Rebecca Chopp è diventata mamma a venticinque anni. Nonostante questo, il suo percorso lavorativo non si è mai arrestato. Oggi, che di anni ne ha 61, è diventata presidente di Swarthmore, uno dei migliori tre college americani dedicati alle arti liberali. Recentemente, l’International Herald Tribune le ha dedicato un’interessante intervista, intitolata “From Farm Girl to College President“, dalla fattoria all’università. Attraverso le risposte, Chopp ripercorre tutti i sacrifici fatti durante la carriera, dalla tesi scritta tra le 5 e le 7 del mattino prima di portare il figlio a scuola, alle difficoltà di essere cresciuta in una famiglia del Kansas in cui non si riteneva opportuno «che le ragazze andassero al college».
Con l’elezione nel 2007 di Drew Gilpin Faust ad Harvard, sono diventate cinque le donne ad aver presieduto una delle otto università della Ivy League, le più prestigiose d’America. La prima fu Judith Rodin, che divenne presidente dell’Università del Pennsylvania nel 2001. Poi toccò anche al Massachusetts Institute of Technology, alla Brown University e all’ateneo di Princeton accogliere le donne alla loro carica suprema. Tra di esse la biologa molecolare Shirley Tilghman, che in autunno ha annunciato le sue dimissioni da rettore dell’università del New Jersey dopo più di un decennio, ha contribuito all’abbattimento del “muro di vetro” con l’assunzione di molte figure femminili nelle alte sfere dell’università.
La strada verso l’equità tra sessi, però, è ancora lunga. Secondo uno studio realizzato nel 2012 dal “Council of Independent Colleges” (CIC), attualmente, le donne alle massime cariche negli atenei americani sono il 25 per cento. Un dato rimasto pressoché inalterato rispetto al 2006. Eppure, l’ascesa dei rettori donna era stata impressionante alla fine del secolo scorso: se nel 1986 queste erano solo il 10 per cento, nel 2001 erano già diventate il 21. Un articolo di “Women in higher education” spiegava nel 2005 come “quello delle presidenti donna non sia più da considerarsi un fenomeno curioso, ma la normalità”. Anche perché le donne guidano “università sempre più importanti e famose”.
Qualcosa, nel frattempo, sembra essersi fermato. La percentuale odierna cresce se si considerano soltanto i college biennali (dove il 32 per cento dei presidenti sono di sesso femminile), ma scende drasticamente aumentando il grado di istituzionalizzazione e di importanza delle istituzioni educative (nelle private doctoral universities, ad esempio, sono solo il 20 per cento). Una situazione che, secondo il CIC, andrebbe combattuta alla radice, attraverso programmi speciali: “Le istituzioni”, si legge nelle conclusioni del documento, “dovrebbero coinvolgere e preparare le donne e gli uomini di colore (anch’essi poco rappresentati tra le altre cariche, ndr) che aspirano alla presidenza”.
L’Italia non sta meglio, anzi. Le percentuali, nel Belpaese, sono desolanti. Eppure, tra i nuovi iscritti all’università, le femmine battono i maschi da ormai vent’anni e negli ultimi dodici ci sono stati ben due Ministri dell’Istruzione donna: Letizia Moratti dal 2001 al 2006, Mariastella Gelmini dal 2008 al 2011. Tra i laureati, le donne sono il 60 per cento: ma la percentuale scende drasticamente tra i professori ordinari. Qui solo il 20 per cento, uno su cinque, sono di sesso femminile. Tuttavia, il dato più preoccupante riguarda proprio i rettori: sui 79 atenei del paese, sono solamente cinque le donne che ricoprono la massima carica. Il 6 per cento. Un numero che sarebbe potuto aumentare leggermente ad ottobre 2012, quando alla Statale di Milano Marisa Porrini, presidente della facoltà di Agraria, aveva sfidato Gianluca Vago alla successione di Enrico Decleva. Ma il risultato delle votazioni – 1167 voti a 754 per Vago – ha infranto sul nascere questa possibilità.