Nell’Italia che affossa il merito, che non scalfisce i privilegi e difende le rendite di posizione, c’è chi ha scelto di dire basta. Anche nella bistrattata, martoriata e sempre più impoverita scuola pubblica. E così che un manipolo di insegnanti ha deciso di scendere sul sentiero di guerra contro il cosiddetto Tfa Speciale, la sanatoria “salva-privilegi” approvata dalla VII Commissione del Senato che rischia di mandare gambe all’aria tutto il lavoro di migliaia di giovani aspiranti docenti che per l’agognata cattedra avevano dovuto superare complessi (e costosissimi) esami e tirocini. Il Tfa speciale, infatti, intende equiparare ai vincitori del regolare concorso anche tutti coloro che, pur non avendo passato gli esami o non avendovi nemmeno preso parte, possano vantare almeno tre anni di insegnamento alle spalle.
«Un parametro ridicolo» sbotta Ilaria, 28 anni, di Torino, una delle vincitrici piemontesi del difficilissimo Tfa tradizionale che ora rischia di vedersi soffiare il posto dai soliti “paracadutati” di Stato. «Chiunque abbia qualche “aggancio” con il preside di una qualsiasi scuola – spiega infatti la giovane a Linkiesta – può soddisfare un requisito del genere, anche solo in forza di qualche supplenza fatta qua e là. Gli esami, invece, bisogna superarli».
Ma facciamo un passo indietro: il Tfa (Tirocinio formativo attivo) è l’iter di abilitazione per insegnanti bandito l’estate scorsa per consentire l’accesso alla seconda fascia, ovvero quella dalla quale è più probabile essere chiamati a insegnare nelle scuole medie o nelle scuole superiori. Per partecipare alle selezioni, i candidati dovevano essere in possesso di una laurea del vecchio ordinamento e degli eventuali esami richiesti per poter avere accesso all’insegnamento; di una laurea del nuovo ordinamento specialistica o magistrale e degli eventuali crediti formativi per poter avere accesso all’insegnamento, o ancora del diploma Isef, per i Tfa di Scienze Motorie. Per prendere parte al concorso, il candidato doveva inoltre versare una quota di iscrizione (140 euro, ad esempio, per i candidati piemontesi) e affrontare un tour de force di sei mesi con una prova preliminare, un esame scritto e uno orale. Superati gli scogli, ecco l’accesso ai corsi di abilitazione veri e propri, con tanto di tirocinio obbligatorio in una classe di scuola media o superiore, a seconda della destinazione scelta dal candidato.
«Ho speso 280 euro per tentare entrambe le strade, ho superato la prova preliminare, il test scritto, quello orale e sono stata tra i circa 30 selezionati piemontesi ammessi al prosieguo dell’iter» racconta ancora Ilaria. Qui è arrivata un’altra mazzata: 2.654,62 euro da versare subito come quota di iscrizione al corso di abilitazione e al tirocinio obbligatorio. Altri sei mesi di duro lavoro per accedere alla tanto agognata seconda fascia. Una faticaccia, è vero, e anche costosissima, ma improntata per lo meno su una sana base meritocratica: chi studia, chi si impegna, chi dimostra di avere i numeri va avanti. Gli altri no.
Invece gli altri sì. Perché qualche giorno fa la VII Commissione Permanente del Senato (Istruzione pubblica, beni culturali, ricerca scientifica, spettacolo e sport) ha votato all’unanimità l’introduzione del Tfa Speciale, che consente l’abilitazione anche a coloro che pur non avendo superato il corso (o non avendo nemmeno partecipato) hanno in curriculum almeno tre anni di insegnamento. E così, a scapito del merito, del lavoro e dello studio, ecco che arriva un escamotage che salva le rendite di posizione. Un escamotage cucito su misura per i piccoli baroni del precariato, quelli che non sono mai arrivati primi, ma sono soltanto arrivati prima. Un escamotage molto italiano. E la meritocrazia? Finisce in coda.
«In quale paese del mondo civile migliaia di giovani insegnanti che si sono sottoposti a una rigida selezione, fatta di tre prove, scritte e orali, vengono scavalcati seduta stante da chi a quelle stesse prove è stato bocciato o si è rifiutato di accedere?» si chiede ora l’Adi, l’Associazione dei Docenti Italiani, pronta anche ad adire le vie legali per vedere ristabilito il criterio meritocratico.
«Qual è il merito dei “graziati ripescati”? Solo di essere più vecchi, nonostante la loro anzianità di servizio fosse già riconosciuta nel bando per il Tfa ordinario. E questo avviene in un Paese che ha la classe docente più vecchia d’Europa» prosegue ancora la denuncia dell’Adi. «I “graziati” non solo non hanno superato, o non hanno voluto fare, le prove a cui si sono sottoposti i colleghi entrati nel Tfa ordinario, ma sono stati bocciati presumibilmente nelle SSIS e nelle precedenti sanatorie che hanno avuto luogo fino all’anno 2005. Oppure sono persone che hanno solo pochi mesi o giorni di servizio più di chi ha fatto e passato le prove del Tfa ordinario. Si può stracciare così l’articolo 3 della nostra Costituzione?».
«Se anche questa ennesima sanatoria passerà – dicono gli insegnanti – possiamo mettere una pietra tombale sulla possibilità di rilancio della professione docente in Italia. È un atto di gravissima irresponsabilità che questo ministero si assume insieme alle forze politiche, nessuna delle quali ha finora alzato un dito per fermare questo ennesimo scempio. Una vergogna».
Una vergogna che l’associazione dei docenti italiani non intende far passare sotto silenzio. Anzi. Chi per accedere in seconda fascia ha dovuto sobbarcarsi il difficilissimo percorso di esami, corsi e tirocini (sborsando tra l’altro fior di soldini), è pronta ad andare davanti al giudice per veder riconosciuti quei diritti acquisiti con tanto sforzo: «L’unica via rimasta, per quanto a noi invisa, è quella di procedere per vie legali. L’Adi ha pertanto aderito e sostenuto la diffida che un folto gruppo di iscritti al Tfa ordinario ha prodotto contro il ministero Università e ricerca per fermare il decreto», come si legge in un comunicato stampa ufficiale pubblicato sul sito dell’Adi. «Se ciò non basterà – promettono gli insegnanti – sosterremo tutte le successive azioni legali che saranno necessarie».