Rompiamo il tabù: il Pil è una misura insufficiente

Rompiamo il tabù: il Pil è una misura insufficiente

Tempo di crisi e di vacche magre. Molte persone affrontano un periodo difficile, con la disoccupazione a livelli elevati e persistenti, l’erosione del potere d’acquisto dovuto a salari immobili dal 1992, una pressione fiscale in aumento per le misure di austerità. Parlare, dunque, di misurazione del progresso può sembrare ai più superficiale, quando non offensivo. Chi mette in discussione il Pil, di questi tempi, viene tacciato di sterile intellettualismo. 

Eppure, mi auguro che il 2013 sia un anno che confermi l’importanza crescente di questi temi nel dibattito politico internazionale e che, anzi, segni per l’Italia una svolta, con il Bes (Indice di Bessere Equo e Sostenibile) che sta per essere lanciato dall’Istat. Non sono un fanatico seguace della decrescita, né metto in discussione l’importanza che ha il reddito come mattone fondamentale per il benessere di una famiglia. Tuttavia, una riflessione sulla misurazione del progresso è urgente e salutare. 

Trovo un’immagine particolarmente efficace in giorni di festa e di libagioni colossali: quando una persona decide una dieta, si pone l’obiettivo di dare al proprio organismo una certa forma e, per raggiungerla, dovrà mangiare una percentuale di grassi, zuccheri, proteine. Stabilire in quale proporzione distribuire il loro consumo è compito delicato e nient’affatto banale. Ecco,la crescita del Pil è un po’ lo stesso problema: nessuno mette in discussione l’importanza del segno +. Tuttavia, è essenziale stabilire come questo + sia articolato e di cosa sia composto.

Il Prodotto Interno Lordo è un indicatore sintetico estremamente utile e necessario, anche, nel fornire informazioni a livello micro e macroeconomico sulla salute in un dato momento di un certo Paese. Esso è inoltre correlato positivamente con molte dimensioni del benessere: più Pil si associa a meno crimini, a una ridotta mortalità infantile, a un maggiore tasso di alfabetizzazione.
Eppure, il Pil ha alcune grosse pecche, e mi piace sottolinearne alcune.

Il Pil, innanzitutto, è una grandezza che misura un flusso. Esso può essere visto come la somma di tutti i redditi (da lavoro e da capitale) prodotti in un’economia in un dato anno. Ma voi considerate ricca una persona esclusivamente in base al reddito che percepisce? Se foste una banca, concedereste un prestito a un cliente con un alto reddito, senza prima verificare la sua posizione debitoria o i suoi possedimenti (case, azioni, etc.)?

Il Pil è come un enorme stipendio, insomma, che non tiene conto della posizione debitoria e del patrimonio. Inoltre, esso non considera il ‘capitale naturale’: se si estrae una risorsa dal terreno, tale attività produce un flusso di reddito che aumenta il Pil, ma l’impoverimento e deprezzamento della risorsa stessa non vengono inclusi nella contabilità nazionale. Il grafico qui sotto rappresenta, per gli Stati Uniti, l’evoluzione del Pil dagli anni Cinquanta a oggi, insieme a quella di un altro indicatore, il Gpi (Genuine Progress Indicator).

L’indicatore di Progresso Autentico, questa la traduzione migliore, è una proposta di correzione del Pil che ‘aggiusti’, in qualche modo, la dieta dei governi. Esso, infatti, aggiunge alla contabilità nazionale una stima monetaria del lavoro domestico (cura dei bambini e della casa) e dell’istruzione; toglie dal computo il flusso di reddito generato da attività criminali; corregge la misura sottraendo i costi dell’inquinamento e del depauperamento delle risorse naturali. Aggiunge infine il valore degli investimenti netti.

Con una dieta simile, il risultato per gli Stati Uniti è abbastanza eloquente: dagli anni Cinquanta a oggi, se il Pil è cresciuto in modo sostenuto, il Gpi è rimasto pressoché costante, il che per altro è in linea con tutte le ricerche sulla felicità di questi anni, che mostrano una situazione stagnante.

L’implicazione non è affatto banale, ma porta a un auspicio per gli anni a venire: la retorica della crescita non è attaccabile solo in ragione del segno che a essa si accompagna. Non è, infatti, una questione di + o di -.  O meglio, non soltanto. È politicamente rilevante rispondere anche a un altro tipo di domanda: come si cresce?  Mettere in discussione la misurazione del progresso significa provare ad articolare una risposta concreta. 

*Luciano Canova insegna alla Enrico Mattei School (clicca qui per il suo curriculum completo)

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