“Aaron non era depresso. Ad ucciderlo è stato qualcos’altro”. Taren Stinebrickner-Kauffman, la fidanzata del giovane attivista ed imprenditore del web Aaron Swartz, morto suicida lo scorso 11 gennaio, non ha dubbi. Attraverso il suo Tumblr, la ragazza lancia parole di fuoco contro il sistema giudiziario statunitense e contro il processo che da due anni stava sfiancando il 26enne, facendogli perdere soldi e vitalità.
Nel 2011, Swartz era stato accusato di aver sottratto 4 milioni di documenti accademici dal MIT, dopo essere penetrato nell’archivio online del giornale Jstor. Ma aveva sempre proclamato la sua innocenza. Dopo il suo suicidio, alcuni post pubblicati sul suo blog personale parevano rivelare la causa del suo gesto estremo, la depressione. Eppure, sia i familiari che le persone a lui più strette non hanno mai dato credito a questa versione. Sostenendo, invece, che la causa della morte di Aaron andasse ricercata da qualche altra parte.
Ecco le parole della fidanzata di Aaron, Taren.
Credo che la morte di Aaron non sia stata causata dalla depressione… Lo dico perché, sin dal momento del suicidio, ho […] fatto alcune ricerche sulla depressione clinica e sui disturbi ad essa associati. Ho letto quali sono i sintomi e Aaron, fino alle ultime ventiquattro ore della sua vita, non ne manifestava alcuno.
Penso che la morte di Aaron sia stata causata dallo sfinimento, dalla paura e dall’incertezza. Credo sia stata causata da una persecuzione, da un procedimento penale che si trascinava già da due anni (cos’è accaduto al nostro diritto di avere un processo breve?) e che lo aveva prosciugato di tutte le sue risorse finanziarie.
Credo che la sua morte sia stata causata da un sistema giudiziario che privilegia il potere sulla pietà, la vendetta sulla giustizia; un sistema che punisce persone innocenti perché provano a dimostrare la loro innocenza anziché accettare un patteggiamento che le marchi per sempre come criminali; un sistema dove le strutture di potere si alleano con gli accusatori per distruggere la vita di un innovatore come Aaron, che stava cercando di concretizzare le sue ambizioni.
Ragionate: se il 10 gennaio scorso, Steve Heymann e Carmen Ortiz del tribunale del Massachusetts avessero chiamato l’avvocato di Aaron dicendogli di aver commesso un errore e di voler far cadere tutte le accuse – o anche di volergli offrire un patteggiamento ragionevole, che non l’avesse marchiato come un criminale per il resto della sua vita -, lui si sarebbe ucciso il giorno successivo? La risposta è, fuori di ogni dubbio, no.
Taren Stinebrickner-Kauffman, 4 febbraio 2013