«Ho visto cose che voi umane non potete immaginare». Prendiamo in prestito questa frase da Blade Runner per commentare le affermazioni bizzarre fatte da alcuni esponenti della Consob, in merito al tema, ritornato d’attualità a seguito dei recenti scandali finanziari, della rilevanza di un approccio probabilistico per il calcolo dei rischi e del valore equo (cosiddetto fair value) dei derivati ai fini di una informazione finanziaria completa e trasparente (e soprattutto comprensibile).
Eppure la Consob è stata l’autorità che con a capo il lungimirante Luigi Spaventa introdusse per la prima volta gli scenari probabilistici oltre dieci anni fa, e con Cardia presidente (mentre Tommaso Padoa Schioppa era ministro dell’Economia e Draghi governatore della Banca d’Italia) era quasi riuscita ad inserirli nella regolamentazione dei derivati degli enti locali, poi bloccata da Tremonti alla caduta del governo Prodi.
I rischi della finanza strutturata devono essere resi trasparenti per gli investitori e nella redazione dei bilanci delle società quotate, e ciò può essere agevolmente fatto utilizzando le distribuzioni di probabilità.
In questo contesto le eccentriche affermazioni fatte da alcuni esperti e, ciò che è più grave, dagli stessi regolatori, sono da un lato non condivisibili e dall’altro fuorvianti. Prima di elencare queste bizzarre affermazioni è necessario richiamare, perdonate il modo tranchant, alcuni concetti fondamentali di teoria finanziaria.
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Il prezzo di un derivato o di un prodotto strutturato negoziato sul mercato è basato sull’attualizzazione della media di future possibili determinazioni del valore di tale titolo e quindi sulla base di una distribuzione di probabilità.
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Il calcolo del prezzo di un derivato da esporre nel bilancio sociale, sulla base dei principi contabili internazionali, viene effettuato utilizzando metodi quantitativi che includono quindi l’uso di probabilità.
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Le banche e, in generale, gli operatori finanziari calcolano i prezzi e misurano i rischi associati alle varie strategie utilizzando le distribuzioni di probabilità.
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Le disposizioni comunitarie in merito ai requisiti patrimoniali che gli operatori finanziari devono avere prevedono che i rischi delle varie attività finanziarie si stimino con approcci probabilistici.
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Il legislatore è talmente consapevole che investire in strumenti finanziari implichi una qualche forma di scommessa che ha dovuto prevedere nell’art. 23 del Tuf (Testo unico della finanza) l’esplicita esclusione dell’applicazione delle norme del codice civile in materia (eccezione di gioco).
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Se investire nella finanza strutturata ha quindi degli elementi di similarità con una scommessa (in quanto la diversità di disciplina è giustificata solo dai ‘motivi’ della scommessa) diviene fondamentale fornire a chi investe tutte le informazioni necessarie. Ad esempio quando giochiamo con i dadi la prima cosa da sapere è se i dadi siano o meno truccati (quindi se hanno sei facce diverse equiprobabili) e quanti sono (uno, due o più dadi). In questo modo essendo abituati a ragionare in termini di probabilità dell’uscita di uno dei 6 numeri, siamo in grado di capire che la probabilità di avere come risultato atteso del tiraggio uno dei numeri da 1 a 6 è pari ad un sesto. L’informazione sulle probabilità del risultato non viene percepita come una previsione, è un dato necessario affinché l’individuo decida se scommettere o meno e calcolare quindi il rischio insito (probabilità di vincita/perdita).
Dopo tale premessa possiamo richiamare le affermazioni di esponenti Consob apparse sui media in margine al nuovo, prevedibile, scandalo della finanza italiana sempre più impelagata nel problema derivati.
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Gli scenari di probabilità sono imprecisi perché fanno confronti con il Btp che prima era privo di rischio ed oggi non lo è più .
Cosa c’entra il titolo di Stato Btp con gli scenari probabilistici? Il prezzo di un prodotto strutturato è la media di una distribuzione di probabilità che in estrema sintesi riepiloga le probabilità di riavere il proprio investimento e di guadagnare o perdere con una certa entità. Il prezzo così calcolato è un valore che non può fornire indicazioni sul rischio associato alle possibili evoluzioni dell’investimento nel tempo. Potremmo avere 10 prodotti strutturati, tutti con lo stesso prezzo, che però sono caratterizzati da rischi completamente diversi . Proviamo a riportare un esempio, consideriamo 5 diversi prodotti tutti con prezzo iniziale pari a €100 e tutti con durata 3 anni. Il prezzo, pari a €100 di ciascuno strumento è stato ottenuto sulla base della distribuzione di probabilità implicita associata a ciascuno di essi, come riportato nello schema seguente.
