Ai minimi storici a livello nazionale, ma con il sogno della Padania a un passo. La situazione della Lega Nord di Roberto Maroni è paradossale al termine dello scrutinio per le politiche, quasi simile a quello di un giallo di Agata Christie: l’assassino potrebbe essere in realtà l’eroe del racconto.
Perché se per il Carroccio è un tracollo a livello nazionale, in realtà per la prima volta potrebbe realizzarsi il sogno della Macroregione o della Padania, con Lombardia, Veneto e Piemonte in mano ai padani. In via Bellerio sono tutti prudenti per il risultato delle Regionali di martedì 26 gennaio – lo stesso Roberto Maroni preferisce non commentare i risultati restandosene in ufficio – ma qualcuno sottovoce si sbilancia: «In Lombardia abbiamo in mano tutte le province, a meno di un voto disgiunto dei grillini, dovremmo farcela».
E quest’ultimo dato – che dieci province su 12 sono in mano a Lega Nord e Pdl in Lombardia – è proprio quello che spaventa il Partito democratico e il candidato Umberto Ambrosoli. La Lega tiene in provincia di Sondrio, dove è primo partito. Stravince a Bergamo e Brescia, mentre perde qualcosa a Varese (a danno proprio dei democratici). Ma a parte Milano e Mantova, la Lega 2.0 c’è e si fa sentire ancora nelle valli lombarde, con un Beppe Grillo piglia tutto che però non sfonda da queste parti.
Sul resto, va detto, è un tracollo. In cinque anni il suo peso nelle tre regioni di riferimento non è più lo stesso. In Lombardia il Carroccio conquista una percentuale intorno al 14% al Senato, mentre alla Camera non riesce ad andare oltre il 18%, nella circoscrizione Lombardia 2, proprio tra Varese e Bergamo: nel 2008 in Lombardia era al 21,6 mentre alle regionali del 2010 al 26,20.
Ancora peggio va in Veneto che diventa la Caporetto della Lega con percentuali di consenso intorno al 10% sia alla Camera che al Senato. Nel 2008 da queste parti la Lega era 27,1%, alle Europee del 2009 al 28,4 e alle regionali del 2010 al 32,15: conti alla mano, sono più di 25 punti percentuali in meno. La questione non è di poco conto. Anche perché Giancarlo Galan ha già chiesto un rimpasto nella giunta di Luca Zaia, mentre Flavio Tosi, sindaco di Verona, viene accusato da molti leghisti lombardi di aver fatto perdere con la sua segreteria una marea di voti al movimento.
Débâcle totale anche Piemonte, dove i consensi ottenuti non raggiungono quota 7% né alla Camera né al Senato. Quando Roberto Cota fu eletto presidente la Lega era al 16,74%, mentre alle precedenti politiche era al 12,6%: l’idea del governatore di candidarsi anche alla camera non ha reso il risultato sperato. Il peso della Lega, quindi, si dimezza a livello nazionale: più o meno il 4% dei consensi, tanto a Montecitorio quanto a Palazzo Madama. Nel 2008 il Carroccio valeva l’8% dei voti.
Ma la situazione lombarda potrebbe cambiare le carte in gioco. Sembra incredibile, ma dalle parti Umberto Ambrosoli le facce sono scure, appese al voto disgiunto della Lista Civica di Mario Monti e dello stesso Beppe Grillo. Il divario al Senato è di circa dieci punti, con Pdl e Lega al 38% e il centrosinistra al 29,6. Le domande che ci si pone sono queste. I grillini che in Lombardia sono al 13% hanno votato tutti per Silvano Carcano o per Ambrosoli, oppure ancora per Maroni? I montiani che dovevano votare in parte per Gabriele Albertini e in parte per Ambrosoli sono stati coerenti?
Il giallo potrà essere risolto solo domani. La notte sarà lunga per Maroni. Domani non solo si decideranno le sue sorti, quelle di un segretario arrivato dopo Umberto Bossi che ha portato la Lega ai minimi a livello nazionale. Ma pure quelle dello stesso Carroccio, pronto ad esplodere nel caso in cui la Lombardia dovesse andare al centrosinistra. È una notte in cui si capirà se le scope di Bergamo, le epurazioni dei bossiani e le battaglie dei barbari sognani hanno avuto un senso.