Quando Küng diceva: “E’ stato un pontificato di opportunità mancate”

Quando Küng diceva: “E’ stato un pontificato di opportunità mancate”

Pubblichiamo l’intervista che Hans Küng ha rilasciato al Guardian pochi mesi fa, il 5 ottobre 2012. Nel 1979 la Congregazione per la dottrina della fede gli ha revocato la missio canonica (l’autorizzazione all’insegnamento della teologia cattolica), ma Küng continua a sostenere le sue idee di revisione delle istituzioni ecclesiastiche e dei dogmi della Chiesa anche nel recente libro Salviamo la Chiesa, pubblicato da Rizzoli nel 2011

Hans Küng: fa appello ai preti e ai fedeli praticanti affinché si oppongano alla gerarchia cattolica. Uno dei più autorevoli teologi cattolici ha invitato alla rivoluzione dal basso per destabilizzare il papato e dare vita in Vaticano a riforme radicali. Hans Küng fa appello ai preti e ai fedeli praticanti affinché si oppongano alla gerarchia cattolica, che definisce corrotta, senza credibilità e lontana dai veri problemi del popolo.

In una intervista esclusiva al The Guardian, Küng, che è stato a stretto contatto con il papa quando collaboravano da giovani teologi, ha descritto la chiesa come un «sistema autoritario» paragonandolo alla dittatura tedesca durante il nazismo. «L’obbedienza incondizionata richiesta ai vescovi che giurano fedeltà al papa mediante la sacra promessa è tanto estrema quanto quella dei generali tedeschi che erano obbligati a giurare fedeltà a Hitler», ha affermato.

Il Vaticano ha inteso schiacciare qualsiasi forma di dissenso, ha aggiunto. «Le regole per la scelta dei vescovi sono talmente rigide che, non appena qualcuno accenna alla pillola contraccettiva, all’ordinazione delle donne, viene depennato». Il risultato è una schiera di “Yes men”, quasi tutti allineati senza porre questioni. «La sola strada per la riforma è partire dal basso», dice il prete ottantaquattrenne Küng. «I preti e gli altri chierici che occupano funzioni di responsabilità devono smetterla di essere servili, di organizzarsi per affermare che certi argomenti semplicemente non si toccano».

Küng, autore di circa 30 libri su teologia cattolica, cristianesimo, etica, che hanno venduto milioni di copie in tutto il mondo, ha dichiarato che l’ispirazione per un cambiamento globale può arrivare dalla sua nativa Svizzera o dall’Austria, dove centinaia di preti cattolici hanno dato vita a movimenti che si oppongono apertamente alle attuali pratiche del Vaticano. I dissenzienti sono definiti pionieri anche da osservatori vaticani che li vedono come i probabili portatori di un profondo scisma nella chiesa.

«Ho sempre detto che se nella diocesi un prete si desta, non conta nulla. Cinque creano agitazione. Cinquanta già sono praticamente invincibili. In Austria la cifra supera le 300 unità, fino anche a 400; in Svizzera ci sono 150 preti dissenzienti, e il numero è destinato a salire». Ha dichiarato che i recenti tentativi dell’arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, di stroncare la rivolta minacciando di punire quelli coinvolti nella iniziativa austriaca sono falliti per via della forza delle loro motivazioni. «Si è immediatamente fermato quando ha capito che molta gente comune li sostiene e sarebbe stato pericoloso inimicarsela», ha aggiunto Küng .

Le iniziative mirano a sostenere richieste apparentemente banali come lasciare che i divorziati risposati ricevano la comunione, permettere ai laici di presiedere le liturgie e alle donne di acquisire ruoli chiave nella gerarchia. Tuttavia, poiché essi si oppongono all’insegnamento cattolico tradizionale, le richieste sono state categoricamente respinte dal Vaticano. Küng, al quale è stato negato l’insegnamento della teologia cattolica da Giovanni Paolo II nel 1979 per aver messo in dubbio il concetto di infallibilità papale, è stato colui che ha riconosciuto all’allora Joseph Ratzinger il primo step nella gerarchia del cattolicesimo accademico quando lo ha chiamato all’Università di Tubinga, nel nord-ovest della Germania, ad insegnare teologia dogmatica nel 1966.

