Il “piccolo è bello” non basta più: il new deal degli imprenditori veneti

Il “piccolo è bello” non basta più: il new deal degli imprenditori veneti

Cinque anni fa Jack Dorsey lanciava Twitter e Steve Jobs presentaval’iPhone. Il senatore Barack Obama diventava il primo presidente afro-americano degli Stati Uniti e la Lehman Brotherscontribuiva purtroppo a far sprofondare il mondo nella crisi. Rivedendo questi avvenimenti ci rendiamo conto di come il mondo attorno a noi stia cambiando molto più velocemente di quanto avremmo potuto immaginare solo pochi anni fa. Ed è allora evidente come la crisi che stiamo vivendo ciimponga dei cambiamenti importanti. Quelli che però dobbiamo affrontare oggi vanno al cuore del nostro sistema. Anzi, ci costringono “a pensarci comesistema”, dove alle imprese non può più essere caricato l’intero onere di creare la torta dello sviluppo mentre tutti gli altri si accomodano a tavola per dividersela. La competizione oggi si fa su un nuovo livello, e ognuno deve fare la propria parte.

I fattori che ci impongono di cambiare sono molti: la globalizzazione dell’economia e delle conoscenze,l’evoluzione tecnologica, la pervasività della finanza, le sfide della sostenibilità, ma anche una società più esigente, consumatori più maturi, giovani più preparati. Tutto questo ci impone di cambiare, elaborando nuovi modi di guardare allo sviluppo e, di conseguenza, nuovi “schemi di gioco”.

In questo processo di cambiamento, il Veneto non può certo rimanere fermo. Sono passati pochi anni da quando si celebrava il mito del Nordest. Terra di produttori e di lavoratori, di volontariato e di associazioni. In contrasto con lo Stato centrale e con la classe politica. Sempre in bilico fra protesta e mercato. Oggi però viviamo tempi diversi e rischiamo di trovarci a recitare un’altra storia, un altro mito: quello della crisi economica e del suo dramma sociale che in poco tempo ha mutato profondamente l’immagine della nostra realtà, del nostro mondo. E che spesso ci colpisce con la violenza dei suicidi di lavoro. Un aspetto che riflette l’identificazione personale degli imprenditori con le loro aziende e con il destino dei lavoratori, con cui condividono la vita di ogni giorno.

La terra del nuovo miracolo sembra divenuta, in fretta, un caso esemplare di quelli che sono gli “effetti imprevisti della globalizzazione”. Globalizzazione che oggi punisce quelli che ieri ne avevano beneficiato cioè i piccoli imprenditori, creativi, flessibili, capaci di adattarsi. Il Nordest rischia, per questo, di apparire una storia finita, confermando le teorie e i pregiudizi che ci hanno accompagnato per anni: troppo piccolo per affrontare i mercati mondiali e per confrontarsi con le istituzioni internazionali dove si decidono le regole dei commerci e dello sviluppo.

Il Nordest rischia così di vedersi ricacciato nella periferia da dove è partito non molti anni fa.
E noi, imprenditori, prima e più degli altri. Perché del Nordest noi siamo stati e restiamo i portabandiera e il marchio di fabbrica. Ma il messaggio che voglio lanciare oggi è che questo rischio non è ineluttabile. Possiamo ancora farcela anche se di errori ce ne sono stati e noi stessi ne abbiamo commessi, ma sarebbe ingeneroso e soprattutto sbagliato adeguarsi ai nuovi luoghi comuni, al pensiero dominante.

L’INNOVAZIONE CUORE DEL PROGRAMMA DI CONFINDUSTRIA VENETO
Per questo nel definire le “linee guida” del programma che ho illustrato al Consiglio Regionale un mese fa ho voluto parlare di innovazione, che forse è un termine abusato, ma che identifica bene la sfida che dobbiamo affrontare. Innovare significa rompere un processo precedentemente costituito. Non significa fare per forza qualcosa di sconosciuto, bensì di farlo in modo nuovo. Per questo, se vogliamo innovare Confindustria Veneto, prima di tutto dobbiamo prendere coscienza di noi stessi, del nostro ruolo e delle nostre responsabilità sociali.

