Il centrosinistra vincerà le elezioni. Pier Luigi Bersani sarà il nuovo presidente del Consiglio. Se non ci saranno clamorose novità, l’esito della competizione elettorale è già scritto. La decisione del segretario di dar vita alle primarie ha pagato. Così come la serietà di una corsa al voto priva di improbabili promesse elettorali. Eppure Bersani poteva stravincere. Non lo farà. Per come si erano messe le cose fino a metà dicembre, il centrosinistra poteva governare senza scendere a compromessi con nessuno. Invece è molto probabile – anche se non certo – che alla fine, per avere i numeri in Parlamento, Pd e Sel dovranno allearsi con Monti. Una vittoria a metà, insomma. Per almeno dieci piccoli errori commessi da Bersani in campagna elettorale.
1) Matteo Renzi è stato coinvolto troppo tardi. Durante le primarie il sindaco di Firenze ha avuto l’indubbio merito di accendere i riflettori sul centrosinistra, avvicinando al Pd un numero imprecisato di nuovi elettori. Inutile negarlo: la presenza di Renzi in campagna elettorale sarebbe stata un traino fondamentale. E invece si è preferito far finta di niente. Troppo recenti gli scontri con alcuni dirigenti del partito per coinvolgere direttamente l’ex rottamatore. Convinto dai sondaggi, il segretario ha successivamente cambiato idea. Qualcuno ha calcolato che il primo comizio in tandem Bersani-Renzi, una decina di giorni fa a Firenze, sia valso da solo un paio di punti nei sondaggi. Tra una settimana si replicherà in Sicilia.
2) Troppo ambiguo il rapporto con Mario Monti. Molti elettori di centrosinistra hanno avuto l’impressione che tra il Pd e il Professore sia già stato siglato un accordo per il dopo elezioni. Una bufala? Nel dubbio Silvio Berlusconi ne ha approfittato, denunciando più volte «l’inciucio». Il Cavaliere è stato bravo a lanciare un messaggio potenzialmente letale: “I voti dati a Bersani finiscono inevitabilmente a Monti (e viceversa)”. Il segretario democrat non è stato altrettanto efficace nel rispondere. Perché sottolineare ogni giorno che in caso di elezione a Palazzo Chigi il centrosinistra dialogherà con i moderati? Il rischio di demotivare qualche elettore è concreto.
3) Troppo stretto il vincolo con Nichi Vendola. Il rapporto tra Pd e Sel nasce qualche mese fa. E trova fondamento nella carta d’intenti firmata da tutto il centrosinistra. Eppure – vista la scelta di dialogare anche con le forze moderate – era proprio necessario legarsi indissolubilmente con il partito del governatore pugliese? Non bastava un’alleanza politica, senza troppe carte bollate? Ben vengano le scelte di chiarezza. Ma in questo modo Bersani ha finito per prestare il fianco agli attacchi e alle malizie degli avversari. Trovandosi troppo spesso al centro delle accuse reciproche di Monti e Vendola.
4) Silvio Berlusconi non è stato preso sul serio. Oggi è evidente. Quando il Cavaliere ha annunciato la sua discesa in campo, troppi dirigenti nel Pd hanno festeggiato. A Largo del Nazareno si pensava di aver già vinto la campagna elettorale. Quasi tutti hanno snobbato la sfida dell’ex premier, nessuno lo riteneva un avversario credibile. Eppure, uno show televisivo dopo l’altro, Berlusconi è riuscito nel miracolo. Anche con l’aiuto dello scandalo Mps, il Pdl è risalito nei sondaggi. Il Pd ha perso gran parte del vantaggio accumulato.
5) Il leitmotiv del voto utile. Per Pier Luigi Bersani ogni occasione è buona per riproporre il logoro discorsetto sul voto utile. Più che uno slogan, un mantra. E poi siamo sicuri che sia davvero efficace? Quanti italiani avranno deciso di votare Pd convinti dal monito del segretario? Più facile che qualcuno si sia offeso (ci sono forse voti meno degni di altri?). Oltretutto chi ha sempre cavalcato la tiritera del voto utile è Silvio Berlusconi. Insistendo su questo tasto Bersani ha finito solo per accostare la propria campagna elettorale a quella del Cavaliere.
6) Le poche capacità televisive. Da questo punto di vista Bersani ha tutte le giustificazioni possibili. Berlusconi, il principale avversario politico, è un mago del mezzo tv. La rimonta del Pdl è nata sugli schermi. Mediaticamente parlando, il confronto con il Cavaliere non sussiste. Bravo, preparato, serio, affidabile, ma il segretario Pd in tv non viene proprio bene. Un dato cui si aggiungono errori da principiante. Chi ha organizzato l’intervista a Porta a Porta nelle stesse ore in cui Berlusconi sfidava Santoro nell’arena di Servizio Pubblico (il programma politico più seguito degli ultimi tempi)?
7) La gestione delle Regionali in Lombardia. A dodici giorni dal voto ancora si discute su desistenze e voti disgiunti. La presenza di un candidato montiano come Gabriele Albertini è sicuramente uno svantaggio per il democrat Umberto Ambrosoli. Peggio, forse, solo il caos che si è creato nelle ultime settimane. Con alcuni esponenti di Scelta Civica che hanno invitato gli elettori a votare per Ambrosoli. E il presidente Monti che ha difeso la candidatura del suo uomo. Non si poteva proprio gestire altrimenti la situazione? Anche perché in ballo non c’è solo il Pirellone. La Lombardia è una regione chiave anche per i futuri equilibri politici. La maggioranza in Senato probabilmente si deciderà qui.
8) Le polemiche con Antonio Ingroia. Il rapporto con Rivoluzione civile doveva essere coltivato diversamente. La questione delle desistenze al Senato è esemplare. Stando ai racconti dell’ex pm palermitano, il Pd avrebbe chiesto a Rc di ritirare le candidature in alcune circoscrizioni per non avvantaggiare il centrodestra. Bersani assicura che non c’è stata alcuna trattativa. Nel dubbio, l’immagine del partito che ne esce è tutt’altro che positiva. Un centrosinistra impaurito dell’avversario che tenta di aggirare le regole per vincere. Intanto, così assicurano diversi sondaggisti, buona parte delle preferenze di Sel sono finite a Ingroia.
9) I tempi della campagna elettorale non sono stati studiati con attenzione. Un’impressione, certo. Eppure sembra quasi che Bersani abbia iniziato troppo presto. Non è il caso delle primarie e delle parlamentarie: dopo tutto non si potevano scegliere leader e candidati troppo a ridosso del voto. Eppure rispetto agli avversari sembra ci sia stata quasi troppa fretta di partire. La campagna virale de “L’Italia Giusta” ha anticipato tutti. E quando gli altri hanno iniziato a fare campagna sembrava che Bersani avesse già sparato tutti i colpi. Tanto che Silvio Berlusconi si è permesso di presentare l’annuncio choc della restituzione dell’Imu con tre settimane di anticipo rispetto al voto.
10) Beppe Grillo è un problema per ogni partito. Il Movimento Cinque Stelle pesca voti tanto dal centrodestra che dal centrosinistra. Risultato: tutti attaccano l’ex comico. Berlusconi gli dà del comunista, Bersani del fascista. In pochi si rendono conto di fare il suo gioco. In questi giorni l’impressione è quella di un fronte politico unito, coalizzato contro di lui. Esattamente l’immagine che Grillo vuol dare al Paese.