Re Giorgio: il comunista che ha cambiato l’Italia

Dalla giovinezza alla presidenza, un capo coraggioso in un’Italia alla deriva

C’è un signore che il prossimo 29 giugno compirà 88 anni: festeggerà poche settimane dopo aver dato l’incarico a un nuovo governo, il “suo” quarto. Ha fatto l’attore nei Guf; è diventato comunista; ha inanellato dieci legislature; si è seduto sulla poltrona di presidente della Camera durante Mani Pulite; su quella di ministro dell’Interno quando evase Licio Gelli; per due volte ha servito come deputato al Parlamento europeo; è stato nominato senatore a vita e poi eletto presidente della Repubblica. C’è chi dice addirittura che lo farà di nuovo, ma questo lo si dice quasi sempre, quando parte la corsa per la successione.

Giorgio Napolitano ha difeso la repressione sovietica a Budapest e giustificato la cacciata di Aleksandr Solženicyn dall’Urss. A decenni di distanza ha riconosciuto l’errore (il primo), parlando di «zone d’ombra» nella Resistenza italiana e condannato gli eccidi partigiani a Porzûs. Poi ha detto che il comunismo ha fallito, 56 anni dopo Arthur Koestler.

Napolitano è stato un migliorista, cioè la destra del Pci: ha garbatamente contestato a Berlinguer certa deriva nell’uso della “questione morale”, coltivato relazioni e prassi politiche più atlantiste ed europeiste di tanti suoi compagni. Nel 1994 ha sdoganato in aula Silvio Berlusconi, appena divenuto Presidente del Consiglio, parlando a nome della coalizione progressista uscita asfaltata dalle urne. Lo ha invitato a fare della seconda Repubblica il compimento delle riforme condivise iniziate nel tragico biennio ’92-’93. Ha chiuso il settennato 2006-2013 rammaricandosi del fatto che le forze politiche non fossero riuscite neppure a cambiare la legge elettorale.

Accusato di pavidità durante le folate di Tangentopoli, a vent’anni di distanza lui, si è beccato le accuse violente della sinistra giustizialista sull’intricatissima questione della presunta trattativa Stato-mafia: la stessa sinistra per la quale fino a qualche mese prima Napolitano era il baluardo ultimo contro la deriva berlusconiana.

Nel 2011 ha compiuto uno degli atti più rivoluzionari delle istituzioni italiane: dal Colle ha prima condotto per mesi la politica economica ed estera di un Paese di fatto senza governo in charge, quindi – in accordo con le cancellerie internazionali – ha portato Mario Monti a palazzo Chigi dopo averlo nominato senatore a vita, costruendogli attorno una larghissima maggioranza parlamentare con cui concludere la legislatura.

Qui si è rotto qualcosa: a fine 2012 la creatura si ribella, entra in campo, si candida, malgrado i desiderata del Colle vadano in altra direzione, forse quella di proteggere Monti e custodirgli la sedia dell’unico presidenzialismo esercitabile in Italia, quello del Quirinale. La dinamica del professore bocconiano è l’ultimo tassello dell’incredibile carriera del politico più importante d’Italia: un uomo che ha cambiato il potere italiano e da esso è stato cambiato, senza riuscire però a dare seguito istituzionale alle sue rivoluzioni. Ecco perché Giorgio Napolitano è un camaleonte incompiuto. 
 

Come si legge un ebook

*Martino Cervo (1981) è caporedattore a Libero, dove si occupa più che altro di politica. Con Mattia Ferraresi ha scritto Obama, l’irresistibile ascesa di un’illusione (Rubbettino, 2010).

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