Per anni Banca Monte dei Paschi di Siena ha custodito «un errore» da circa 700 milioni di euro nei suoi bilanci. Dal 2009, di sicuro. Plausibilmente, anche dal 2008, anno del crac Lehman che fece crollare il valore delle attività finanziarie. Le operazioni Santorini e Alexandria, a cui è riferibile gran parte dell’errore, preesistevano infatti alla ristrutturazione realizzata rispettivamente con Deutsche Bank (dicembre 2008) e con Nomura (31 luglio 2009).
La recente informativa della banca senese riporta che «gli errori individuati ammontano, alla data di insorgenza, rispettivamente ad Euro 308 milioni ed Euro 429 milioni». Alla firma dei nuovi contratti, in sostanza, Mps contraeva dei debiti con l’obiettivo di spalmare nel tempo perdite già esistenti e implicite nei titoli Alexandria e Santorini pre-ristrutturazione.
La quantificazione dell’errore contabile è però avvenuta solo lo scorso 6 febbraio. Nove mesi dopo l’insediamento del consiglio di amministrazione subentrato alla gestione Mussari, eletto il 27 aprile 2012 dall’assemblea. La stessa che ha approvato il bilancio 2011. E tredici mesi dopo l’arrivo, il 12 gennaio 2012, del nuovo direttore generale Fabrizio Viola, poi promosso amministratore delegato. A marzo, invece, esce l’allora capo dell’area finanza Gian Luca Baldassari, sostituito due mesi dopo da Sergio Vicinanza, mentre il nuovo direttore finanziario, Bernardo Mingrone, arriva a giugno 2012. Al ricambio manageriale sfugge Daniele Bigi, capo dell’area amministrazione e bilancio e soprattutto dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, una funzione delicata, a cui la legge che l’informativa data al mercato corrisponde «alle risultanze documentali, ai libri e alle scritture contabili».
L’individuazione degli errori è stata resa possibile dal «ritrovamento di un accordo relativo all’operazione Alexandria (“mandate agreement”), dal quale emerge il legame fra la ristrutturazione del titolo Alexandria avvenuta nel 2009 e il valore finanziario per Nomura delle operazioni eseguite nello stesso frangente», ha detto la banca. Le «complesse analisi poste in essere» sono state estese poi a Santorini «a fronte delle analogie strutturali con Alexandria».
Per tale presunto occultamento questa mattina è stato fermato l’ex capo dell’area finanza Gian Luca Baldassari. La Procura di Siena gli contesta «il concorso nel delitto di ostacolo alle funzioni di vigilanza della Banca d’Italia in relazione all’occultamento di un contratto [il mandate agreement su Alexandria, ndr], rinvenuto il 10 ottobre 2012, all’interno di una cassaforte dell’istituto di credito senese, relativo a una rilevante operazione finanziaria di Banca Mps avvenuta nel 2009». In prima battuta sembra dunque che la disponibilità del mandate agreement dell’operazione Alexandria fosse indispensabile per valutare correttamente le operazioni.
Perché tutto questo tempo per ritrovare un documento conservato nella cassaforte dell’ufficio dell’ex direttore Antonio Vigni? Il 9 maggio 2012 c’era stata un’imponente perquisizione presso Rocca Salimbeni, la sede di Mps. Il contratto occulto, o ritenuto tale, spunterà solo più tardi. Ufficialmente viene ritrovato da Viola e da suoi collaboratori il 10 ottobre 2012 e comunicato alla Banca d’Italia cinque giorno dopo. Passano altri 30 giorni, e il 14 novembre il cda approva la terza trimestrale: non ci sono riferimenti alle due operazioni e alla revisione del portafoglio finanziario. Un primo cenno arriva il 28 novembre 2012. La banca annuncia che chiederà 3,9 miliardi di euro di Monti bond: 500 milioni in più del previsto. La scelta è motivata «dai possibili impatti patrimoniali derivanti dagli esiti dell’analisi in corso di talune operazioni strutturate». Sono gli stessi 500 milioni in virtù dei quali il 22 gennaio 2013, di fronte alle notizie di stampa su Alexandria, la banca si dichiara «in condizioni di assorbire, dal punto di vista patrimoniale, le conseguenze delle scelte finanziarie, contabili e gestionali relative alle operazioni in oggetto».
Non solo. A fine giugno 2012 la Banca d’Italia aveva previsto che Mps potesse avere bisogno di 500 milioni in più di aiuti statali. «Tenuto conto delle incertezze circa l’esito delle azioni in corso di realizzazione», Via Nazionale aveva chiesto al Tesoro che «lo strumento legislativo» – cioè i Monti bond – fosse aumentato da 3,4 a 3,9 miliardi di euro. Coincidenza o preveggenza? La stessa Banca d’Italia, al termine dell’ispezione 2010 (v. verbale) aveva rilevato peraltro che l’operazione Santorini aveva un valore di mercato negativo (fair value) di 265 milioni. Si poteva, dunque, arrivare prima alla verità, o quanto meno a una corretta valutazione di Alexandria e di Santorini?
