Il disimpegno industriale della Fiat dall’Italia, l’agenda digitale a cui sono connesse la questione della rete a banda larga e dell’assegnazione delle frequenze, il ruolo Cdp nell’ambito della politica economica e industriale, il salvataggio Mps e le questioni del credito e del rapporto banche-imprese in generale, Alitalia, l’Ilva di Taranto e le trecento vertenze aperte al ministero dello Sviluppo economico, la riforma delle autorità di vigilanza e dei criteri di selezione e nomina dei loro organi di vertice.
Il catalogo è lungo e incompleto. Ma già così si capisce che la mole di questioni che si riverserà principalmente sulla scrivania del prossimo ministro dell’Economia e di quello dello Sviluppo economico, è impressionante. Sempre che, alla luce dei risultati elettorali, si riesca a costituire un esecutivo in grado di impostare un seppur minimo programma di governo.
Senza un mandato parlamentare forte – a un centrosinistra allargato con l’appoggio esterno del Movimento 5 stelle su singoli provvedimenti oppure a una grande coalizione Pd-Pdl – la solidità del nuovo esecutivo diventa dunque parte del problema. Persino i risultati magri o parziali raggiunti dal governo Monti sulle questioni in corso potrebbero apparire, con senno di poi, un traguardo arduo da migliorare.
La presenza o meno nel nuovo esecutivo del premier uscente Mario Monti, che da un anno a questa parte ha tenuto una posizione convergente con quella di Sergio Marchionne («Chi gestisce la Fiat ha il diritto e il dovere di scegliere dove investire e le localizzazioni più convenienti»), farà la differenza nei rapporti fra l’Italia e la Fiat. Di impegni vincolanti, finora, Marchionne non ne ha presi. Lo scambio fra cassa integrazione, che potrebbe dare un po’ di sollievo al Lingotto, e mantenimento della produzione in Italia è un nodo da affrontare. Mentre sull’agenda digitale il Paese è in attesa di 32 decreti attuativi, e di scelte relative di politica industriale non secondarie, da chi dovrà sviluppare la rete a banda larga a quale infrastruttura privilegiare, se quella via cavo, passando quindi attraverso uno scorporo dell’obsolea rete in rame della Telecom Italia, oppure la liberazione delle frequenze radio come è stato chiesto dall’Europa.
Quale ruolo possa svolgere la Cassa Depositi e Prestiti in queste e in altre vicende, anche per il tramite del Fondo strategico italiano, è un altro dei nodi del prossimo governo. Alla luce dei programmi elettorali e degli orientamenti politici delle principali forze parlamentari, diversi osservatori si aspettano una presenza più attiva sui principali dossier della Cdp e del Fondo strategico italiano. Il rischio è che, con la scusa di tutelare l’industria italiana (un tema che è risuonato anche nei comizi di Beppe Grillo), si determini un ulteriore allargamento del perimetro statale.
Questione più spinosa per il Partito democratico sarà il caso Montepaschi: la concessione dei Monti bond finora ha superato tutte le tappe intermedie, ma il tema resta divisivo fra le forze politiche. Se da un lato per il Pdl c’è sempre la tentazione di usarla come una clava contro il Pd, anche Grillo non è stato tenero. Il leader del Movimento 5 stelle ha anche chiesto la nazionalizzazione delle banche. Nel caso di Mps, peraltro, anche da pulpiti più liberali di quelli che domineranno il nuovo Parlamento, si erano levate voci favorevoli all’immediata conversione del prestito da 3,9 miliardi in azioni, con l’ingresso diretto del Tesoro nel capitale della banca senese.
Sullo sfondo resta la riforma delle autorità di vigilanza, e soprattutto il tema della selezione e nomina dei componenti, che ancora oggi avviene secondo modalità opache, senza una gestione trasparente del processo. La riduzione dei componenti dei collegi, che in alcuni casi era doveroso, sta creando non pochi problemi al corretto funzionamento delle autorità: si pensi, per esempio, alla Consob, dove ormai il ruolo effettivamente svolto dal presidente Giuseppe Vegas sta snaturando la collegialità dell’istituzione.
Il rischio forte, di fronte a istituzioni indebolite dalla stessa debolezza politica del futuro governo, è che il processo decisionale sia sempre di più infiltrato dalle lobby e dai gruppi di interesse. Più ancora di quanto sia avvenuto negli ultimi anni.