Indagare sulla Banca d’Italia è sempre stato complicato. Da lì, da Einaudi a Ciampi, il paese ha attinto come riserva di classe dirigente. Negli anni più recenti ricordiamo la vicenda Fazio e quella dei furbetti che portarono alle dimissioni del governatore. Ma appunto si entra nel santuario solo se è proprio inevitabile. E, va detto, non è così solo da noi: basta ricordare la vicenda Credit Lyonnais che coinvolse l’allora governatore della Banca di Francia Jean Claude Trichet. A questo proposito c’è una pagina di Mani Pulite che vale la pena riprendere in questi giorni. Ne scrive Massimo Mucchetti in Confiteor, il libro intervista a Cesare Geronzi:
MM: Nel 1993 interrogato dal pm Antonio Di Pietro, un consigliere socialista dell’Enel degli ultimi anni ottanta, Valerio Bitetto, accennò all’uso delle notizie riservate sui cambi che nell’ente si faceva allo scopo di costituire tesoretti da girare ai partiti. L’Enel periodicamente acquistava rilevanti quantità di dollari e ogni volta il cambio si muoveva leggermente al rialzo. Chi lo sapeva in anticipo poteva acquistare i dollari nei giorni di stanca e venderli nel giorno del rialzino con la certezza di guadagnare. Nel giro, rivelò l’ingegner Bitetto al magistrato, erano coinvolte la Comit, la Banca d’Italia, Mediobanca e lo studio legale Graziadei di Roma
CG: Mi perdonerà se non conosco le dichiarazioni di Bitetto. In astratto tutto è possibile, ma la Banca d’Italia è sempre rimasta al di sopra di ogni aspetto avendo sempre avuto grande cura e rigore nella scelta delle persone deputate a questi incarichi e nei meccanismi di comunicazione interna
MM: Le dichiarazioni di Bitetto non vennero approfondite dai magistrati milanesi che perseguirono altre modalità di finanziamento illegale dei partiti, più facili da provare e, a mio avviso, meno delicate dal punto di vista dei poteri veri. Ma Bitetto, le cui parole vennero riprese dall’Espresso, non fu mai querelato
CG: Non posso che prendere atto di quel che dice lei di cu si assume la responsabilità. Ma qui stiamo ricordando come funzionava l’ufficio cambi della Banca d’Italia negli anni settanta. Come le ho detto, di ogni giornata esiste un resoconto controllabile. Una volta il Governatore Paolo Baffi, che aveva preso il posto di Carli nel 1975, capitò nel mio ufficio nei minuti precedenti il fixing. Si sedette sulla poltrona davanti alla scrivania e mi fece cenno di continuare pure la telefonata. Al termine, avendo inteso che parlavo con il responsabile finanziario di un grande gruppo, mi riprese: «Le nostre controparti sono le banche, non le aziende». Gli feci vedere il foglio con le richieste in entrata e in uscita delle banche e dei grandi gruppi e i relativi saldi. La traccia, insomma, di tutti i movimenti della giornata, che portavano alla decisione che stavo per prendere. Era l’unico modo per monitorare il mercato reale. Baffi capì che non doveva essere in quell’ufficio in quell’ora. Non aggiunse altro e uscì.
MM: Non sono sicuro di capire
CG: Eppure è facile. Il Governatore Baffi o un altro non importa, dà la disposizione, quasi sempre orale; l’ufficio esegue; il risultato arriva alla fine della giornata nell’interazione con i soggetti di mercato. Se tutto va bene, nessun problema. Se va male, la colpa è del ragionier Geronzi, come mi chiamava Andreatta. L’istituzione come tale resta fuori. Perché l’istituzione non sia coinvolta deve sempre poter disporre di una precisa individuazione di responsabilità
MM: Detto in parole povere, deve sempre poter disporre di uno straccio da far volare via quando serva a chiudere un problema
CG: Sono proprio parole povere, ma insomma…A ciascuno tocca la responsabilità connessa ai propri compiti.
[Nell’aprile 1993 Carlo Azeglio Ciampi lascia la carica di Governatore della Banca d’Italia e assume la presidenza del Consiglio dei ministri, carica che conserverà sino al 1994. A maggio, il suo posto in via Nazionale viene preso da Antonio Fazio]
(da Confiteor, Massimo Mucchetti intervista Cesare Geronzi, Potere, banche e affari. La storia mai raccontata, Feltrinelli, pag. 72-73)