«Evidentemente è un calcolo che si poteva fare anche allora – ha ammesso Mingrone nel corso di una recente teleconferenza con analisti e stampa – Perché non sia stato fatto è meno importante, basti sapere che sono operazioni abbastanza complesse che possono anche prestarsi a interpretazioni diverse, fatte alla luce di situazioni diverse o, nel caso di Alexandria, di contratti che non erano stati esaminati». Il sospetto, comunque, era nell’aria. Anzi, era stato messo per iscritto nel carteggio fra autorità di vigilanza: da un lato la Consob, responsabile della trasparenza e correttezza dei comportamenti e della correttezza delle informazioni date al mercato, dall’altro la Banca d’Italia, deputata a vigilare sulla stabilità del sistema creditizio.
Secondo quanto dichiarato, infatti, dal presidente della Consob Giuseppe Vegas, in un’intervista al Messaggero (v.), «il 6 giugno 2012 ricevemmo una nota [della Banca d’Italia] nella quale si riportava che con la controparte Nomura il Monte dei Paschi aveva posto in essere nello stesso periodo la ristrutturazione dell’investimento Alexandria e la successiva operazione in Btp». Il 25 giugno, poi, vennero chieste informazioni sull’acquisto di Btp, legati all’operazione con Nomura. Così, mentre fra gennaio e giugno 2012 la Fondazione Mps collocava pacchetti consistenti di azioni e rinegoziava i debiti con le banche creditrici, nulla trapelava al mercato. Né nei conti semestrali approvati il 28 agosto né nella terza trimestrale 2012. Per quali ragioni? La domanda per ora non trova risposte. Ma vale la pena di approfondire il ruolo giocato dalla Consob.
Un esposto anonimo arrivato alla Consob 18 mesi fa accendeva una luce sinistra su Mps. È sempre il presidente della Consob a rivelarlo: «Il 2 agosto 2011 (…) un esposto anonimo segnalava strane transazioni con soggetti esterni all’istituto… Si trattava – racconta Vegas – di transazioni per un totale di 3 miliardi di titoli di Stato poste in essere dalla banca con una sola controparte, vale a dire Nomura». Vennero avviati accertamenti «attraverso rischieste di informazioni dirette alla banca, che però ci tacque sempre la connessione esistente fra l’operazione Alexandria e il successivo investimento in Btp».
La Consob continuò a indagare senza cavarne nulla. Eppure l’esposto anonimo era piuttoso circostanziato (v. articolo di Report). Oltre a denunciare quella che sarebbe stata chiamata poi come “la banda del 5%”, ossia i funzionari di Mps che lucravano sulle transazioni mobiliari della banca, indicava le perdite nascoste nel bilancio 2008, i protagonisti degli affari con Nomura e i referenti nelle altre banche d’affari, e dava indicazioni su come scovare le prove (telefonate registrate, come poi sono emerse, email). Vegas non fece ricorso ai poteri che la legge sul risparmio, voluta dall’allora ministro Giulio Tremonti, gli affida, anche se – è lui stesso a dirlo – c’era un «forte sospetto di reticenza». La Consob è l’unica fra le autorità di vigilanza, infatti, a disporre di poteri simili a quelli dell’autorità giudiziaria. Poteri che comprendono anche la possibilità di procedere a perquisizioni e accedere all’anagrafe bancaria e tributaria e richiedere registrazioni telefoniche (come per esempio, quella attinente la negoziazione Mps-Nomura su Alexandria).
Vegas, invece, si limitò a un balletto di carteggi con Mps («quasi subito») e con la Banca d’Italia (da novembre 2011). Senza mai arrivare al dunque. Furono – secondo quello che racconta – Viola e il presidente dell’istituto senese, Alessandro Profumo, a informarlo del “contratto occulto”. Il 25 ottobre 2012. Anche in tale circostanza, però, la Consob non si scompone: anzi lascia che la terza trimestrale, pubblicata il 14 novembre, non dica nulla né su Alexandria né su Santorini.
Il paradosso è che vengono messi in campo quattro squadre (mercati, intermediari, informativa, corporate governance) tranne l’unica, l’Ufficio analisi quantitative, che avrebbe potuto calcolare il valore delle due operazioni in questione. Nessuno fra gli uffici attivati dal direttore generale Gaetano Caputi ha ritenuto di coinvolgere i “quants”, come vengono gli esperti in metodi quantitativi per la finanza. Per quale stravagante motivo? Il presidente della Consob ritiene che l’ufficio debba essere usato «a fini statistici», e lo ha depotenziato. In base ai regolamenti organizzativi vigenti fino all’estate scorsa, l’ufficio analisi quantitative aveva però il compito di fornire «supporto delle attività istituzionali della Consob in coordinamento con le unità organizzative interessate, funzionali ad effettuare una vigilanza risk-based» ed era alle dirette dipendenze della direzione generale. Diversamente, senza cioè analisi quantitative e quindi misurazione dei rischi, non si vede come Vegas possa pretendere di «verificare la correttezza dell’appostamento in bilancio» di Alexandria e Santorini, come di qualsiasi altro derivato o operazione strutturata. Il risultato è che a dire una parola definitiva su queste operazioni, anziché la Consob, è stata una società di consulenza chiamata dal Monte dei Paschi, la Eidos Partners, che ha tra i suoi esponenti di spicco un ex banchiere della Lehman Brothers. Cioè la banca d’investimento che, dopo il crac del 2008, in Europa è stata assorbita dalla Nomura.
Twitter: @lorenzodilena