La rimonta del Pdl è merito di Silvio. Il partito non esiste

La rimonta del Pdl è merito di Silvio. Il partito non esiste

Grazie a Silvio Berlusconi il Pdl cresce nei sondaggi, riconquista gli elettori persi per strada, recupera il distacco con il centrosinistra. Non ci credeva nessuno, ma adesso per i più genereosi contende a Pier Luigi Bersani persino la vittoria delle elezioni. Insomma, non male se pensiamo ai titoli di qualche mese fa: il Pdl è morto, è un partito senza futuro, destinato a scomparire dalla scena politica.

Paradossi del berlusconismo. L’incredibile rimonta del centrodestra ha un protagonista piuttosto evidente. Unico. Sarà triste dirlo, ma è solo opera del Cavaliere se il Pdl ha superato il 20 per cento. Mica del partito o dei suoi dirigenti che pure fino a qualche tempo fa volevano rottamare il capo-padrone. Una rimonta che molti ritenevano impossibile. Meglio, una resurrezione. Un miracolo che sottolinea una volta di più – se mai ce ne fosse bisogno – l’inconsistenza del movimento creato e guidato dal Cavaliere. Vero artefice delle glorie pidielline passate e presenti.

La controprova? Basta ricordare le vicende politiche dell’ultimo anno. Berlusconi che decide di scomparire dalla scena dopo le dimissioni a Palazzo Chigi. E il Pdl in caduta libera verso percentuali a una cifra. Un tracollo tutto merito della dirigenza di via dell’Umiltà. Oggi il segretario Angelino Alfano chiede le dimissioni da senatore a vita di Mario Monti. Ma in quel lungo anno quante volte si è presentato, ubbidiente ed educato, al cospetto del presidente del Consiglio. Le riunioni della strana maggioranza sono diventate il simbolo stesso del governo tecnico. E più si facevano frequenti gli incontri ABC, più calavano gli elettori del Pdl. L’apice della tragedia? La farsa delle primarie. Il tentativo di scimmiottare la gara Renzi-Bersani, immaginato da Alfano per legittimare la sua leadership. Una competizione cancellata all’ultimo, dopo che era stata persino fissata la data del voto.

E poi è tornato lui, Silvio Berlusconi. Lo si può amare o detestare, ma non si può non riconoscerne le capacità. Quantomeno quelle di comunicatore. Nel giro di un paio di mesi ha monopolizzato l’attenzione. Mille giravolte, poi la decisione di sfiduciare Monti. Il balletto delle candidature e la campagna elettorale all’attacco. Le ospitate tv, le interviste, il siparietto con Santoro e Travaglio, ora la promessa di restituire alle famiglie l’Imu già versato. Un colpo di teatro dopo l’altro. 

Gli avversari si indignano, gli italiani più illuminati se la ridono. Intanto il Pdl è tornato a salire nei sondaggi. Tanto, troppo. Il centrosinistra era certo di vincere le elezioni. Ma ieri anche l’Unità dopo aver denunciato «la super-balla del Cavaliere» ha pubblicato un sondaggio in cui la coalizione berlusconiana è solo 5,8 punti indietro. In aumento: gli esperti sono ancora in attesa di valutare gli effetti della sparata sulla restituzione dell’Imu.

Eppure a crescere non è il centrodestra. È Silvio Berlusconi. Il Cavaliere non è solo il protagonista della campagna elettorale del suo partito. È l’unico attore. Gli altri chi li ha visti? In tv ci va lui, i comizi sono suoi, le promesse pure. La gente vota lui, non il partito. Ai sottoposti che sono riusciti a conquistare una candidatura è concesso solo di applaudire in platea. Magari di rilasciare qualche entusiastica dichiarazione alle agenzie. Niente di più. Sì, certo. Stavolta Berlusconi ha assicurato che in caso di vittoria non sarà più il presidente del Consiglio. Piuttosto ambisce al ministero dell’Economia (e dello Sviluppo). Il premier sarà Angelino Alfano. Ma il Cavaliere non vuole affatto valorizzare il giovane segretario. Piuttosto ha candidamente ammesso di essersi accorto che in Italia il capo del governo non ha alcun potere. 

Il Popolo della libertà sogna il miracolo. Ma ogni italiano di centrodestra oggi dovrebbe essere triste. L’exploit di Berlusconi racconta meglio di ogni altra cosa l’inconsistenza del suo partito. Dietro al Cavaliere non c’è nessuno. La rimonta è solo sua. Altro che passaggi di testimone. Se l’ex premier fosse rimasto in disparte, il Pdl sarebbe ancora a quell’imbarazzante 12-13 per cento. La stessa cifra a cui lo inchiodavano i sondaggi della scorsa primavera.

Un partito scomparso, dimenticato. E quello è il destino che rischia di ereditare. Nonostante il proverbiale egocentrismo, Berlusconi non ha molti dubbi: il suo tempo in politica è quasi finito. Non potrebbe essere altrimenti. Il Cavaliere va per i 77 anni. Queste elezioni rappresentano il suo ultimo giro – e che giro – di giostra. Poi la palla passerà agli Alfano, ai Capezzone, alle Santanchè. E con ogni probabilità a via dell’Umiltà anche quel 12 per cento sarà ricordato con nostalgia. 

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