Per simulare un cervello umano, il cervello umano non basta. Serve un “cervellone”, un supercomputer al quale l’uomo affiderà tutte le sue conoscenze per provare a ricostruirne il funzionamento. Riuscendo, si spera, a intervenire nella cura di malattie della mente e, al contempo, a costruire una nuova generazione di computer sempre più intelligenti ed efficienti.
Il Human Brain Project è il corto circuito scientifico del futuro, e l’Europa ci scommette fortissimo: un miliardo di euro. Un altro miliardo andrà a finanziare Graphene, il progetto che punta a rendere possibile la produzione di un materiale composto da un unico strato di atomi di carbonio, conduttore di elettricità e calore, estremamente sottile, e 100 volte più resistente dell’acciaio.
La Commissione Europea ha chiuso con questo mega-investimento il bando Fet (Future and Emerging Technologies), che raccoglieva proposte basate sulle Ict (Information Communication Technologies) applicate a problemi sociali e scientifici. Si tratta di un balzo in avanti di almeno dieci anni, di vere e proprie visioni scelte da un comitato di scienziati indipendenti in una lista di sei proposte presentate tre anni fa, e che una volta di più coinvolgono l’Italia ai più alti livelli. Al Human Brain Project – coordinato dal neuroscienziato Henry Markram dell’École Polytechnique Fédérale di Losanna – partecipano 87 istituti di ricerca europei e internazionali, tra cui l’Università di Firenze con il LENS (Laboratorio Europeo di Spettroscopia Non lineare), il Politecnico di Torino, l’Università di Pavia, il Fatebenefratelli di Brescia e il Consorzio Interuniversitario Cineca di Bologna.
In pratica, per gli scienziati, è arrivato il momento di far convergere tutte le informazioni sul funzionamento delle molecole, dei neuroni e dei circuiti neuronali, e le più potenti tecnologie sviluppate finora. Il risultato finale dovrebbe essere un simulatore dell’intera attività del cervello umano, quell’incredibile organo capace di “processare” miliardi di operazioni usando chilometri di fibre e trilioni di sinapsi consumando letteralmente l’energia di una lampadina.
Riprodurre un modello con cento miliardi di neuroni permetterebbe forse di tappare quei buchi neri della mente che sono l’Alzheimer, il Parkinson, l’epilessia e la schizofrenia, ma anche la depressione. Nasceranno così piattaforme neuroinformatiche, capaci di collegare tutti i dati delle neuroscienze disponibili, integrandoli in modelli e simulazioni del cervello, e aggiornandoli con i dati biologici. Un cervellone appunto, che dovrebbe finalmente accendere la luce sulla misteriosa strada che dalle molecole, dai geni e dalle cellule conduce all’intelligenza e al comportamento umano. In una specie di sharing mondiale, che metterà nelle mani degli scienziati un patrimonio inedito di dati unificati e potenza di calcolo.
I dati clinici, inoltre, raccolti su innovative piattaforme bioinformatiche, permetteranno ai ricercatori di decifrare le informazioni più utili dal punto di vista clinico e di inserirle in un modello virtuale delle malattie. Un lavoro che servirà all’uomo per curare l’uomo, ma anche per migliorare le macchine. Perché parallelamente verranno costruiti computer e robot plasmati sull’architettura dei circuiti del cervello. Per arrivare nell’ultima fase del progetto a finanziare i ricercatori indipendenti che impiegheranno queste nuove tecnologie per le loro ricerche, tentando idealmente di replicare il successo del Cern nel campo della fisica avanzata. E di alimentare così un circuito vizioso di progresso futuro.
L’Italia si inserisce da protagonista in questa ambiziosa avventura. L’Università di Firenze realizzerà le immagini tridimensionali del cervello, il Cineca di Bologna le immagazzinerà in un computer per processarle a distanza, mentre toccherà ai ricercatori di Padova simulare il funzionamento delle connessioni celebrali. Il Politecnico di Torino sarà responsabile delle strutture elettroniche per la simulazione dei neuroni, mentre il Fatebenefratelli di Brescia si occuperà dei dati clinici e medici.
Sarà invece il Cnr (e in seconda battuta la Fondazione Bruno Kessler, l’Istituto Italiano di Tecnologia, l’Università di Trieste, il Politecnico di Torino, il Politecnico di Milano e STMicroelectronics) a rappresentarci nell’altro progetto finanziato dalla Commissione Europea, quello che punta a sviluppare le potenzialità del grafene e di altri materiali bidimensionali. Una vera rivoluzione, nelle aspettative, al pari di quello che fu l’avvento della plastica. Il grafene infatti, per forma, resistenza e stabilità, potrebbe essere utilizzato per creare materiali mai visti prima, anche nel campo dell’energia. Con incredibili prospettive di sviluppo in innumerevoli settori industriali. Mai come ora l’Europa parla chiaro: «Dobbiamo essere capaci di concepire l’inconcepibile». Per cominciare, ecco 2 miliardi di euro. Una caparra sul futuro.