«La commissione ritiene che non vi siano elementi per mettere in dubbio quanto affermato dal ministro della Difesa circa il fatto che le Forze Armate non hanno mai utilizzato né posseduto o stoccato sul suolo nazionale munizionamenti di tale tipo». Dopo cento sedute e quasi tre anni di lavoro la commissione parlamentare di inchiesta sull’uranio impoverito presenta i risultati. In mattinata il presidente Rosario Giorgio Costa ha illustrato al Senato una sintesi della relazione conclusiva. Un testo di oltre 250 pagine, votato all’unanimità, che sarà pubblicato tra una decina di giorni.
Sull’uranio impoverito restano ancora molti dubbi. «La commissione – si legge – non ha acquisito alcun elemento circa la presenza di tracce di uranio impoverito nelle aree di poligoni di tiro». Questo non vuol dire che non ve ne sia. «Non si può confermare una sua effettiva, inoppugnabile presenza» racconta il Pd Gian Piero Scanu, membro della commissione. «Ma in futuro non è detto che sia così». Mistero. Negli ultimi anni la commissione ha ascoltato diversi esperti. «Numerose audizioni che hanno fornito diverse interpretazioni, talvolta persino contrastanti tra loro», continua Scanu.
Non è tutto. «La commissione – si legge ancora – nel prendere atto delle caratteristiche di tossicità chimica e radiologica dell’uranio impoverito ritiene che si debba confermare quanto già verificato dalle precedenti commissioni nelle passate legislature, circa l’impossibilità di asserire o escludere con certezza la sussistenza di un nesso causale tra l’esposizione all’uranio impoverito e l’insorgere di patologie tumorali». La vicenda non è così semplice. Almeno stando alle conclusioni raggiunte dall’organismo parlamentare. Piuttosto si deve «guardare al complesso delle realtà cui le Forze Armate operano nei teatri esteri e all’interno» prosegue il documento. Diventa necessario «adottare un principio di multifattorialità causale che, nella elaborazione e nell’implementazione della legislazione in materia di indennizzi, deve comportare l’adozione del principio di probabilità logica, in tutti i casi nei quali dall’esame dei contesti ambientali e operativi si possa desumere una concomitanza di fattori potenzialmente patogeni che porti a un alto grado di credibilità razionale».
Il tema è stato particolarmente discusso. Per la prima volta, la commissione non ha ascoltato solo tecnici ed esperti, ma ha coinvolto nelle indagini anche militari malati e parenti dei militari deceduti. «Le evidenze scientifiche si limitano al campo statistico. Queste audizioni hanno avuto anche un inedito valore umano» racconta la senatrice Pd Cinzia Fontana. Uno dei meriti della commissione di inchiesta è proprio questo. Le pressioni dell’organismo parlamentare hanno portato «allo sblocco delle liquidazioni dei benefici dovuti ai militari affetti da gravi patologie invalidanti e alle famiglie di coloro che sono deceduti, previsti ai sensi dell’articolo 603 del codice dell’ordinamento militare». Soprattutto, il lavoro della commissione ha riaperto decine di altri casi che il Comitato di verifica delle cause di servizio aveva rigettato. Su 225 pareri contrari, le vicende dubbie sono circa il 40 per cento. Alla luce dei risultati dell’inchiesta, il parere della commissione è che questi casi vengano riaperti.
Un rilevante capitolo dell’inchiesta riguarda «il problema delle vaccinazioni» a cui sono sottoposti i nostri militari. «Una novità assoluta», spiega Cinzia Fontana. Dai documenti analizzati nel corso dell’inchiesta, la commissione «può desumere la mancata osservanza dei protocolli vaccinali che la stessa Difesa si è data». Non è ovviamente in dubbio l’efficacia della profilassi vaccinale. «Secondo la commissione, si deve vigilare da parte delle autorità competenti affinché in futuro si evitino errori, che si sono verificati, nella somministrazione, eccessi di dosaggio, somministrazioni multiple in tempi ravvicinati quando non necessari, richiami di vaccinazioni contro malattie per le quali il soggetto è già immunizzato, e si assicuri l’adempimento degli obblighi per quanto concerne l’anamnesi vaccinale e l’acquisizione del consenso informato».
E poi ci sono i poligoni di tiro. Come già previsto nella relazione intermedia approvata lo scorso maggio, la commissione ribadisce «l’esigenza di procedere celermente alle bonifiche dei siti inquinati». L’ultima manovra finanziaria prevede una spesa di 75 milioni di euro. La commissione, spiega il senatore Scanu, propone un investimento di 300 milioni. Obiettivo: la chiusura dei poligoni sardi di Capo Teulada e Capo Frasca e la riconversione di Salto di Quirra.