“È una nuova tangentopoli…”, dice Mario Monti. “Ma a differenza del 1992 siamo senza speranza!” La raffica di arresti e di scandali degli ultimi mesi riportano all’attenzione quel che fu, vent’anni fa, il biennio tragico di Mani Pulite: scandali, corruzione, il protagonismo mediatico del pool di Milano e l’azzeramento di una intera classe politica. E poi i suicidi di protagonisti e l’intreccio politica-affari ma, soprattutto, l’incapacità italiana di ragionare sulle regole e di imparare dalle lezioni del passato. Ripubblichiamo stralci dell’intervista che il Corriere della Sera fece nel luglio 2003 a Sergio Cusani, in occasione del decennale del suicidio di Raul Gardini. Il 20 luglio 1993, si suicida l’ex presidente dell’Eni, Gabriele Cagliari. Tre giorni dopo è la volta di Gardini, il finanziere che scalò Montedison. È questa la deriva che attende nuovamente il nostro paese?
«Vi racconto il mio amico Gardini. Si sparò per proteggere i Ferruzzi» è il titolo dell’intervista a Sergio Cusani pubblicata dal Corriere della Sera il 17 luglio 2003.
«Certo, era un orgoglioso. Certo, non voleva rassegnarsi all’umiliazione del carcere. Ma sono convinto che Raul Gardini si uccise soprattutto per prendere su di sé, con un gesto estremo di difesa, l’ onta delle accuse che stavano per investire i Ferruzzi. E, in particolare, lo fece per amore nei confronti di sua figlia Eleonora. Erano legatissimi e anche lei stravedeva per il padre». Quel 23 luglio del 1993, un venerdì, Sergio Cusani perse un amico. E la sua vita venne sconvolta per sempre. Cominciò la giornata ai funerali di Gabriele Cagliari, l’ex presidente dell’Eni che tre giorni prima si era suicidato in carcere soffocandosi con un sacchetto di plastica.
Durante le esequie, Cusani apprese che anche Gardini si era tolto la vita. E alle tre del pomeriggio, si trovò in carcere, su ordine della Procura di Milano. Dieci anni dopo, l’ex finanziere, l’uomo dei Ferruzzi, il gestore della maxi tangente Enimont ai partiti, ha finito di saldare il suo conto con la giustizia. Un prezzo salato. Di tutti i protagonisti della vicenda Enimont (banchieri, manager di Stato, industriali, politici) lui è quello che ha scontato la pena più pesante: 5 anni e 6 mesi, di cui quattro trascorsi in cella. Adesso, a dieci anni di distanza da quel colpo di pistola che spezzò la vita del suo amico Raul, Cusani ripercorre attraverso i suoi ricordi la strada che ha portato a quella tragica scelta. Racconta di guerre finanziarie e di ordinarie liti familiari. E dal suo punto di vista traccia un bilancio amaro dell’esperienza di Mani Pulite.
Dottor Cusani, quando incontrò per l’ ultima volta Gardini? «Pochi giorni prima del suicidio. Era un uomo provato, mentalmente e fisicamente. Lo tenevano sulla graticola.» Chi? «La Procura di Milano. I magistrati si rifiutavano di incontrarlo. Altri imprenditori se la erano cavata con un incontro e un memoriale. A Gardini questo non fu permesso nonostante i suoi avvocati insistessero perché andasse a fare dichiarazioni spontanee come era accaduto per altri finanzieri e industriali». E perché ci sarebbe stato questo accanimento proprio verso Gardini? «Era considerato un anello debole del capitalismo italiano. Dopo la rottura con la famiglia Ferruzzi aveva perso molto del suo potere, non aveva coperture politiche e non possedeva mezzi di comunicazione di massa. Insomma era vulnerabile. D’altra parte colpendo Gardini si otteneva un grande effetto mediatico».
Può spiegare meglio? «Proprio così. Raul era un personaggio di grande popolarità. Un po’ per merito del Moro di Venezia e della Coppa America di vela. E poi per il suo carattere impetuoso. Nell’immaginario collettivo era l’imprenditore che aveva osato sfidare i partiti e un gigante come l’Eni». Sta dicendo che arrestare Gardini serviva ad alimentare giornali e televisioni? «Quello che ho percepito subito, ma ho maturato durante la mia detenzione, è che l’inchiesta di Mani Pulite era basata sull’effetto mediatico e ogni giorno andava fornita carne fresca». C’erano anche i reati, o no? «Sicuramente. Io stesso ho ammesso le mie responsabilità ed ero pronto a raccontare i rapporti perversi tra industria e politica. Mi è stato detto che non interessava. Che io dovevo rispondere di falso in bilancio e finanziamento illecito dei partiti. I processi, però, dovrebbero servire a perseguire i reati, ma anche a svelare i meccanismi della corruzione per impedire che si riproducano. Questo obiettivo, purtroppo, non è stato perseguito».
Perché? «In parte perché anche la magistratura ha giocato una battaglia di potere. In parte perché magistrati come il dottor Antonio Di Pietro non avevano determinazione sufficiente e forse mancavano degli strumenti tecnico culturali, per capire quei meccanismi occulti. Un magistrato preparato come il dottor Francesco Greco, che invece quegli strumenti li possiede, fu di fatto messo da parte». Nelle settimane precedenti il suicidio Gardini stava cercando di rientrare in gioco unendo le sue attività con quelle dei Ferruzzi e di Sergio Cragnotti. Come andò? «Avevamo lavorato a lungo a quel progetto. L’obiettivo della gestione di Carlo Sama, diventato leader dei Ferruzzi dopo l’uscita di Gardini, era quello di riunire tutte le attività concentrandosi sull’ agroalimentare. Eridania doveva diventare la holding di tutto il gruppo. Era un ritorno alle origini agroindustriali. Ma il sistema bancario, guidato da Mediobanca, ci negò il suo appoggio. In quei giorni tutti i principali istituti chiusero i fidi al gruppo Ferruzzi. Fu un segnale preciso: il nostro progetto doveva fallire. Persa quell’ opportunità, fu il crollo».
Lei fu a fianco di Gardini durante tutta la vicenda Enimont. Che cosa significò per lui? «Fu una sconfitta bruciante. Ne uscì molto provato nel fisico e nella mente. Subì la sconfitta e la somatizzò duramente. Si era innamorato del sogno di una chimica italiana forte su scala mondiale. Questo, per Raul era il progetto Enimont». Enimont però fu anche la madre di tutte le tangenti, come per primo rivelò ai magistrati l’ex presidente di Montedison Giuseppe Garofano. Una confessione che precedette di poche ore il suicidio di Gardini. «Gardini non si faceva nessun problema a pagare i partiti per raggiungere i suoi scopi. Da quanto mi diceva tutte le forze politiche, con la sola eccezione dei radicali, hanno ricevuto finanziamenti dal gruppo Ferruzzi. Questo però non vuol dire che Raul non credesse davvero a quel progetto».
Resta il fatto che il polo della chimica fu il paravento dietro al quale vennero consumate scorribande finanziarie di ogni genere. «È vero. E io lo so bene. So anche, però, che allora i mercati finanziari erano di fatto un far west privo di regole. E la politica evitava di regolamentare la finanza perché ne aveva un tornaconto diretto in termini di finanziamenti occulti. Adesso, a più di dieci anni di distanza, questi paletti regolamentari sono stati piantati. Molti avvenimenti recenti, però, sembrano suggerire che in questi anni gli organi di vigilanza si sono distratti in più di un’ occasione». Come nacque Enimont?