o meno interessati – Monti ha abbandonato il ruolo super partes e si è gettato nella mischia. È “salito” in politica, dice lui. Ma a conti fatti il passaggio sembra tutto fuorché un’ascensione. Se fosse rimasto in disparte nel suo studio di Palazzo Giustiniani, l’ex commissario Ue avrebbe molto probabilmente seguito le orme di Napolitano. Poteva passare alla storia come il salvatore della Patria. Invece è costretto a trascorrere le serate in logoranti trattative con Pierferdinando Casini e Gianfranco Fini per assegnare i posti nelle liste elettorali.

Una decisione inspiegabile, almeno apparentemente. Da questa campagna elettorale Monti non ha che da perdere. Un prestigioso appartamento sul Colle più importante di Roma, tanto per iniziare. Ma anche una riconferma a Palazzo Chigi. C’è di più. Stavolta il Professore si gioca la faccia. Un risultato elettorale negativo – difficilmente le sue liste supereranno il 15-20 per cento – non potrà che rappresentare la bocciatura del suo governo tecnico. A uscire ridimensionata potrebbe essere anche la sua figura. Un presidente del Consiglio che si presenta agli elettori italiani e non arriva neppure sul podio è uno scenario da fare arrossire di vergogna. Stando ai sondaggi che circolano in questi giorni, l’ipotesi è tutt’altro che marginale. Il centrosinistra di Bersani e Vendola è prossimo al 40 per cento. Il centrodestra di Berlusconi, in crescita, è ormai vicino al 25. Il movimento Cinque stelle di Beppe Grillo naviga attorno al 15 per cento. E se a urne chiuse Mario Monti scoprisse che la sua coalizione ha ottenuto ancora meno preferenze?

E allora perché il Professore ha deciso di entrare in politica? La logica avrebbe consigliato il contrario. Il suo tornaconto personale anche. Gli alleati più fedeli la buttano sul patriottismo. «È un generoso». Monti avrebbe anteposto il bene dell’Italia alle sue aspirazioni. Intendiamoci, tra i sostenitori del premier nessuno parla di débâcle elettorale. Anzi, in molti sognano ancora un miracolo a fine febbraio. Si citano sondaggi che assegnano alla coalizione del premier uscente ben più del 20 per cento. Si confida in una campagna elettorale capace di moltiplicare i consensi del Professore. Si spera che Monti possa confermarsi una figura centrale anche nella prossima legislatura. Nessuno fa mistero che – in caso di un buon risultato di Berlusconi – il centrosinistra sarebbe costretto a scendere a patti con il Professore e la sua squadra. Da questo punto di vista, paradossalmente, gli alleati del premier vedono il temuto pareggio al Senato quasi come una benedizione.

I conti continuano a non tornare. Se Monti avesse voluto perseguire il bene del Paese, perché non restare fuori dalla politica? Uno scontro elettorale tra Bersani e Berlusconi – a forza di insulti e colpi bassi – non avrebbe fatto altro che accreditarne ancora di più la candidatura al Quirinale. Del resto il segretario Pd era stato chiaro. Poco prima di Natale aveva chiesto al presidente del Consiglio di non impegnarsi direttamente. Lasciando intendere che in cambio il partito avrebbe mostrato la sua riconoscenza, magari al momento di votare il successore di Napolitano. Invece adesso la presidenza della Repubblica si è allontanata. Forse definitivamente.

Che dietro all’impegno di Monti ci sia un’ambizione personale? Vuoi vedere che dopo un anno alla guida del governo, il Professore ha scoperto di non poter fare più a meno del potere (politico)? «Di certo il premier è rimasto lusingato dai tanti attestati di stima ricevuti in questi mesi» spiegano. Non solo. A sentire i bene informati quella di Monti avrebbe quasi il sapore di una sfida. Se non di uno sfizio personale. C’è chi racconta che il Professore avrebbe maturato la decisione di affrontare la nuova avventura già da qualche tempo. Il sogno di un’esperienza da leader politico, assente sinora dal suo lungo curriculum.

Gli inviti di Montezemolo, Casini, Fini. Certo. Ma dietro alla discesa in campo di Monti c’è anche un’altra tipologia di lusinghe. Le pressioni dei leader internazionali. Non lo negano neppure i suoi. Un ruolo importante nella scelta montiana di entrare in politica è stato giocato da alcuni capi di stato e di governo stranieri. Non sfugge il recente invito del presidente Wilfried Martens al vertice del Partito popolare. Non a caso sono recentemente emerse alcune indiscrezioni sulla telefonata di auguri – ma soprattuto di complimenti per la scelta di candidarsi – ricevuta nei giorni di Natale da parte del presidente americano Barack Obama.

Monti convinto a scendere in campo dal suo amor patrio, dai consigli di un leader straniero, dalla propria vanità. E poi c’è la pista retroscenista. Il Professore costretto a candidarsi a guida di una coalizione per difendere gli interessi di questo o quel gruppo di potere. Magari delle banche, di cui molti ancora lo accusano di rappresentare la longa manus. Il confine con scenari paranoico-complottisti è labile. Ma c’è anche chi la vede così. Di solito a parti invertite. Per diversi esponenti di centrodestra Monti si è candidato per agevolare la vittoria delle sinistre. Dalle parti di Bersani si è convinti del contrario. «È sotto gli occhi di tutti – ha spiegato questa mattina il coordinatore delle commissioni economiche Pd Francesco Boccia – che la nascita di questa operazione politica avviene per evitare che il centrosinistra vinca le elezioni». Il candidato premier Mario Monti? Un emissario occulto del Cavaliere.