E dobbiamo trovare il coraggio di definire nuove strategie di sviluppo, dobbiamo avere il coraggio di tracciare nuove strade per continuare a crescere, per creare lavoro e prosperità.
Innovare oggi significa mobilitare le risorse intellettuali che ci sono nelle nostre imprese e nel nostro territorio,innovare significa individuare nuovi obiettivi di progresso sociale.
Non significa soltanto acquistare nuovi macchinari o disegnare nuovi prodotti.

Chiediamoci allora: quale futuro vogliamo per il Veneto? Credo che per quante incognite ci siano in un mercato globale, una certezza rimane: il manifatturiero è, e resterà,il nostro asset più importante. Qualcuno, pochi giorni fa, ci ha definiti “terra di contadini”. A parte il fatto che noi siamo orgogliosi delle nostre origini contadine, vorrei ricordare a quei politici che in Veneto il valore aggiunto manifatturiero ammonta a 34 miliardi di euro, mentre quello dell’agricoltura e pesca si ferma a 2,5 miliardi.

Vorrei ricordare loro che il Veneto è la regione più industriale d’Italia (a fronte di una popolazione che rappresenta il 7% di quella nazionale, corrisponde il 12% del valore aggiunto industriale nazionale) ed è, assieme all’Emilia Romagna, la regione con la più elevata propensione all’export (che vale il 35% del Pil).

Bene, dato sfogo al nostro giusto orgoglio e tornando alla convinzione che il manifatturiero è, e resterà, il nostro asset più importante, dobbiamo allora chiederci quali industrie, quali prodotti, quali competenze, quali sistemi produttivi dobbiamo avere e, se necessario, costruire per competere nel nuovo scenario dell’economia mondiale.

Come è ben scritto nel Progetto di Confindustria per l’Italia, il rilancio dell’economia si basa sulla manifattura, attorno alla quale ruota tutto il sistema produttivo del made in Italy: dall’agricoltura, al turismo, dalle tecnologieai servizi. Ogni euro in più nell’attività manifatturiera genera almeno un altro euro di attività negli altri settori. E poi deve essere chiaro a tutti che è solo su una solida base manifatturiera che può crescere e irrobustirsi la capacità innovativa del sistema economico italiano.

Perché è proprio nel manifatturiero che ci sono i più elevati investimenti in ricerca e sviluppo, è proprio lì che è maggiore il numero dei brevetti, è sempre lì dove si creano i posti di lavoro più qualificati e meglio pagati, ed infine è ancora lì dove si fa più formazione. E nessuno deve scordarsi che è l’industria a tenere in piedi la nostra bilancia commerciale: dal manifatturiero viene infatti oltre l’80% dell’export del Paese, senza il quale non riusciremmo a pagare le materie prime,l’energia e tutti gli altri beni e servizi importati. E in ultimo non dimentichiamo che i prodotti dell’industria, molto più dei servizi di prossimità, riescono a seguire lo spostamento continuo nel mondo delle aree di consumo.

UN NUOVO MANIFATTURIERO
E allora, il mio, il nostro impegno, dovrà essere dedicato a creare le condizioni favorevoli ad una “nuova” manifatturaper il rilancio dell’economia veneta. A lungo abbiamo pensato alla nostra specificità industriale come ad un segno inequivocabile del nostro ritardo rispetto ad economie più mature ed evolute, che vincevano scommettendo sui servizi e sul settore terziario nelle sue forme più diverse.

Oggi sono proprio le economie che più si sono sbilanciate sul comparto dei servizi, a promuovere le virtù della manifattura e a spingere per un ritorno dell’industria. Questo accade prima di tutto negli Stati Uniti, dove il tema “back to manufacturing” la sta facendo da padrone sia nei principali centri del sapere sia nel dibattito politico. Ma ciò sta avvenendo anche in Gran Bretagna e in altri paesi d’Europa. E speriamo che anche in seno alla Comunità Europea si concretizzi un serio dibattito sull’Industrial Compact, perché di politica industriale europea purtroppose ne parla ancora poco.

