Leggere sul giornale della Fiat, La Stampa, l’apprezzamento di Beppe Grillo per aver «realizzato una sollevazione di massa contro le élite», fa davvero impressione. Ricorda antichi e mai fugati incubi diciannovisti. Non sarà per caso tornata a essere La Bugiarda? Invece no. Dice il vero. O meglio esprime perfettamente la collocazione delle élite nostrane rispetto alla crisi italiana, quella politica, questa volta, che fa da pendant a quella economica. Effetto bandwagon, corsa sul carro del vincitore? Opportunismo? Eppure, una volta la Fiat si proclamava “sempre governativa”.
Nel novembre 2011 Mario Monti era il salvatore della patria. Il 20 dicembre 2012 aveva ricevuto il viatico politico da John Elkann e Sergio Marchionne, niente meno che nella fabbrica di Melfi. Adesso è il grande perdente, l’uomo dai mille errori, sembra di leggere la novella di Jorge Luis Borges sull’eroe e sul traditore.
Certo, Monti di sbagli ne ha commessi molti e sarebbe troppo lungo elencarli. Ma avevamo l’impressione che cercasse di interpretare l’aspirazione della classe dirigente economica, della borghesia, di farsi anche classe dirigente politica. Un desiderio intermittente nella storia d’Italia, finito sempre in cocente delusione. Come adesso con Monti, e non solo.
Luca di Montezemolo per anni (fin da quando era presidente della Confindustria) ha manifestato la voglia di entrare nell’agone. Dopo mille tentennamenti, stava per farlo direttamente. Poi si è ritratto e ha “prestato” a Monti la sua organizzazione. Infine, quando si è cominciato a vedere che non bastava per vincere, è tornato a occuparsi della Ferrari che, del resto, gli dà un sacco di grattacapi.
Una variante sia pure in tono minore è stato anche Fermare il declino. Sponsorizzato da Emma Marcegaglia, ricco di cervelli da premi Nobel, innervato dalle idee di un think tank italiano tra gli unici conosciuti all’estero come l’Istituto Bruno Leoni, tempio liberale e liberista, ha avuto poche centinaia di migliaia di voti. Certo, hanno influito le infantili bugie di Oscar Giannino rivelate in extremis dal “pentito” Luigi Zingales. Ma non basta. Troppo pochi sono i consensi raccolti, inversamente proporzionali a quelli mediatici.
Dunque, ancora una volta, l’Italia rinnega i lumi di una borghesia che vuol portarla su un percorso cosmopolita, di razionalità economica, di compatibilità tra bisogni e risorse, tra desideri e realtà. Esattamente come accadde con Gino Olivetti e il suo Partito liberale economico. Il direttore generale della Confindustria voleva “un governo di competenti” e predicava il rinnovamente della classe dirigente. L’operazione venne pilotata direttamente da Giovanni Agnelli. Finito sotto il tiro del Popolo d’Italia di Benito Mussolini, alle elezioni del novembre 1919 prese solo una manciata di seggi.
Come mai succede sempre così? Ci sono spiegazioni antropologiche (l’italiano è un anarchico individualista che rifiuta di essere governato), culturali (l’inveterato anticapitalismo), storiche (la debolezza dello spirito nazionale), politologiche (la crisi dei partiti di massa). Lo storico Carlo Galli parla di “élite riluttanti” che a cicli alterni, dall’Unità in poi, hanno provato a far politica direttamente poi si sono ritratte. La Destra storica è il primo esempio, Monti il tardo epigono, l’ultima vittima di questa maledizione.
Certo colpisce che, appena superata l’emergenza del 2011, persino la Confindustria abbia preso le distanze fino a schierarsi addirittura all’opposizione. Pesano le troppe tasse che hanno stroncato molte piccole imprese. Non c’è dubbio. Tuttavia, il governo Monti ha riformato in modo radicale le pensioni (come chiedevano gli industriali) e ha messo mano al mercato del lavoro.
Tutte le spiegazioni “alte” colgono una parte di verità. Ma forse alla “borghesia riluttante” bisogna aggiungere anche quella riflessione che Antonio Gramsci maturò mestamente in galera: cioè “il sovversivismo dall’alto”, una brama perversa che spinge chi è al vertice del sistema a ripudiarlo, cavalcando le ondate anti-istituzionali, le tentazioni anti-democratiche persino. È la tara intrinseca della borghesia italiana.
Il quartier generale bombarda se stesso, per una pulsione masochista che nasce dall’eccesso di particolarismo, dalla eterna tentazione di trarre vantaggio personale a scapito dell’interesse generale. Hai voglia a predicare l’esigenza di fare sistema se il sistema si suicida. E così, scendendo baldanzosi in piazza contro la sovranità violata, ci faremo salvare ancora una volta da un papa straniero. Ma straniero davvero, con il passaporto tedesco o, come sempre da oltre un secolo, americano.