Silvio Berlusconi mette le mani sul Senato. Stando ai dati che il Viminale aggiorna di minuto in minuto, al Cavaliere sarebbe riuscito il miracolo. Il centrodestra conquista quasi tutte le regioni chiave (Lombardia, Sicilia, Campania). L’ex premier ipoteca buona parte dei seggi disponibili, rendendo di fatto ingovernabile la Camera alta. Un risultato inatteso. Forse non se l’aspettava nemmeno lui.
Il rischio ingovernabilità si fa concreto. Al Senato probabilmente sarà impossibile trovare una maggioranza, a prescindere da ipotetiche alleanze con i centristi di Mario Monti. In attesa di analizzare i dati definitivi, una prima realtà emerge con chiarezza. Silvio Berlusconi aveva ragione. La rimonta che tanto decantava durante le ultime settimane di campagna elettorale era vera. Almeno a Palazzo Madama il Cavaliere sembra essere riuscito a conquistare i voti necessari per pareggiare la partita. Con buona pace di chi temeva lo stallo istituzionale.
Un paio di mesi fa Berlusconi era partito con un ampio svantaggio. È riuscito a colmare le distanze. Non sono serviti a nulla i quattro anni «di governo fallimentare», come spiega incredula in tv la bersaniana Alessandra Moretti. Né, evidentemente, ha influito sul voto degli italiani il ventennio da protagonista della politica. La prima conseguenza? Alcuni autorevoli esponenti del Partito democratico considerano già necessario il ricorso a nuove elezioni. Esattamente come accaduto in Grecia la scorsa primavera.
Vinti e vincitori. Se Berlusconi festeggia, Pier Luigi Bersani non può fare altrettanto. A prescindere da come andrà a finire la conta dei voti, il segretario Pd è finito al centro delle polemiche. Nei primi salotti televisivi si inizia a mettere in dubbio la sua campagna elettorale e il progetto politico. Come è stato possibile dilapidare un così grande vantaggio elettorale in poche settimane? Matteo Renzi, sconfitto alle recenti primarie, torna improvvisamente d’attualità.
Il voto di oggi evidenza anche un paradosso. Forse privo di una chiara maggioranza, sarà proprio questo Parlamento a dover prendere alcune delle decisioni più rilevanti. Votazioni destinate a indirizzare la politica italiana dei prossimi anni. A dispetto di un equilibrio tutto da verificare, entro aprile le due Camere avranno il compito di nominare il prossimo presidente della Repubblica. Ma dovranno anche riformare la legge elettorale. Passaggio necessario – queste elezioni hanno almeno il merito di evidenziare tutti limiti del Porcellum – anche se si tornerà al voto in tempi brevi.
Intanto emergono le prime verità. Ad esempio il boom di Beppe Grillo. Era prevedibile, in parte anche previsto. Il Movimento Cinque Stelle conferma le attese. I grillini – come già era accaduto alle ultime regionali in Sicilia – sembrano essere diventati il primo partito. Più votati di Pd e Pdl. Una realtà protagonista del sistema politico italiano, che da domani difficilmente potrà essere trattata con sufficienza da avversari e analisti.
Un successo e una sconfitta. Mentre Grillo celebra la sua vittoria, Mario Monti deve fare i conti con il fallimento della sua Scelta Civica. Al momento il presidente del Consiglio non è neppure certo di aver superato lo sbarramento alla Camera dei deputati. La coalizione del Professore rischia di non entrare a Montecitorio (è attorno al 10 per cento). Il premier paga la discussa alleanza con Fini e Casini. Ma forse anche una campagna elettorale poco incisiva. Una delusione evidente. Seconda, forse, solo a quella di Rivoluzione Civile. La coalizione guidata da Antonio Ingroia non sembra aver superato la soglia di sbarramento.