Bene, allora cerchiamo di analizzare quali sono i motivi che portano ad una rivalutazione del ruolo della manifattura e al suo conseguente rilancio. Il primo ha a che fare con le grandi trasformazioni della tecnologia in corso in questi anni. Assistiamo a una nuova rivoluzione tecnologica segnata dall’introduzione di innovazioni di prodotto e di processo nonché dallo sviluppo di materiali innovativi. Ciò sta modificando profondamente le regole organizzative ed anche le convenienze localizzative della produzione. Sono in molti a parlare oggi di manifattura digitale. Apparentemente si tratta di un ossimoro, una contraddizione in termini. In realtà queste due parole, manifattura e digitale, mettono bene in evidenza come gli strumenti e le logiche del mondo del software stiano contribuendo a riorganizzare il mondo della produzione tradizionale.

Molte di queste tecnologie non sono di per sé novità –come la prototipazione rapida, le stampanti 3D, le tecnologie laser, le nuove macchine a controllo numerico – ma è significativo che siano oggi accessibili a costi contenuti e con modalità radicalmente nuove (si pensi per esempio alla possibilità di “noleggiare” on line molti di questi nuovi strumenti). Queste tecnologie consentono di ridurre considerevolmente il costo di gestione del processo innovativo; consentono di immaginare logiche di personalizzazione al cliente finale finora sconosciute; permettono di abbattere scorte e semilavorati. Tutti questi elementi ne fanno un ingrediente essenziale per il rilancio della nostra competitività a livello territoriale.

Il secondo motivo di rilancio della manifattura riguarda una diversa percezione della competitività. Dopo anni di offshoring (quella che noi chiamiamo delocalizzazione) gli americani si accorgono che trasferirela produzione lontano dai propri confini attenua sensibilmente la capacità di innovare. In una battuta: chi non fa, non impara. La capacità di innovare è intimamente collegata alla capacità di fare, alla capacità di produrre, alla possibilità di sperimentare continuamente.

Un terzo motivo che spinge le economie avanzate a ripensare il contributo di una nuova manifattura è legato ad una diversa percezione del lavoro come priorità politica. Per la prima volta il recupero del pieno impiego costituisce un obiettivo difficile da raggiungere anche negli Stati Uniti. Dopo la crisi del 2007-2008 questo obiettivo è diventato prioritario per l’amministrazione Obama, che ha visto proprio nel rilancio della manifattura un modo per consolidare una classe media in grande difficoltà.

Non si tratta però semplicemente di ragionare sul lavoro in termini di quantità, ed è bene sottolinearlo, ma soprattutto di qualità. I lavori legati alla manifattura e al suo indotto tendono a generare classe media, tendono a contrastare la polarizzazione dei redditi fra chi ha molto e chi ha poco etendono anche a consolidare la coesione e la tenuta sociale di città e territori.

Il Veneto può interpretare in modo originale questo nuovo scenario sfruttando risorse ampiamente disponibili al suo interno. La manifattura innovativa rappresenta ancora la dorsale della struttura economica del Veneto e sono convinto cheil suo rilancio in un nuovo scenario economico internazionale è alla nostra portata.

Ma cosa dobbiamo fare per interpretare al meglio il quadro delle opportunità che si prospettano nel futuro? Dobbiamo innanzitutto riflettere in modo originale sul potenziale delle nostre produzioni industriali, integrando i nuovi sviluppi tecnologici con le dimensioni dell’estetica, del design e della cultura. Un nuovo Veneto può dunque essere pronto a cogliere le opportunità che si stanno creando nei mercati mondiali.

LE DIRETTRICI LUNGO LE QUALI LAVORARE PER IL NUOVO MANIFATTURIERO
Perché ciò possa diventare realtà è necessario lavorare lungo direttrici distinte e complementari:

Cominciamo dall’Education.
Per sostenere il manifatturiero dovremo realizzare una “nuova” fabbrica delle competenze.
In questo progetto un ruolo determinante è svolto dalla formazione tecnica, dalla valorizzazione dei nostri centri di eccellenza universitari, dalle scuole di ingegneria, di economia e di management.