Prodotto | Probabilità di perdere (A) | Perdita media attesa (B) | Probabilità di guadagnare (C) | Guadagno medio atteso (D) | Prezzo {(A)x[100+(B)]+ +(C)x[100+(D)]} |
XX | 50% | -40 = (60-100) | 50% | +40 = (140-100) | 100 |
YY | 50% | -10 = (90-100) | 50% | +10 = (110-100) | 100 |
ZZ | 80% | -20 = (80-100) | 20% | +80 = (180-100) | 100 |
VV | 20% | -80 = (20-100) | 80% | +20 = (120-100) | 100 |
WW | 75% | -60 = (40-100) | 25% | +180 = (280-100) | 100 |
Il prodotto XX alla fine dei tre anni può valere €60 generando una perdita media di €40 nel 50% dei casi mentre può valere €140 generando un guadagno medio di €40 nell’altro 50% dei casi. Il prezzo risulta quindi €100 =[0,5*€(100-40)+0,5*€(100+40)] . Il prodotto YY nel 50% dei casi può avere una perdita media di €10 e nel 50% un guadagno medio di €10. Il suo prezzo risulta ancora €100 ma è sicuramente meno rischioso (guadagno medio atteso = perdita media attesa di soli €10). Il prodotto ZZ invece nell’80% dei casi presenta una perdita media di €20 e nel 20% un guadagno medio di €80, il prezzo risulta ancora pari a €100 ma è evidente che nella maggior parte dei casi (8 volte su 10) si rischia di perdere €20 e solo in 2 casi su 10 si possono guadagnare €80; in modo analogo possono interpretarsi le informazioni per i prodotti VV e WW riportate nello schema.
La Consob nel 2009, grazie all’Ufficio Analisi Quantitative (v. Quaderno di finanza n. 63), al fine di fornire una proposta per la regolamentazione, ha chiesto che l’intermediario finanziario, o la banca o l’impresa di assicurazione, presentasse all’investitore la distribuzione di probabilità che era associata al prezzo di ciascun prodotto finanziario, attraverso una sua illustrazione mediante 4 specifici eventi (e non solo due come nella esemplificazione riportata sopra): i) rendimento negativo, ii) rendimento positivo ma inferiore al rendimento del conto corrente, iii) rendimento positivo in linea con il conto corrente, iv) positivo ma superiore al conto corrente. Per tali eventi, come fatto sopra in tabella si fornisce la probabilità ed il corrispondente valore medio atteso dell’investimento.
Si badi bene, però, che tale confronto non altera la distribuzione di probabilità originaria che l’intermediario ha calcolato per ottenere il prezzo e conoscerne i rischi; è solo un modo per aumentare le informazioni a disposizione dell’investitore che invece di avere due eventi come nella nostra tabella esemplificativa dove si distingue solo tra risultati positivi e negativi in questo caso riceve un’informazione arricchita relativamente ai risultati positivi che vengono infatti suddivisi in tre sottoeventi. In generale per i tecnici il rendimento del conto corrente è rappresentato nel tempo dalla struttura dei tassi overnight.
Nel documento tecnico della Consob si evidenzia come sia fondamentale che la distribuzione di probabilità usata debba essere quella adottata dalla banca o operatore finanziario per caricare e “riskiare” quell’operazione sui suoi libri contabili. Ciò garantisce la piena simmetria informativa tra soggetto offerente ed investitore acquirente.
2) Le probabilità forniscono all’investitore delle ingannevoli indicazioni di certezza
Come fa una probabilità ad essere un’indicazione di certezza? Se riflettiamo non sono poi molte le certezze di cui disponiamo (è certo che un sasso lanciato per aria ricadrà; che domani la terra avrà compiuto un altro giro intorno al suo asse e il sole “sorgerà” di nuovo etc. ).
