«Le nuove regole sui derivati eviteranno nuovi casi Monte dei Paschi». A parlare è il capo dei regolatori finanziari europei, Andrea Enria, lo stesso che negli anni cruciali dello scandalo MPS è stato al vertice del Servizio normativa e politiche di vigilanza della Banca d’Italia. Il numero uno dell’European banking authority, presente ieri a Milano, ha così chiuso la porta a chi criticava l’operato del suo organo di vigilanza dopo lo scandalo del Monte dei Paschi di Siena. Eppure, specie in ambito bancario, la direzione che si è presa negli ultimi mesi è proprio quella opposta a quella dettata ieri da Enria. Allentamento delle misure di patrimonializzazione, scarsa innovazione nella regolamentazione, mantenimento delle posizioni preesistenti: il 2013 delle banche rischia di essere assai simile a quelli passati.
La crisi europea non è finita. Il peggio, forse, è passato. Ma gli squilibri finanziari esistono ancora. Basti pensare a tutto lo sforzo che le banche dell’eurozona stanno facendo per completare il deleveraging che la crisi ha imposto all’intero sistema. Come ha detto più volte anche Morgan Stanley, dal 2012 al 2015 le banche europee subiranno un deleveraging fino a 2.500 miliardi di euro. Tanti, troppi. Specie considerando la precaria situazione congiunturale dell’eurozona e la parziale rottura del meccanismo di trasmissione delle politica monetaria della Banca centrale europea (Bce), si è deciso di dare più tempo alle banche per mettere a posto ciò che non andava. Non solo.
L’introduzione del meccanismo unico di supervisione bancaria (Single-supervision mechanism, o Ssm), dato in seno alla Bce, vedrà la luce solo il prossimo anno. Troppo presto o troppo tardi? Per la lobby finanziaria europea, la Association for financial markets in Europe (Afme), la questione è diversa. «La base di partenza è sbagliata: si pensa che una sola entità possa controllare tutto, ma tutto diventa ancora più difficile», spiega l’Afme. Colpa della diversità dei singoli sistemi bancari (e finanziari) nazionali. «Armonizzare adesso solo tramite l’istituzione di un ente superiore non serve, occorre pianificare. E poi, solo dopo, vigilare in via unica», continua l’Afme.
Nel frattempo è arrivata la nuova versione degli standard patrimoniali, ovvero Basilea III, che entrerà in vigore in modo graduale dal 2015 al 2019, come confermato dal Comitato di Basilea della Banca dei regolamenti internazionali a inizio anno. Nello specifico il Liquidity coverage ratio (Lcr), cioè il rapporto fra gli asset caratterizzati da alta qualità ed elevata liquidità, gli High-quality liquid asset (Hqla), e i flussi di cassa in uscita, dovrà raggiungere il 100% nel 2019. Un regalo per le banche europee, sotto stress per via della situazione di stress dei mercati finanziari nella zona euro. E nuovi regali potrebbero presto arrivare, dato che proprio ieri il Comitato di Basilea ha spiegato che vorrà rivedere il metodo di calcolo degli asset a rischio nei bilanci delle sedici banche più importanti del mondo, fra cui l’unica italiana è UniCredit. Un metodo per cercare di rendere la vita più semplice, data la congiuntura poco favorevole.
Chi invece va controcorrente è il Regno Unito. Pochi giorni fa il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne ha invocato una maggiore severità nel ring-fencing, la creazione di un anello di protezione intorno alle banche sistemiche. Parole, quelle di Osborne, in netto contrasto con la tendenza attuale della Bis. «Bisogna creare dei modelli che evitino nuovi scandali. Il Regno Unito ha imparato da Northern Rock (La banca nazionalizzata dopo il bank-run del settembre 2007, ndr) e da Royal Bank of Scotland», ha detto Osborne. «Il Too big to fail è ancora presente e non sembrano esserci dei passi in avanti», ha detto invece Andrew Haldane, direttore esecutivo della stabilità finanziaria per la Bank of England, fortemente critico verso le autorità dell’eurozona. Per entrambi una soluzione accettabile è presente spunto dal Rapporto Liikanen, redatto da Erkki Liikanen, presidente della Banca di Finlandia. Nato dopo un’esperienza simile, il piano della britannica Independent Commission on Banking (Ibc) guidata da Sir John Vickers, il rapporto si compone di cinque punti ritenuti cruciali per la futura stabilità del sistema bancaria dell’eurozona. Separazione del trading proprietario dalle altre attività di negoziazione, implementazione di nuovi e realistici piani di contingenza e resolution, adozione di un sistema di bail-in (ovvero conversione di debito in capitale azionario), miglioramento del risk management interno e razionalizzazione della corporate governance.
Il Rapporto Liikanen è stato però fortemente criticato da Francia e Germania. Il motivo è semplice. La struttura delle banche francesi e tedesche non avrebbe vantaggi dall’adozione di questo genere di iniziative. E la conseguenza è stata un, per ora, nulla di fatto. Meglio puntare su patrimonio, liquidità e gestione delle criticità, devono aver pensato i regolatori europei. Peccato che si tratta di un ragionamento che va contro ciò che servirebbe ora all’universo bancario europeo (e mondiale, per molti versi): meglio prevenire che curare.
Le parole di Enria sono destinate solo a rimanere tali o avranno un riscontro reale? L’impressione è che, come successo per il lavoro del Liikanen Group, tutto cambierà per rimanere uguale. Sono troppi gli interessi particolari che girano intorno all’universo bancario europeo. E su questo punto, l’Italia ne sa qualcosa. Come ha detto ieri Enria saranno fatti nuovi stress test sulle banche europee. La domanda che, maliziosamente, ha iniziato a girare nelle sale trading di mezza europa lascia poco spazio all’ottimismo: “Li condurrà sempre l’Eba?”