Il Politecnico del Nord Est è rimasto nel libro dei sogni della passata amministrazione. Ma noi dobbiamo crederci, perché come dimostrano le esperienze della Lombardia e del Piemonte, e ancora dipiù quelle della Baviera e del Baden-Wurttemberg, le scuole politecniche sono quelle che meglio riescono a favorire l’incontro fra imprese e ricerca industriale. Per questo credo che alla Fondazione Univeneto possa spettare il ruolo di diventare lo strumento attraverso il quale mettere in rete e coordinare le facoltà di ingegneria e di scienze della nostra regione e realizzare in questo modo un “politecnico virtuale” al servizio delle nostre imprese.
Dobbiamo inoltre valorizzare ulteriormente il CUOA come business school del territorio, cercando altresìl’ottimizzazione e l’innalzamento continuo della qualità dei nostri enti formativi locali.

Ma, lasciatemelo dire, dobbiamo innanzi tutto cominciare da un rilancio della nostra scuola superiore. Le diverse riforme intervenute negli anni passati hanno mortificato i laboratori tecnici, le competenze manuali, lo sviluppo delle conoscenze di progettazione applicata, il saper lavorare in squadra. Non è possibile avere un nuovo manufacturing senza una profonda riforma federalista della scuola superiore, oltre che dell’università. Ne va del futuro delle nostre imprese, ma anche del futuro dei nostri ragazzi. Una società che crede nel futuro investe innanzitutto nella scuola. E noi faremo la nostra parte!

La seconda direttrice è quella della Finanza.
Senza finanza non c’è innovazione, non c’è sviluppo, non c’è industria. Oggi la finanza in Italia è troppo condizionata dal sistema bancario, che stenta a finanziare nuovi progetti industriali e che sembra, in taluni casi, disinteressato allo sviluppo delle imprese. Anche le nostre imprese però devono cambiare struttura finanziaria, riducendo la dipendenza dal debito bancario, rafforzando il capitale proprio e aprendosi di più al capitale di rischio. Esempi incoraggianti di innovazione nella creazione di capitale e di nuove imprese ci sono già e vengono osservati con attenzione anche fuori dal contesto regionale.

Ma occorre una finanza in grado di promuovere quegli spin-off e quelle start-up che hanno segnato l’origine dei distretti degli anni ’70 e che hanno contribuito a mantenere viva la competitività del nostro territorio. E questo deve avvenire con il concorso del sistema bancario regionale, che deve tornare ad investire sugli asset del territorio, guardando al lungo termine, senzafarsi condizionare troppo dalle prospettive e dalle rendite a breve termine.

Detto questo, desidero esprimere tutta la mia sincera solidarietà al direttore della Banca di Credito CooperativoPier Luigi Gambarotto, che lunedì è stato vittima del gesto di uno squilibrato. E’ bene essere chiari su un punto: nessuna motivazione, anche la più estrema esasperazione, può giustificare un atto di violenza di quel genere.

La terza direttrice è quella della Cultura.
Per quanto complicato il rapporto con la cultura va ricercato e sviluppato andando oltre le formule tradizionali delle sponsorizzazioni. I nostri prodotti, anche i più tecnologici, vivono un legame speciale con il nostro paese e con il Veneto e Venezia in particolare. Per questo è importante che le imprese sappiano sviluppare un rapporto nuovo con le istituzioni culturali e con il patrimonio.

Le connessioni possibili sono molteplici ma richiedono la capacità e la determinazione per attivare percorsi originali. I grandi appuntamenti culturali della Regione devono diventare momenti di presentazione e valorizzazione delle nostre eccellenze. La creatività artistica deve poter contribuire al design e alla qualità della comunicazione dei nostri prodotti attraverso una nuova stagione di apertura e di confronto, come avviene in molte altre città europee. Questo processo di contaminazione continua deve contribuire in modo significativo all’attrattività del territorio nel suo complesso.