Vi sono invece molti fenomeni in cui è proprio l’incertezza l’elemento essenziale: le scommesse ed i sorteggi sono uno di questi e in situazioni del genere, la matematica si propone di sostituire alle vaghe descrizioni qualitative “poco probabile”, “molto probabile”, “quasi certo”, “quasi impossibile” e simili, una più precisa misura quantitativa della probabilità dei vari eventi (per chi non è convinto basta che si legga il godibilissimo Blackjack Club. La vera storia dei sei studenti che hanno sbancato Las Vegas, saggio di Ben Mezrich, edito da Mondadori, in cui i proprietari dei casinò arrivano a commettere reati pur di impedire agli scommettitori di raccogliere informazioni idonee a sviluppare un modello probabilistico).
Nel caso di una scommessa bisogna fornire le regole del gioco perché il gioco sia corretto e non truccato. Le informazioni devono essere complete. Attualmente l’informazione fornita sui prospetti informativi dei vari prodotti finanziari è incompleta se non addirittura ingannevole, là dove fornisce indicazioni sul comportamento dello strumento con il cosiddetto what if: se il mercato sale, o se il mercato scende, senza fornire l’effettiva misura di quanto il primo o il secondo caso siano probabili. È come se nel caso del lancio del dado si dica: se esce 3 guadagni 3 volte la posta e se esce 6 guadagni 6 volte la posta. E allora? Se non so quanti sono i dadi e se sono o meno truccati che ci faccio con questa informazione?
3) L’introduzione degli scenari di probabilità è contro le disposizioni comunitarie
Fino ad ora non sono stati pubblicati documenti che vietino l’inserimento di informazioni di natura probabilistica nella documentazione d’offerta agli investitori né che vietino l’utilizzo di questi approcci a supporto della redazione dei bilanci. Anzi in un documento regolamentare dell’Autorità portoghese relativo alla vendita di finanza strutturata al retail è previsto proprio l’approccio probabilistico, peraltro con modalità assai più puntuali e prescrittive di quanto previsto nel documento di consultazione della Consob di luglio 2009 (mai emanato). Il principio contabile internazionale Ias 39 prescrive l’adozione del criterio del fair value (derivato dall’uso di un modello probabilistico di valutazione) per la rappresentazione in bilancio degli strumenti finanziari.
Forse ci vorrebbe un po’ di coraggio in più e svolgere a pieno i propri doveri istituzionali di tutela del pubblico risparmio. (v. La Consob smetta di usare l’Europa come alibi per non tutelare i risparmiatori).
4) L’introduzione degli scenari di probabilità genererebbe fughe di capitali
È noto ai più che il nostro risparmio ma anche l’erogazione di servizi pubblici (ricordiamo che gli enti locali hanno perso e perdono risorse a causa dell’operatività in derivati) sono state colpite dalla vendita di finanza strutturata fuori controllo. Quindi al più il ragionamento è l’opposto. Una presa di posizione netta della Consob sugli scenari di probabilità obbligherebbe a rendere trasparenti i rischi di queste operazioni. E come Akerlov e Stiglitz ci insegnano con la teoria dei limoni, la trasparenza dei rischi renderebbe immediatamente fuori mercato i prodotti peggiori e alzerebbe la qualità dell’offerta.
5) I derivati sono come il fumo. E quindi non ha senso mettere le probabilità delle malattie che possono generare. La finanza tossica va vietata
Nel caso del fumo gli Stati puntano ad annullarne il consumo perché attualmente non esiste un fumo che fa bene. Si cerca quindi di eliminare i derivati? Sappiamo che i derivati contribuiscono ad un efficiente funzionamento del sistema finanziario e non si può pensare ad una loro eliminazione tout-court senza penalizzare la gestione dei rischi e della. Un esempio può chiarire: come fa una banca a prestare denaro a 10 anni se non si copre dai rischi tramite un derivato, nel caso di specie un interest rate swap? Ancora come fa un’impresa europea che vende i suoi prodotti in USA e quindi riceve dollari a coprirsi dalle oscillazioni dei cambi senza un derivato, nel caso di specie un currency swap? (si veda al riguardo il discorso del Governatore BdI ad un recente incontro).
