Vent’anni ha impiegato il sociologo americano e docente di Public Policy ad Harvard, Robert Putnam, per analizzare le complesse maglie delle nostre istituzioni democratiche. Un’indagine socio-politologica minuziosa sul funzionamento reale del telaio sociale e politico, condotta a partire dal 1970, ovvero dall’attuazione normativa delle Regioni, e racchiusa nel volume dato alle stampe nel 1993 Making Democracy Work, diffuso in Italia con il titolo La tradizione civica nelle Regioni Italiane.
Un viaggio ventennale da Nord a Sud, lungo lo stivale, per approfondire alcune questioni fondamentali relative alla teoria e alla pratica della democrazia e per spiegare le disfunzioni politiche e istituzionali della democrazia contemporanea. Mali che hanno una radice comune e una causa ben identificata, quella che lui chiama assenza di civicness, ovvero di coscienza civica del popolo italiano, in special modo delle popolazioni delle regioni meridionali, più arretrate culturalmente e politicamente. Se il Paese non funziona, spiega Putnam, la causa siamo proprio noi italiani e la mancanza di un saldo impegno civile.
Rileggere questa ponderosa ricerca sociologica, per di più in un turbolento periodo elettorale e ciclo storico, come quello attuale, in cui sembrano vacillare le basi della democrazia, significa interrogarsi, con spirito critico, sui tragici circoli viziosi, politici e sociali, che hanno portato un sistema sociale al collasso. Per scoprire, poi, con lampante chiarezza che l’unica salvezza risiede proprio nella causa del male stesso: e siamo noi. Solo investendo sul “capitale sociale”, ovvero su un tessuto di regole e di impegno civile, potremo garantirci uno sviluppo reale e duraturo.
Partendo dal sintomo, l’inefficienza delle istituzioni politiche e il loro scarso rendimento, Putnam risale a ritroso la storia culturale e politica italiana, per individuare eziologicamente le cause del fallimento e prescrivere, con fare paternale, la terapia.
Le mie spiegazioni del rendimento politico ed economico delle istituzioni italiane sottolineano l’importanza del tessuto e delle regole civili – ciò che definisco civicness, talvolta tradotto in italiano con senso civico. Sebben questa traduzione sia ragionevole, alcuni commentatori italiani hanno erroneamente ricavato che la mia argomentazione attribuisse il ritardo del Sud all’immoralità personale, a difetti caratteriali o perfino ( e questo è anche peggio) a una sorta di inferiorità razziale. Questa interpretazione è completamente sbagliata. Il Sud è in ritardo non perché i suoi cittadini siano malvagi, ma perché essi sono intrappolati in una struttura sociale e in una cultura politica che rende difficile e addirittura irrazionale la cooperazione e la solidarietà. Anche un individuo che sia dotato di molto “senso civico” (higly civic), se viene posto in una società “priva di senso civico” (uncivic), è destinato a comportarsi in modo non cooperativo, a violare il codice stradale, ad agire con egoismo e diffidenza, fino a delinquere. Un’efficace riforma politica nel Sud avrà sicuramente una dimensione morale, ma deve aver di mira innanzitutto la trasformazione della società, la sostituzione dei legami verticali di sfruttamento e di dipendenza con quelli orizzontali di reciproco aiuto, collaborazione e fiducia.
Putnam ha compreso quale sia l’unica via d’uscita, la sola possibile, perché il Sud spezzi le catene della propria arretratezza economica e culturale. Sa che la responsabilità secolare della condizione di inferiorità del Meridione è politica, rea di un circolo vizioso che afferma essere controvertibile.
La mia diagnosi implica che le precedenti politiche di sviluppo delle regioni meno dotate di “senso civico” sono state mal indirizzate, indipendentemente da quanto fossero buone le intenzioni. Politiche pubbliche migliori devono costruire non soltanto il capitale fisico – le famosi “cattedrali nel deserto” – ma anche il “capitale sociale”, cioè un tessuto e delle regole di impegno civile. Finora ci si interrogava solamente sulla possibilità di costruire un’acciaieria, mentre la domanda più importante che ci si deve porre è: come facciamo a costruire un tessuto sociale che possa far da supporto alla cooperazione e alla fiducia reciproca? Il denaro è necessario, ma non sufficiente per l’autentico sviluppo del Sud.
L’ultimo secolo trascorso ci ha insegnato che se non si compiono sforzi speciali per rinforzare il tessuto della collaborazione civile, i trasferimenti finanziari possono solamente rinsaldare i legami clientelari. D’altro canto, una rinascita civile del Sud che sorga dalle iniziative della comunità di base e che incoraggi la reciproca solidarietà, la fiducia e l’ampia e attiva partecipazione dei cittadini richiederà, giustificherà e meriterà la generosa assistenza finanziaria delle regioni più ricche. Solo un tale movimento di ricostruzione civile potrebbe infine rovesciare i tragici circoli viziosi del passato e far presagire una nuova era di sviluppo e democrazia.