Per quattro anni i due hanno lavorato a stretto contatto, in qualità di giovani consiglieri, negli anni ’60 durante il Concilio Vaticano II – l’evento riformatore più importante nella chiesa a partire dal Medioevo. Ma il rapporto tra i due non è mai andato oltre, anche a causa delle divergenze politiche che creavano un divario incolmabile tra loro. L’impetuoso e passionale Hans Küng, per molti versi, ha spesso rubato la scena al serio e posato Joseph Ratzinger.
Küng fa riferimento alle leggende che abbondano sul conto suo e di Ratzinger fin dai giorni di Tubinga, non ultimi i racconti apocrifi di quando avrebbe dato un passaggio sulla sua “macchina rossa sportiva” ad un Ratzinger lasciato a piedi dalla bici.

«Gli davo sempre un passaggio, specie su per le ripide colline di Tubinga, ma il resto è stato creato. Non ho mai avuto auto sportive, a parte un’Alfa Giulia. Lo stesso Ratzinger ha ammesso di non essere interessato alla tecnologia né tanto meno aveva conseguito una patente di guida. Ma tutto questo è stato spesso tramutato in una specie di metafora idealizzando il “ciclista” contro lo scapestrato “Alfista”».

Stando a Küng, infatti, l’immagine del futuro papa, modesto e prudente ciclista, ora 85enne, ha dominato per anni e ancora oggi è tutt’altro che scemata fin dall’elezione del 2005. «Ha sviluppato una speciale pomposità che non si addice all’uomo che sia io che altri avevamo conosciuto, quello che girava col baschetto in testa ed era pieno di modestia. Ora lo vediamo spesso ricoperto di vesti dorate e splendenti. Di sua sponte indossa la corona di un papa del XIX secolo e si è fatto rifare le vesti del papa Leone X Medici»

Questa pomposità si manifesta al meglio durante le udienze periodiche in Piazza S. Pietro a Roma. «Queste adunanze hanno dimensioni stile corazzata Potemkin. Gente fanatica si reca in piazza per celebrare il papa e per dirgli quanto è fantastico, mentre le loro stesse parrocchie versano in condizioni preoccupanti, con mancanza di preti, sempre più persone che si allontano rispetto a quante ne vengono battezzate e ora il cosiddetto Vatileaks, che evidenzia in che stato si trovi l’amministrazione del Vaticano», ha detto Küng con riferimento allo scandalo sui documenti segreti trapelati, che hanno rivelato lotte di potere interne al Vaticano e hanno visto l’ex maggiordomo del papa comparire in tribunale. Il processo terminerà sabato.

E’ stato proprio a Tubinga che le strade dei due teologi si sono incrociate per alcuni anni prima di divergere enormemente a seguito delle rivolte studentesche del 1968. Ratzinger rimase scioccato dagli eventi e fuggì verso la relativa sicurezza della nativa Baviera, dove ha approfondito il suo coinvolgimento nella gerarchia cattolica. Küng restò a Tubinga e assunse sempre più il ruolo dell'”enfant terrible” della Chiesa Cattolica.

«Le rivolte studentesche furono un vero e proprio shock per Ratzinger che divenne sempre più conservatore e simpatizzante della gerarchia ecclesiastica», sostiene Küng. Dopo aver definito quello di Benedetto XVI un «pontificato di opportunità mancate» in cui ha perso l’occasione di riconciliazione con le fedi protestante, ebraica, ortodossa e musulmana, così come ha mancato di sostenere la lotta all’Aids in Africa non concedendo l’utilizzo dei sistemi di controllo delle nascite, Küng sostiene che lo “scandalo più grave” sia la copertura a livello mondiale dei casi di abusi sessuali commessi dai chierici durante il suo incarico di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, come Cardinale Ratzinger.

«Il Vaticano non è diverso dal Cremlino. Come Putin in qualità di agente segreto è diventato il capo della Russia, così Ratzinger, in qualità di capo dei servizi segreti della Chiesa è diventato capo del Vaticano. Non ha mai chiesto perdono per i molti casi di abusi sessuali posti sotto secretum pontificium e non ha mai riconosciuto questo problema come il maggior disastro della Chiesa Cattolica». Küng ha descritto quello Vaticano come un processo di “Putinizzazione”.