I primi contratti derivati scambiati di cui si ha traccia risalgono all’antico Egitto; addirittura gli studiosi americani collocano la prima operazione in derivati nella Bibbia, e più precisamente nella Genesi dove è narrata l’opzione di Giacobbe avente ad oggetto il diritto di sposare la cugina Rachele. Rimanendo comunque nel presente, i derivati sono evidentemente alla base del funzionamento di un sistema finanziario moderno, consentono di coprirsi dai rischi ma anche di mettere a disposizione degli operatori nuove opportunità di diversificazione dei loro portafogli o di speculare sui valori presi a riferimento o su grandezze a essi direttamente o indirettamente correlate. Ciò che occorre fare è fornire una corretta misura del rischio sotteso dallo specifico contratto derivato in modo che eliminando l’opacità si riesca ad individuare quei contratti derivati eccessivamente o meglio sarebbe dire inutilmente rischiosi e quindi tossici.
Un po’ come il nucleo di antisofisticazione delle forze di polizia individua il prodotto alimentare avariato dopo averne analizzato chimicamente il contenuto allo stesso modo la Consob solo dopo averne analizzato probabilisticamente i rischi potrà concludere che il prodotto finanziario è tossico.
6) Bisogna verificare la veridicità degli scenari esaminando ciò che poi succede a quell’investimento
Si parla di scenari proprio perché descrivono eventi “possibili”, che senso ha chiedere che siano veri! Gli scenari vengono utilizzati per rappresentare i possibili risultati della scommessa o gioco, non forniscono previsioni. Ciò che succede al termine della scommessa non qualifica in alcun modo il significato degli scenari. Ad esempio nel caso di un solo dado non truccato la probabilità che al primo lancio esca il numero 3 è uguale ad 1/6, la probabilità che al secondo lancio esca di nuovo 3 è ancora 1/6. I due risultati sono sicuramente indipendenti. Il fatto che per due volte di seguito sia uscito lo stesso numero non può fornire in alcun modo informazioni diverse sulla correttezza del gioco.
7) Ciò che conta è misurare la propensione al rischio degli investitori
Ha senso misurare, e individuare la propensione al rischio degli investitori solo dopo aver misurato la rischiosità del prodotto (v. “La funzione di utilità della Consob”). Nella teoria dell’intermediazione finanziaria si parla di “know your product” e “know your customer” (non a caso principi basilari della Mifid). Non si parla solo di “know your customer” come dicono alcuni esponenti della Consob. Inoltre, risulta poco credibile pensare di conoscere tutte le caratteristiche finanziarie e patrimoniali dei vari clienti e peraltro, come emerge dai vari studi effettuati dalla GFK Eurisko, in Italia negli investimenti prevale il “fai da te”. Diventa allora fondamentale fornire le informazioni chiave relative all’investimento offerto mediante prospetti trasparenti di una pagina utili a compiere scelte di investimento informate e cioè indicando gli scenari probabilistici in grado di illustrare le probabilità di riavere il proprio investimento e di guadagnare o perdere e con quale entità.
8) È importante comprendere se le probabilità sono correttamente comprese dagli investitori
Questa affermazione è la più eccentrica di tutte. Quando su un alimento si riporta che il contributo nutritivo è pari a “X” Kcal e di tali calorie l’80% è rappresentato dai grassi, non ci si preoccupa del fatto che il consumatore non sappia comprendere cosa questo significhi. Ci si aspetta che un individuo diabetico o con problemi di ipertensione si guardi bene dal consumare un tale alimento. Lo stesso può dirsi dell’investitore. Ciascun investitore sceglierà l’investimento XX o ZZ dell’esempio riportato nella tabella iniziale in base alla sua propensione al rischio. Per un investitore potranno essere tutti e cinque i prodotti presentati investimenti ammissibili, mentre un altro investitore considererà accettabile solo l’investimento YY. A conferma di quanto gli investitori siano a loro agio con le probabilità si ricorda che a Gennaio 2012 il Corriere della Sera effettuò un sondaggio che metteva a confronto due modi di rappresentare il rischio, il metodo what if ed il metodo degli scenari probabilistici. A fronte di 1001 risposte avute oltre il 90% ha scelto il metodo degli scenari probabilistici.
