Se c’è un articolo che ha fatto infuriare la Commissione Europea, e in particolare i servizi del responsabile del Mercato Interno, Michel Barnier, è quello del Financial Times da Davos, di qualche giorno fa, che titolava: «Bruxelles ammorbidisce la linea sulla separazione delle attività bancarie». Il riferimento è ad alcune delle proposte avanzate alcuni mesi fa in un rapporto realizzato su richiesta Ue da un gruppo di alto livello guidato dal governatore della banca centrale finlandese Erkki Liikanen. E, in particolare, alla questione cruciale della separazione tra attività di banca commerciale (con i conti correnti e i prestiti a famiglie e imprese), cui dovrebbe esser vietata qualsiasi attività speculativa, soprattutto attraverso il cosiddetto proprietary trading (e cioè operazioni che implichino il capitale proprio della banca), e quella invece di banca d’investimento.
Liikanen, in un discorso a Bruxelles lo scorso 31 gennaio, ha ricordato che non si spinge fino alle idee della cosiddetta Volcker Rule Usa, con una separazione societaria, ma ritiene comunque fondamentale almeno la separazione gestionale: la stessa banca può svolgere entrambe le attività, ma deve separare nettamente i comparti – in modo che, se quello responsabile per l’investment banking si imbarca in operazioni rischiose a colpi di derivati, non mette in pericolo il comparto che invece si occupa di correntisti e imprese, e soprattutto non attinge ai depositi di clienti per finanziarsi. Separare le attività, è il ragionamento, rende più facile anche, in caso di problemi, liquidare la parte travolta dalle speculazioni sbagliate salvando quella invece dedita a correntisti e imprese.
Le lobby bancarie stanno facendo fuoco e fiamme contro questa ipotesi, Michel Barnier è sotto un’immensa pressione. «Conosco molto bene queste reticenze – ha spiegato lo stesso commissario a chi scrive – conosco le campagne che sono state orchestrate, ma non ci impressionano. Non si tornerà al “business as usual”. Certamente, a volte ci sono argomentazioni giuste che vanno ascoltate, quando per esempio si fa notare che alcune misure, se mal calibrate, possono avere delle conseguenze negative. La Commissione, tuttavia, non ha la memoria corta: quello che ha distrutto la crescita economica è la crisi bancaria e finanziaria quattro anni fa».
Il problema è però che Barnier esita proprio sul fronte della divisione, se non altro gestionale, che pure appare cruciale (il dissesto del Monte dei Paschi è stato provocato anche dalla commistione di rischiose attività speculative con capitale proprio con la normale attività di banca commerciale). Proprio il rapporto Liikanen, ci dice lo stesso commissario, «mi spinge a fare una attenta valutazione dell’impatto economico di ogni opzione sulla diversità delle banche. Del resto, diciamolo francamente, non è scontato che solo un tipo di banche sia rischioso, e altri meno: ad avere problemi sono state banche d’investimento, banche commerciali, banche universali. Dobbiamo essere seri e non improvvisare». Peccato che invece Liikanen, che certamente non è uomo da «improvvisare», dia un giudizio molto tranchant sull’esigenza di questa separazione. Fonti della Commissione ci dicono senza mezzi termini: «ottenere un testo Ue con una simile separazione è estremamente difficile, sia dal punto di vista politico, sia dal punto di vista economico».
Mentre Barnier esita, due Stati membri dell’Ue – Gran Bretagna e Germania – si stanno muovendo proprio sulla linea della separazione. Questo mercoledì il governo di Berlino presenta una severa normativa che, secondo indiscrezioni, prevede la possibilità che il regolatore possa imporre la divisione delle attività di deposito da quelle di investimento nel caso che siano coinvolti nell’attività di proprietary trading più del 20% degli asset dell’istituto o più di 100 miliardi di euro. Interessate sarebbero una decina di grandi banche tedesche. La normativa prevede anche sanzioni detentive per i manager che ignorino rischi e trascinino il proprio istituto al fallimento.
Quanto ai britannici, il governo ha già presentato una bozza di legge che prevede la separazione del commercial banking da quello di investimento – nonostante le fortissime pressione delle lobby bancarie della City.
La posizione di Barnier, certo, non è facile. Il commissario vorrebbe completare l’unione bancaria entro fine anno, ma è un cammino ancora lungo e faticoso. Deve essere ancora trovato l’accordo tra stati – che poi dovrà approvare il Parlamento Europeo – sulla normativa proposta dalla Commissione lo scorso anno sulla risoluzione delle crisi bancarie, con il cosiddetto bail in, e cioè il coinvolgimento di azionisti e detentori di bond nell’eventuale salvataggio di una banca in crisi, e l’eventuale smembramento, il tutto per preservare i contribuenti da ulteriori nuovi costosissimi salvataggi.
A giugno-luglio Barnier proporrà anche un’autorità Ue di risoluzione, ma non è chiaro quanto la cosa piacerà ai governi. Come ancora non c’è intesa finale sulla proposta di direttiva per l’armonizzazione dei fondi nazionali a tutela dei depositi dei correntisti (Barnier ha dovuto rinunciare alla sua idea iniziale di un fondo comune Ue). Ed è ancora in fase di faticosissimo negoziato la cosiddetta direttiva Crd IV sui requisiti di capitale per le banche, in ottemperanza all’accordo di Basilea III. «Si va avanti in modo millimetrico» dicono fonti della Commissione. A Bruxelles giurano che l’accordo alla fine arriverà, e c’è da sperarlo: senza la direttiva Crd IV, non potrà entrare in funzione il nuovo sistema di vigilanza unica Ue, previsto per il primo marzo 2014.
Su tutto, un’ombra nera di cui nessuno vuol parlare apertamente: lo scandalo Mps e il ruolo della Banca d’Italia cominciano a lambire Mario Draghi, presidente di quella Bce che avrà il ruolo chiave proprio nella vigilanza unica Ue. A Bruxelles tutti pregano che Bankitalia riuscirà davvero a dimostrare di non aver alcuna colpa. Altrimenti, apriti cielo.