E la quarta direttrice è per l’appunto quella dell’Attrattività.
Dobbiamo essere in grado di creare le condizioni per aumentare la nostra attrattività, come sistema imprenditoriale aperto e internazionale, in grado di accogliere, crescere, valorizzare e sostenere le idee imprenditoriali nuove. Un sistema imprenditoriale in grado di mantenere qui la testa e il cuore delle imprese che sono già vincenti sui mercati, perché la testa e il cuore sono un traino ed un centro di innovazione imprescindibili per tutti noi.

Anche in questo ambito esistono esempi incoraggiantinella nostra regione. Quando un grande imprenditore internazionale, dopo aver investito su New York e Dubai, decide di investire su Marghera, per ridisegnare il profilo di “downtown Venice”, ci porta un segnale che non dobbiamo trascurare. Inoltre Venezia e il suo hinterland possono diventare una piattaforma di attrazione per capitali internazionali che intendono partecipare alla costruzione di un nuovo polo metropolitano europeo. Un polo che potrebbe attirare gli investitori dei BRIC, desiderosi di trovare nella base manifatturiera veneta e italiana un partner per dialogare con l’Europa. Non sono sogni! Il Veneto può accettare questa sfida e diventare attrattivoper i flussi di capitali internazionali.

La quinta e ultima direttrice che voglio indicare è quella delle Infrastrutture.
Dobbiamo puntare ad una nuova piattaforma infrastrutturale: il Veneto e il Nord Est sono un’area centrale dell’Europa che guarda a Est e a Nord. Per questo lo sviluppo infrastrutturale, sia dei trasporti che digitale, deve essere uno dei cardini del nostro programma. Sulle infrastrutture serve però il massimo di selettività: solo con una seria analisi delle priorità, sarà possibile indirizzare le scarse risorse pubbliche sulle opere effettivamente realizzabili e completabili.

La lista integrale di cui discutiamo da 20-30 anni non solo è superata, ma rischia di essere dannosa perché ingenera l’illusione che tutto sia possibile, mentre sappiamo beneche non è così. Ogni infrastruttura progettata va dunque riletta alla luce delle mutate esigenze del territorio e, soprattutto, delle condizioni della finanza pubblica e del mercato dei capitali.

LA RIFORMA DELLA MACCHINA PUBBLICA E IL RUOLO DELLA POLITICA
Ma non possiamo pensare di creare le condizioni per un nuovo manifatturiero senza la riforma della pubblica amministrazione, del sistema fiscale, della politica. Perché non possiamo più competere sui mercati globali,non possiamo navigare nel mondo, senza il sostegno della politica e delle politiche. Peggio poi se la politica e le politiche, in Italia, ci zavorrano e ci frenano.

Non possiamo più navigare controcorrente e magari anche controvento. Per questo siamo convinti che occorra rispondere in frettaal fallimento delle riforme federaliste e ai pessimi risultati offerti dalle maggiori “autonomie” attribuite ai governi locali. Ma non con un nuovo centralismo, come è avvenuto negli ultimi anni e soprattutto nell’ultimo. Al contrario: vogliamo un federalismo vero e più autonomie reali. Vogliamo una nuova stagione di riforme che, tuttavia, si fondi sul principio di responsabilità e di solidarietà.

Noi vogliamo un rapporto maggiore e più diretto tra quello che i cittadini versano al fisco, su base territoriale, e ciò che viene restituito e spetta loro. Badate bene, noi siamo assolutamente d’accordo sul “principio di solidarietà” tra aree e regioni ma pretendiamo che venga bilanciato e regolato dal “principio di responsabilità”. Vogliamo, cioè, che vengano eliminati sprechi e privilegi e che vengano premiati i comportamenti virtuosi e sobri, delle politiche, dei politici e dei governi. Non solo a livello nazionale ma anche a livello locale. 

Vedete, gli imprenditori non sono antipolitici perché sanno, meglio degli altri, che la politica serve. Sanno che la politica è necessaria a governare le domande e i problemi dei cittadini, della società e del territorio, ma anche dell’economia e degli imprenditori. Quello che gli imprenditori non sopportano, quello che noi non sopportiamo, è la “cattiva” politica che vive di rendita.