Comunque, nonostante le differenze, i due sono rimasti in contatto. Küng ha fatto visita al papa durante le ferie estive a Castel Gandolfo nel 2005, occasione nella quale i due hanno discusso per circa quattro ore. «Sembrava che avessimo lo stesso passo. Dopotutto siamo stati colleghi per anni. Abbiamo camminato nel parco e ci sono stati momenti in cui ho pensato che potesse cambiare idea su certi punti, ma non lo fece. Da allora ci siamo scritti, ma mai più incontrati».

Küng ha viaggiato in lungo e in largo nella sua vita, familiarizzando con chiunque, dai leader iraniani a John F. Kennedy a Tony Blair, col quale ha costruito uno stetto legame circa dieci anni fa, diventando una sorta di guru spirituale per l’allora primo ministro britannico prima della sua decisione di convertirsi al cattolicesimo.

«Sono rimasto colpito dal modo con cui ha affrontato il conflitto del’Irlanda del Nord. Ma poi è arrivata la guerra in Iraq e sono rimasto colpito dal modo con cui ha collaborato con Bush. Gli ho scritto definendo il gesto un fallimento storico di prim’ordine. Mi scrisse una nota a mano in risposta, dicendo che mi ringraziava e rispettava il mio punto di vista, ma che stava agendo secondo coscienza senza voler in alcun compiacere gli americani. Ero stupito che un primo ministro britannico potesse compiere un errore tanto catastrofico e resta per me un fatto tragico». Ha descritto la conversione al cattolicesimo di Blair come un errore, sostenendo che avrebbe potuto usare il suo ruolo pubblico per rinconciliare le differenze tra gli anglicani e la Chiesa Cattolica nel Regno Unito.

Dal suo studio colmo di libri, in cui troneggia un ritratto di S. Tommaso Moro, martire cattolico inglese del XVI secolo, Küng guarda fuori nel suo giardino alla statua di due metri che lo raffigura. I critici hanno definito la cosa sintomatica del suo auto-compiacimento. Sembra imbarazzato mentre spiega come la statua sia un regalo dei vent’anni da parte dell’associazione Stiftung Weltethos (Fondazionie per l’Etica Globale) che opera da casa sua e continuerà a farlo dopo la sua morte.

Lungi dal mettere un freno alla sua prolifica produzione teologica, Küng di recente ha commutato le idee di Weltethos – che cerca di creare un codice globale di comportamento, una globalizzazione dell’etica – in un estemporaneo libretto musicale. Mischiando la narrativa con sollecitazioni dal confucianesimo, induismo, buddismo, giudaismo e cristianesimo, gli scritti di Küng sono stati inseriti in un’opera sinfonica del compositore inglese Jonathan Harvey che vivrà la sua prima londinese domenica al Southbank Centre. Küng sostiene che l’opera musicale, come la fondazione, rappresenta un tentativo di enfatizzare ciò che le religioni del mondo hanno in comune in barba a ciò che le divide.

Weltethos è stata fondata nel 1990 per unire le religioni del mondo, sottolineando le parti comuni e non le differenze. Ha istituito un codice di norme comportamentali che si spera un giorno possano essere universalmente riconosciute dalle Nazioni Unite. L’obiettivo dell’opera è certamente imponente – Harvey ha parlato di “timore reverenziale” nello scrivere una partitura per il testo. Ma Küng, che ha guadagnato il sostegno di figure importanti come Henry Kissinger, Kofi Annan, Jacques Rogge, Desmond Tutu, Mary Robinson e Shirin Ebadi, insiste nel dire che il suo scopo è carpire le esigenze dal basso. «In un tempo di cambiamenti nel paradigma mondiale, abbiamo bisogno di uno schema di principi comuni, tra questi com’è ovvio la Regola d’Oro, secondo la quale Confucio insegnò a non imporre agli altri ciò che non si augurerebbe a se stessi».

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