BRUXELLES -Non bastavano la Commissione Europea, l’Ocse, il Fmi e quant’altro a fotografare la preoccupante situazione italiana. Ci si mette, adesso anche l’«indice del Big Mac». Un indice usato finora per confrontare il potere d’acquisto dei più diversi paesi in giro per il mondo (della serie: quante ore si deve lavorare per comprarsi il celebre panino di McDonald’s). E che il settimanale The Economist si è divertito ad applicare alla zona euro, dove tutti i paesi hanno la stessa valuta e osservare le le differenze è ancora più facile.
Risultato: in tutti i paesi in crisi – Grecia, Spagna, Irlanda e Portogallo-, tra il luglio del 2011 e il gennaio del 2013, il prezzo d’acquisto del celebre panino è sceso – nel caso dell’Irlanda di quasi il 50%-, riflettendo l’andamento negativo delle loro economie, dei consumi e del potere d’acquisto. Con un’eccezione importante: l’Italia. E già perché il Belpaese, a dispetto della grave recessione in cui si dibatte, con crollo di pil e consumi, registra per il BigMac un aumento di quasi il 20% del prezzo.
È l’aumento più elevato dopo l’Estonia, dove giocano però fattori come l’arrivo dell’euro, il boom economico etc. Per raffronto, la Germania, la cui economia va decisamente meglio della media dell’eurozona, ha visto un aumento del BigMac pari a meno del 10%, l’Austria, che sta ancora meglio della Germania, di poco più del 10 per cento. Mentre in Belgio e Finlandia il prezzo è addirittura diminuito.
Vabbè, si dirà, non si può mica ricavare un’indicazione sull’andamento di un paese fondandosi sul prezzo di un semplice panino. Si può, invece, naturalmente collegandolo al contesto generale. Questo, almeno stando a Guntram Wolff, che non è un signore qualsiasi, ma un economista tedesco con un passato fatto di Bundesbank e Commissione Europea che al momento rivesta la carica di vicedirettore del Bruegel di Bruxelles, da pochi giorni proclamato migliore think tank dell’Europa Occidentale, secondo migliore al mondo e primo in assoluto nel campo della politica economica internazionale nel 2012 Global Go To Think Tanks Report.
I dati dell’Economist sul BigMac, osserva Wolff, «contengono buone notizie. L’Austria e la Germania crescono (quanto a prezzi ndr) sopra la media, mentre la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo e la Spagna restano sotto. Insomma, pare che vi sia un riequilibrio generale non solo per quanto riguarda il costo del lavoro (che, scendendo, aumenta la competitività, ndr) ma anche a livello di prezzi». Non così, osserva Wolff, in Italia, che anzi registra il prezzo più alto di tutta l’eurozona: da noi un BigMac costa 3,85 euro contro i 3,64 della Germania o i 3,6 della Francia, o ancora i 3,4 dell’Austria. Secondo l’economista, «il BigMac ci dice che l’Italia è il posto più caro di tutta l’eurozona».
Wolff è ben conscio che molti potrebbero fare facili ironie su conclusioni fondate sul prezzo del BigMac. «Qualcuno – premette – potrebbe argomentare che il BigMac è un tipo molto speciale di cibo nel Paese della pasta e del Chianti. E certo, l’anno scorso sono circolate notizie sul fatto che gli italiani stanno riducendo le spese alimentari. Allora forse i prezzi del BigMac sono dovuto al fatto che gli italiani sostituiscono cibo di alta qualità con i panini del fast food?». Magari, sospira il vicedirettore di Bruegel. ll fatto è, spiega, che «un rapido sguardo a un più ampio insieme di prezzi, in particolare l’indice armonizzato dei prezzi al consumo, rivela che il Big Mac non è un caso a sé.
L’Italia ha avuto la più elevata inflazione nell’eurozona tra luglio 2011 e dicembre 2012, con i prezzi cresciuti del 6% rispetto alla media del 3,9% dell’eurozona». C’entra, anche la soffocante pressione fiscale? Fino a un certo punto: «tornando a guardare all’indice armonizzato dell’inflazione, questa volta a tasse costanti (e cioè scremando le diverse imposizioni fiscali, ndr), l’Italia resta in testa con il 4,8% contro il 2,9% della media dell’eurozona».
Insomma, nonostante gli sforzi avviati dal governo tecnico con le riforme, è la conclusione di Wolff, siamo ancora in alto mare. Perché, avverte, «riforme del mercato del lavoro che non portino a più bassi prezzi dei prodotti sul mercato sono deleterie per i consumatori e impediscono all’economia di recuperare forza nelle esportazioni. L’Italia deve applicare le giuste politiche per affrontare l’elevata inflazione». C’è da sperare, insomma, che con il nuovo governo calino i prezzi dei BigMac. Sarebbe un ottimo segnale.