Non sopportiamo la legge ferrea dell’oligarchia dei partiti attenta a mantenere i privilegi di chi ne fa parte, molto più che a lavorare per il bene pubblico. Per questo consideriamo una priorità riformare la legge elettorale. Prima di tutto, come primo atto del prossimo Parlamento. Perché questa legge elettorale ci impedisce di scegliere gli eletti, di valutare il loro comportamento e le loro scelte. Perché questa legge elettorale dà alle oligarchie di partitoil potere di selezionare le classi dirigenti. Perché crea una classe politica e di governo irresponsabile che, a differenza dei cittadini e di noi imprenditori, non deve rendere conto del proprio operato. E non paga mai il prezzo delle proprie scelte, anche le più sbagliate, ma le fa pagare ai cittadini e a noi imprenditori.

Insomma: possiamo permetterci la casa comune di cui disponiamo? E questa casa comune, garantisce i servizi di cui abbiamo bisogno, oppure agli alti costi accompagna scarsa efficienza, scarso comfort, difficile accessibilità? Non credo siano domande retoriche, credo che ce le dobbiamo porre davvero e radicalmente. Credo che sia indispensabile e urgente una ristrutturazione complessiva del titolo V della nostra Costituzione, a partire dall’abolizione delle provincie edalla distinzione che ormai non ha più senso alcuno tra regioni a statuto speciale e quelle a statuto ordinario.

Che poi, lasciatemelo dire, questa specificità – finanziata generosamente dallo Stato, e quindi dalle nostre tasse – venga come di recente utilizzata per attirare le nostreimprese ad andare di là, beh scusate ma questo mi sembra davvero troppo! A mio avviso, dinanzi all’inerzia della politica rispetto aitemi autenticamente vitali prima citati – e d’altra parte sarebbe come chiedere al tacchino di apparecchiare la tavola – dobbiamo assumerci noi il compito di una seriarilettura dell’architettura istituzionale, avendo quale focus ovviamente la situazione del nostro territorio regionale. Dobbiamo avere la forza di una proposta, capace di innescare finalmente un dibattito concreto sul tema delle riforme istituzionali. So bene di indicare una sfida molto importante e gravosa, ma vogliamo e possiamo spingere la politica a ragionare di efficienza, di rigore, di tagli effettivi agli sprechi e diliberazione di risorse da indirizzare a nuove iniziative.

IL NUOVO RUOLO DI CONFINDUSTRIA VENETO
Tuttavia, non mi voglio nascondere dietro ai problemi altrui. Anche noi dobbiamo rispondere alla questione che ci viene posta, circa la crisi del Veneto e del Nordest. Confindustria è stata e vuole continuare ad essere un importante fattore di sviluppo delle imprese e della società.
La mia ambizione è di far assumere a Confindustria Regionale – naturalmente assieme alla mia squadra, ai presidenti delle territoriali e con l’aiuto di tutti voi – l’impegno di elaborare un pensiero strategico per il Veneto di domani. Di fronte alla globalizzazione dei mercati e alla riorganizzazione dei livelli decisionali e normativi, il livello territoriale “minimo” appare ormai essere la regione e, per alcuni temi, addirittura la macroregione.

E non a caso con le Confindustrie del Trentino Alto Adige e del Friuli Venezia Giulia dobbiamo condividere appuntamenti, istituire momenti di confronto e di coordinamento e più in generale dobbiamo gestire assieme alcune partite importanti. E allora la mia proposta è quella di diventare un “laboratorio collegiale” di idee sulla nuova politica industriale, sulle nuove forme di rappresentanza e sui servizi necessari a promuovere l’innovazione nelle imprese e nel sistema associativo. E quindi vedo con assoluto favore e molta fiducia il lavoro della Commissione sulla Riforma guidata da Carlo Pesenti.

Credo tuttavia che sia nostro preciso dovere, come Veneti, dare per primi l’esempio. Confindustria Veneto deve dunque svolgere un ruolo di sintesi e di indirizzo strategico. Per questo solleciterò ed accompagnerò le Territoriali affinché mettano a servizio di tutta la rete regionale le migliori capacità e le competenze specialistiche di cui dispongono.

* Neopresidente di Confindustria Veneto

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