E sul fatto che il cervello umano si sia evoluto per comprendere la realtà in termini probabilistici si suggerisce la splendida lettura dell’articolo di Carlo Rovelli uscito recentemente («Sì, no, anzi: probabilmente»)
9) Ciò che rileva non è il momento dell’acquisto ma ciò che succede nel durante e come quell’investimento si innesta nel portafoglio dell’investitore
Dal punto di vista quantitativo il momento dell’acquisto di un titolo, anche laddove inserito in un portafoglio, è determinante in quanto le sue caratteristiche di rischiosità influenzeranno i comportamenti successivi dell’investitore. Ad esempio, un titolo che vincola l’investitore su un orizzonte temporale ampio e richiede rilevanti costi per il suo disinvestimento anticipato non solo può essere problematico di per sé ma potrebbe anche contaminare con le sue caratteristiche pericolose il portafoglio. Sempre ripercorrendo l’esempio alimentare sopra riportato se una persona osserva tutto il giorno una dieta equilibrata e prima di coricarsi assume un alimento che presenta un contributo calorico pari al triplo di quanto ha assunto nell’arco di una giornata tenderà obtorto collo ad ingrassare. È quindi nel momento dell’acquisto che l’investitore ha bisogno di conoscere le caratteristiche dell’investimento attraverso l’analisi della sua distribuzione di probabilità. Se viene compiuto un errore in questa fase perché non vengono fornite queste informazioni diviene irrilevante la circostanza che questo investimento sia parte di un portafoglio.
10) Bisogna far si che l’intermediario operi in una logica per cui non si offre solo la vendita ma diviene obbligatorio fornire la consulenza
Su questo aspetto si innestano anche considerazioni sulle norme comunitarie e sul divieto di goldplating [sovrapposizione di un’eccessiva regolamentazione nazionale alle norme comunitarie, ndr], che consentono di concludere questo articolo con una serie di domande aperte. Quello che finora nessuno sembra aver notato è che la singolare diligenza della Consob rispetto alle questioni dell’armonizzazione massima e del divieto di goldplating si applichino solo quando si parla di scenari di probabilità e non in altri casi.
Possiamo parlare di diligenza “selettiva” quando si tratta di rispettare il dettato delle norme comunitarie. La Consob ha deciso sin dal 2009 (con la Comunicazione 9019104) di portare avanti una propria, “personale”, crociata in favore della consulenza sempre e comunque. Il ragionamento è semplice: tutti i servizi di investimento implicano in misura più o meno accentuata un ruolo consulenziale dell’intermediario per cui qualsiasi sia il servizio prestato è opportuno che l’intermediario nel fornirlo applichi le regole di adeguatezza che sono previste per la consulenza.
Al di là della fondatezza o meno di questa inferenza, quello che è evidente è che sostenendo questa posizione la Consob va oltre la direttiva comunitaria di riferimento (MiFiD), che prevede in capo all’intermediario le valutazioni di adeguatezza solo per la consulenza (e la gestione di portafogli) e impone regole di comportamento meno stringenti per la prestazione degli altri servizi. È chiaro che l’interpretazione “personale” della Consob non è “armonizzata” con quella della UE e che, implicando per alcuni servizi oneri più gravosi di quelli previsti dal legislatore comunitario, l’Autorità italiana sta verosimilmente facendo goldplating.
Le domande sono tante. Perché nessuno ne parla? Perché la Consob non si preoccupa di questa interpretazione estensiva del servizio di consulenza? Perché nessun intermediario se ne lamenta? Sarà forse perché la consulenza sempre e comunque, l’adeguatezza sempre e comunque sono una seccatura che in fondo la banca può accettare se in cambio la Consob fa fuori gli scenari di probabilità? Oppure un modo per incamerare altre commissioni e cioè quella della consulenza non indipendente per non dire in conflitto di interessi che la banca offre solo e soltanto sui suoi prodotti? Non si aspira qui a rispondere a questi interrogativi ma certo il dubbio è che gli scenari siano invisi perché fanno vedere all’investitore le cose come stanno mentre l’adeguatezza no, perché le sue maglie sono talmente larghe (e la sua discrezionalità applicativa pure) da consentire all’intermediario, consulente o no che sia, di mescolare le carte e salvare le apparenze di una piena compliance quando in realtà le sue scelte sono spesso (o forse sempre) in conflitto con il cliente. Ma di questo nessuno si occupa.
*Rita Laura D’Ecclesia
Professore ordinario di metodi quantitativi per le applicazioni economiche e finanziarie, Università di Roma La Sapienza. Docente di Asset Pricing, Birkbeck University of London
*Ugo Patroni Griffi
Professore Ordinario di Diritto Commerciale, Università degli Studi di Bari. Docente di diritto commerciale europeo, LUISS Guido Carli, Roma