Da Nord a Sud uno degli effetti delle elezioni politiche è stato quello di svecchiare il Parlamento, e, sopratutto, di non far varcare l’ingresso di Montecitorio e Palazzo Madama a diversi big. Effetto dell’onda a “cinque stelle”, colpa del governo presieduto dal premier uscente Mario Monti, o merito della super rimonta di Silvio Berlusconi?
In realtà il Cavaliere di Arcore pochi giorni prima che chiudesse la campagna elettorale aveva profetizzato: «Se Monti, Fini e Casini restano fuori dal Parlamento mi ubriaco». Il leader del centrodestra non si potrà ubriacare perché Monti e Casini faranno parte del prossimo Parlamento, Monti perché senatore a vita, e Casini perché capolista in Campania e in Basilicata. Ma il presidente della Camera, Gianfranco Fini, quello che il Cavaliere continua a chiamare “traditore”, resterà fuori da ogni gioco.
In Parlamento dal 1983, al governo c’era Bettino Craxi, il leader della destra italiana (almeno fino a poco tempo fa) non ha perso una legislatura. È stato perfino al governo, come vice presidente del consiglio dei ministri, e come ministro degli Esteri, arrivando a essere nel corso dell’ultima legislatura la terza carica dello Stato. Nel 2010 si scontra con Berlusconi, restando nella storia per l’ormai famoso «che fai, mi cacci?», indirizzato al Cavaliere durante un’assemblea nazionale del Pdl all’auditorium della Conciliazione. Si è inimicato la stampa di destra, Libero e il Giornale su tutti, facendo nascere un partito che seguiva la direttrice di una destra europea, ma certamente “antiberlusconiana”. Ma il progetto è fallito: non è stato compreso dall’elettorato di destra, quello ex missino, che oggi si è rifugiato o nel partitino di Francesco Storace, “La Destra”, o nell’altra compagine di destra del trio La Russa-Meloni-Crosetto, che si chiama “Fratelli d’Italia”.
Ma Fini non è il solo a dover fare le valigie e traslocare da Montecitorio. Sempre dell’ala finiana non siederanno in alcuno dei due rami del Parlamento Flavia Perina, Italo Bocchino, Enzo Raisi, Fabio Granata, Giulia Bongiorno e Carmelo Briguglio. La percentuale di Futuro e libertà è troppo bassa per arrivare a essere «il miglior perdente» della coalizione. Così uno striminzito 0,4% costringe Fli e finiani a lasciare il Parlamento italiano. Ma l’ex presidente della Camera non demorde: «Se amare l’Italia ha un costo ma ne vale comunque la pena, non rientrare in Parlamento non è certo un motivo sufficiente per desistere dal tentativo di rappresentare da destra un’Italia mille miglia lontana dal berlusconismo e dal grillismo».
Ma l’esercito dei “trombati” di lusso non finisce qui. Antonio Di Pietro, ex presidente dell’Italia dei valori, è in Parlamento dal 1996. Dopo gli scandali che hanno coinvolto il suo partito, aderisce al movimento Rivoluzione civile di Antonio Ingroia ma non raggiunge la soglia di sbarramento.
Fra le file del Pd era candidato in Abruzzo al Senato Franco Marini. Niente da fare per l’ex presidente del Senato perché in quella regione il premio di maggioranza è stato conquistato dal centrodestra, e il centrosinistra ha conquistato un solo seggio. Stesso discorso vale per Anna Paola Concia, candidata anche lei in Abruzzo al Senato, e fra le più attive in Parlamento nel campo dei diritti civili, che critica aspramente la campagna elettorale condotta dal centrosinistra: «Probabilmente la lista non sarà piaciuta agli abruzzesi. Ma noi abbiamo commesso molti errori in campagna elettorale. Io penso che non sia stato un successo. Non ci siamo fatti capire. Abbiamo fatto una campagna elettorale un po’ sottotono. E mi sono accorta di ciò andando in giro. Non siamo riusciti ad intercettare la rabbia dei cittadini…». Concia tornerà a fare il suo lavoro, «la manager sportiva», d’altronde, come racconta, «dal mio partito non ho neanche ricevuto un sms».
Fra gli esclusi di lusso si annovera anche Guido Crosetto, ideatore insieme a Ignazio La Russa e a Giorgia Meloni del partito Fratelli d’Italia. Anche per lui dopo tre legislature, e un incarico di governo (sottosegretario alla Difesa dell’ultimo governo Berlusconi), il biglietto di uscita da Montecitorio è pronto. Ma l’omone di Cuneo esterna una certa tranquillità via Twitter: «Ora posso tranquillamente dimostrare che si può fare politica senza cercare un posto sicuro a ogni costo». Sempre in orbita centrodestra rischia l’avvocato Maurizio Paniz, quello «di Ruby nipote Muraback», che era terzo in lista alla Camera in Veneto, e al momento è fuori. Un altro escluso di lusso è Roberto Rao, uno che è l’ombra di Pierferdinando Casini, e che oggi su Twitter scrive: «Le sconfitte segnano, ma sono utili solo se insegnano. Grazie a tutti!»
Spostandoci al Sud si annovera il flop al Senato dell’ex presidente della regione siciliana, Raffaele Lombardo. Il quale era capolista al Senato della lista Partito dei Siciliani, l’ex Mpa. Era sicuro di raggiungere quel 3%, ma nelle ultime settimane in tanti avevano abbandonato il partito dell’ex governatore, traslocando con il centrosinistra. Tuttavia Lombardo non intende ritirarsi: «Continueremo a fare politica. Il movimento autonomista che abbiamo fondato non può rinunciare a discutere e portare avanti le proprie battaglie: la fedeltà ai siciliani e allo Statuto, le lotte per la nostra gente che soffre della povertà e della mancanza di lavoro. Battaglie e principi per i quali dobbiamo fare l’impossibile».
E per finire il superescluso dal Parlamento italiano si chiama Gianfranco Micciché. Dopo cinque legislature, colui che nel 2001 fu l’artefice del “61 a zero”, tornerà in Sicilia. Niente più Montecitorio né tanto meno Palazzo Madama, dove Micciché era candidato come capolista con il partitino “Grande Sud”. L’1% è davvero poco rispetto al “61 a zero” di dodici anni fa.
Twitter: @GiuseppeFalci