Come si spiega, però, che alcuni governi democratici falliscono, mentre altri hanno successo? In che modo le istituzioni formali incidono sulla pratica politica e sul modo di governare? In che misura il rendimento e la performance, politica e morale, dipendono dal contesto sociale, culturale ed economico in cui operano? A queste domande Putnam risponde, spiegando l’interscambio reciproco, in un triangolo indissolubile, tra istituzioni, politica e cittadini. Le prime sono influenzate dalla seconda, e insieme da tutti noi. La politica, e con sé le istituzioni che regge, è inefficiente, inefficace, e spesso immorale, perché noi siamo tali. In essa ci rispecchiamo, non potendo esigere altro.
La qualità della democrazia dipende dalla qualità morale dei cittadini. Perché, allora, le Regioni del Nord sono più efficienti di quelle del Sud? Sarebbe a dire che gli italiani del Nord sono civili e quelli del Meridione barbari e incivili? No, niente affatto, spiega Robert Putnam. Non è diversa la qualità individuale dei singoli cittadini, bensì il tessuto sociale e culturale in cui le individualità si coagulano e si incontrano. O si scontrano. Insomma, è un problema, per dirla con le parole dell’autore, di coscienza civica, che racchiude in sé un sistema coeso e consolidato di solidarietà, fiducia e tolleranza.
Una componente fondamentale del progresso globale di una comunità è l’impegno civico. Il diritto di cittadinanza, ovvero di far e sentirsi parte di un tutto, in una comunità civica si acquisisce partecipando attivamente alla vita comune. Secondo Michael Walzer, il grado di civiltà di una comunità lo si misura con il livello di interesse per le questioni riguardanti la vita pubblica e la partecipazione ai problemi della comunità. Un uomo che profonde un sano impegno civico contribuisce a creare una società civile e civica. Nessuno dimentica che l’individuo umano persegue il proprio interesse personale. Ai cittadini di una comunità civica non viene chiesto di essere altruisti. Tuttavia, costoro perseguono quello che Tocqueville definì “l’interesse personale propriamente inteso”: ossia un interesse personale valutato nel contesto di un più globale interesse pubblico. Un interesse non miope, ma aperto al bene comune.
La strategia del successo è quella di costruire un tessuto sociale di fratellanza, fatta di cittadini uguali tra loro e attivi: dotati di virtù civiche e civili, che si aiutino l’un l’altro, si rispettino reciprocamente e rispettino le regole. Devono essere pervasi – fin nelle ossa, dice Putnam – dal senso della legalità, dalla cultura del rispetto delle regole di convivenza. Senza, sarebbero solo bruti. Dal punto di vista pratico, diventare comunità civica significa incentivare le reti di associazionismo, la vita sociale e aggregativa. Finanche i partiti, se radicati e attivi sul territorio.
È una spirale perversa in cui si è avvitato il nostro Paese. Il Nord è più efficiente e progredito perché lì hanno avuto capacità di svilupparsi “rapporti di orizzontalità, regole di reciprocità, associazioni, cooperative, sindacati, contribuendo a sviluppare livelli di rendimento civile e istituzionale più alti che al Sud, dove le relazioni sociopolitiche sono ancora strutturato in modo verticale. Qui, non cittadini che esigono rispetto di diritti, ma questuanti in cerca di concessioni”.
Tutto questo incide sulle istituzioni politiche e sull’amministrazione. Se il terreno è fertile, denso di valori e tradizioni civiche, le istituzioni funzioneranno meglio. Altrimenti, non riusciranno a svolgere la loro azione collettiva, ma finiranno per alimentare solo un circolo clientelare. Il contesto sociale e la storia condizionano profondamente l’efficienza e il rendimento delle istituzioni, afferma lapidario Putnam.
Per questi, l’amministrazione e la politica è efficiente se sono i cittadini, in primis, a richiedere servizi pubblici più efficienti e condotte esemplari, pronti ad agire collettivamente per raggiungere i loro obiettivi comuni. Nelle regioni del Sud, i cittadini smettono di pretendere, accettando il ruolo alienante del questuante.
Perché la politica torni morale ed efficiente deve cambiare il tessuto e la qualità dei cittadini. Le riforme istituzionali sono un primo passo verso una catena di cambiamento. Incidendo e innovando la politica, finiscono per produrre effetti positivi nel tessuto sociale.
Non si cambia in pochi anni. Non si inverte una tendenza secolare di depressione e soffocamento, come quella perpretata dalla classe politica nelle regioni meridionali.
Coloro che sono interessati alla democrazia e allo sviluppo del Sud dovrebbero certamente darsi da fare per costruire una comunità più civica all’interno della società, ma dovrebbero pensare in termini di tempi lunghi. Fu Vera Zamagni, studiosa dell’economia del Mezzogiorno, la prima ad incoraggiare la trasformazione delle strutture locali piuttosto che attendere iniziative nazionali.
Insomma, l’unica arma di il Sud dispone, perché celebri la propria rivoluzione culturale e politica, unica chanche di sviluppo e progresso, è il Sud stesso. Sono i cittadini. Siamo noi cittadini. Costruire il capitale sociale necessario non sarà facile – conclude Putnam – ma è la sola chiave che porta alla democrazia.
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