L’Europa fissa un tetto alla paga dei padroni, superando l’opposizione di Londra. L’accordo di principio raggiunto la scorsa notte dai negoziatori delle istituzioni europee (Commissione, Parlamento e Consiglio) sull’applicazione delle regole di Basilea III – la quale peraltro non prevede alcun riferimento agli emolumenti degli amministratori – fissa un rapporto di 1 a 1 tra remunerazione fissa e variabile dei top manager degli istituti di credito (elevabile a 2:1 soltanto con il via libera della maggioranza assoluta dell’assemblea degli azionisti), il 25% della quale può essere riconosciuta tramite strumenti a lungo termine (5 anni). Un deal poco più che simbolico, ma importante se visto nell’ottica del membro dei 27 più scettico.
Incassata la prima vittoria, impressa dall’accelerazione dell’Europarlamento, che ha imposto un ultimatum a Consiglio e Commissione su un negoziato che durava ormai da 10 mesi, ora la battaglia si sposterà all’Ecofin, la riunione dei ministri finanziari convocata per martedì prossimo. Le norme, che entreranno in vigore nel 2014 una volta approvate dai singoli Stati membri, mirano ad evitare l’azzardo morale che ha portato alla crisi finanziaria del 2008, slegando la parte variabile del salario dei manager dai risultati di breve periodo.La misura, fortemente contrastata dall’Afme, la lobby bancaria europea, per questioni di competitività della piazza comunitaria rispetto a quella americana e asiatica sarà valida non solo per tutte le banche europee, ma anche per le filiali degli istituti esteri.
«L’Inghilterra vuole la regolamentazione delle banche», ha chiarito il premier David Cameron commentando l’accordo, aggiungendo «ci sono due punti che dobbiamo tenere ben presenti: l’implementazione del piano Vickers in Uk, che è più stringente rispetto molti Stati Ue, noi vogliamo separare le attività delle banche commerciali da quelle d’investimento. Vogliamo assicurarci inoltre che le regole europee siano abbastanza flessibili da consentire di competere alle banche basate in Inghilterra ma con branch in tutto il mondo». Cauto Vicky Ford, il negoziatore per conto della Gran Bretagna: «Se il tetto ai bonus causerà una riallocazione dei banchieri fuori dall’Europa avremo modo di rivedere la bozza». Le reazioni all’accordo, oltremanica, non si sono fatte attendere. L’Independent – giornale di sinistra ma liberal sui temi economici – scrive che «l’unica speranza è il voto contrario dei ministri finanziari alla bozza d’accordo», mentre sul Telegraph il sindaco di Londra, Boris Johnson, bolla l’iniziativa come «la più sbagliata misura che arriva dall’Europa dai tempi in cui Diocleziano tentò di fissare i prezzi dei generi alimentari nell’impero romano».
«Difendere i banchieri in merito alla loro paga è come supportare i fanatici nel nome della libertà d’espressione, non troppo divertente ma necessario», spiega invece l’Economist, citando due buone ragioni contro il tetto ai bonus: la competizione con i rivali asiatici e la minore flessibilità delle banche nel gestire il capitale in tempi di crisi, con l’innalzamento dei costi fissi. Al contrario, per l’autorevole settimanale il migliore approccio al tema è quello di legare i bonus alla rischiosità degli attivi nei portafogli delle banche. Ovvero più rischi e prendi meno ti pago. Più finanzi famiglie e imprese in un orizzonte di medio periodo, e più guadagni.
«Il concetto è che dal 2014 le banche europee dovranno accantonare più risorse per essere più stabili e concentrarsi sul core business, cioà finanziare l’economia reale, le piccole e medie imprese e il lavoro», ha spiegato Otmar Karas, negoziatore per conto del governo austriaco. Una necessità, l’accesso ai finanziamenti per le Pmi, ribadita da Draghi nell’ultima riunione del consiglio direttivo della Bce, durante la quale il governatore di Eurotower ha lamentato la disparità di trattamento, da parte degli istituti di credito, tra grandi e piccole imprese. L’altro ragionamento dietro al bonus cap è la riduzione della leva, cioè del finanziamento a debito delle operazioni.
Come evidenzia l’ultimo report del McKinsey Global Institute, uscito oggi, «meno del 30% della crescita degli asset finanziari in rapporto al Pil è andata a finanziare il settore privato» tra il 1997 e il 2007. Se il deleveraging, cioè la riduzione del perimetro delle attività degli istituti di credito, è in atto da tempo, ad esso non si è accompagnata una rifocalizzazione sull’economia reale. L’ultimo bollettino Bce evidenzia che nell’ultimo trimestre del 2012 è aumentata, seppure leggermente, la percentuale delle banche che hanno dichiarato un inasprimento delle condizioni alle quali viene concesso credito dalle Pmi, dall’11 al 12% del totale, ma la percentuale – nelle previsioni dei banchieri – è destinata a crescere. In questo senso, le misure introdotte dalla Bank of England, l’istituto centrale inglese, con il Funding for lending scheme (Fls), di prendere in prestito dalla Boe a un tasso dello 0,25% un ammontare fino al 5% dello stock degli impieghi all’economia reale. La ratio è: per ogni pound che finisce alle Pmi, viene restituito un pound in prestito da Threadneedle Street.
L’accordo sul bonus cap arriva a pochi giorni dal referendum con cui i cittadini svizzeri si apprestano a dire la loro sulla paga dei manager, dopo che il numero uno della casa farmaceutica Novartis, Daniel Vasella, è riuscito a strappare al consiglio di amministrazione una buonauscita da 72 milioni di franchi svizzeri, 59 milioni di euro. Segno che i tempi ormai sono maturi per sviluppare ulteriormente il “say on pay”, l’ultima parola degli azionisti sugli amministratori. Uno dei casi clamorosi si è verificato ancora una volta in Inghilterra lo scorso giugno, quando l’assise degli azionisti del colosso pubblicitario Wpp ha bocciato l’aumento del bonus del fondatore, Martin Sorrell, nonostante una crescita dell’utile del 40% nel 2011 rispetto all’anno precedente. Né in Inghilterra né in Italia il voto di sfiducia sul bonus è vincolante, ma una direttiva europea su questo aspetto sarebbe più efficace di qualsiasi “tetto” fissato a priori, senza sapere come si evolverà il mercato.