Si è concluso ieri il congresso nazionale di Magistratura democratica (Md) che ha visto l’elezione del consiglio nazionale con un importante risultato per Anna Canepa, che dalla poltrona di vice presidente dell’Anm potrebbe tra qualche settimana spostarsi a quella di segretario della corrente. Durante i lavori sarebbe parlato prevalentemente di magistrati candidati (e dunque prevalentemente di Ingroia), riforma della giustizia, rapporto con la politica. Almeno è quanto si legge sui comunicati stampa di Md.
Ma al di là delle elezioni e degli annunci, cosa serpeggiava durante il congresso della più nota anche se non più grande corrente interna alla magistratura italiana? Quali argomenti dividevano gli esponenti più o meno conosciuti di Md, dall’ex segretario Anm Cascini al suo successore Carbone? Questa volta Berlusconi non c’entra.
Per Magistratura democratica «si tratta del secondo congresso triste», come ammette a Linkiesta un giudice lombardo che ha preso parte all’assemblea delle cosiddette «toghe rosse».
Il precedente mesto si era consumato alla fine del 2010, quando Magistratura democratica si era radunata per leccare le ferite dopo la cocente sconfitta subita alle elezioni del consiglio superiore della magistratura, che avevano visto l’ennesima affermazione dei magistrati moderati nell’arco di pochi anni.
Lo shock dovuto al crollo di consensi era stato esplicitato con franchezza dall’allora segretaria nazionale, Rita Sanlorenzo (oggi componente del Csm, ndr), che aveva detto: «La scelta di anticipare il nostro congresso è maturata all’indomani di una innegabile sconfitta di Magistratura democratica, con la perdita di un rappresentante su quattro, e l’ulteriore riduzione della nostra componente, risultato questo che replica quello di quattro anni fa. Non solo una perdita, inequivocabile, ma la conferma di un trend, a cui occorre da subito apportare efficaci rimedi, pena l’ulteriore riduzione della nostra rappresentanza destinata di questo passo all’irrilevanza, o poco più».
Sanlorenzo rivendicava orgogliosamente la collocazione propria e della sua corrente a sinistra: «All’incapacità di opporsi al dilagare di questo progetto culturale (l’offensiva berlusconiana sul fronte giustizia, ndr) si deve riconnettere gran parte della crisi della sinistra italiana, perdente e divisa».
Al congresso prendevano la parola “mostri sacri” di Magistratura democratica come il procuratore capo di Firenze, Bruno Deidda, e l’ex presidente Anm Bruti Liberati che tentavano, ciascuno secondo le proprie sensibilità, di scuotere la dirigenza e la base di Md.
Il bilancio del congresso appena concluso è, se possibile, ancora più deludente. Gli «efficaci rimedi» invocati da Sanlorenzo non sono mai stati applicati o non hanno dato i frutti sperati. Md non è riuscita ad invertire il trend. Anzi. Nel 2011 ha clamorosamente perso le elezioni del consiglio giudiziario di Milano, una sua tradizionale roccaforte dove era riuscita non a caso ad imporre sia il procuratore capo, Bruti Liberati, che il presidente della corte d’appello di Milano, quando il candidato centrista Alfonso Marra, a seguito del clamore suscitato dall’inchiesta sulla P4, aveva dovuto cedere il passo a Roberto Rordorf. In particolare i seggi di Md sono passati da 8 a 5, quelli di Magistratura indipendente (Mi, la corrente moderata guidata da Cosimo Maria Ferri) da 1 a 4, mentre Unità per la Costituzione (la corrente centrista tuttora prima nei consensi a livello nazionale) aveva confermato 5 posti.
Negli ultimi dodici mesi, se possibile, la situazione è persino peggiorata. Magistratura democratica, come denunciano nei loro interventi i suoi dirigenti, è un’associazione sempre più «vecchia» e incapace di accattivare la simpatia dei colleghi più giovani. Le elezioni locali dei consigli giudiziari hanno segnato poi un’avanzata di Magistratura indipendente, una tenuta di Unicost e un generale arretramento di Md con episodi più clamorosi come quello della Liguria. E se Bruti Liberati nel congresso di due anni e mezzo fa suggeriva di non esagerare con il carico ideologico, che è sempre stato un tratto culturale distintivo di questo gruppo associativo, tra i delegati serpeggiava non poco «malcontento» e «disagio» legati ad uno scandalo taciuto e tacitato ma comunque noto alla quasi totalità degli ottomila togati italiani.
È infatti piuttosto recente la mail con la quale un esponente ben noto di Md all’interno del consiglio superiore della magistratura, Francesco Vigorito (componente della prima e presidente della settima commissione del Csm), ammetteva candidamente che nelle nomine per gli incarichi direttivi a pesare erano non tanto le qualità, l’esperienza, il curriculum dei candidati, ma la loro appartenenza correntizia. È bastato un click e la diffusione del ragionamento di Vigorito alle mailing list interne alla categoria, per infrangere di colpo il mito del rigore di Magistratura democratica. Un gruppo che, a leggere gli atti delle «toghe rosse», sarebbe sempre più “vecchio” per mancanza di giovani e nuove adesioni.
Ma cosa ha scritto Vigorito? «Miei cari, ho il dubbio che qualche “pressione interna” ci ha indotto a non valutare compiutamente la nostra proposta per il presidente del tribunale di sorveglianza di Salerno proponendo la collega Della Pietra e non il collega Donatiello». Vigorito ammette che nella scelta di Salerno qualcosa è andato storto: «Donatiello è passato da me (come era passata la Della Pietra) e ho avuto l’impressione di una persona seria. Mi ha espresso con garbo inusitato la sua delusione per il fatto che il suo pluriennale lavoro nel settore sia stato immotivatamente svalutato». Da qui la conclusione: «Forse è più opportuno politicamente piazzare una giovane collega napoletana di Area (il “cartello” che riunisce dentro al Csm le correnti di sinistra di Md e Movimento per la giustizia, ndr) ad un posto direttivo, sia pur di rilievo minore. Ma spero che non si faccia un’ingiustizia troppo grossa». Apriti cielo. Magistratura indipendente, seguita da colleghi appartenenti da altri gruppi associativi, ha iniziato a cannoneggiare su Md e sull’idea di una doppia morale ma, anche senza l’offensiva dei togati moderati, l’ammissione apertis verbis di criteri che mettono in secondo piano i percorsi professionali ha duramente scosso gli appartenenti a Magistratura democratica, finendo col far diventare un termine tabù – lottizzazione – l’argomento protagonista, sussurrato, accennato, ma mai dichiarato, del XIX congresso nazionale di Md.
Un’ipoteca pesante se si pensa che alla fine di quest’anno inizieranno le grandi manovre per il rinnovo del Csm.