Un metodo anti bamboccioni? La dote ai diciannovenni

Un metodo anti bamboccioni? La dote ai diciannovenni

In questa campagna elettorale, non si contano le proposte politiche – più o meno shock – volte ad aiutare le prospettive economiche e occupazionali dei giovani, dall’abbattimento del cuneo fiscale a riduzioni temporali del carico contributivo per chi assume i giovani a tempo indeterminato.

Nessuna delle proposte sembra però aggredire il problema “di petto”. Perché invece non proporre un trasferimento di denaro ai giovani adulti italiani al compimento dei 19 anni? Questo strumento faciliterebbe l’uscita da casa e l’assunzione di responsabilità rispetto al proprio futuro da parte dei giovani. Consentirebbe, inoltre, di riallocare le risorse di una società in cui gli anziani saranno sempre più numerosi.

La proposta consiste nell’assegnare a ciascun diciannovenne 26 mila euro di modo che possa impiegarlo, ad esempio, per finanziarsi gli studi, per avviare un’attività imprenditoriale o per chiedere un prestito per l’acquisto della prima casa. La spesa per questo intervento potrebbe essere finanziata con un inasprimento delle imposte di successione. (1)

Sarebbe una misura universale, ossia non commisurata al reddito della famiglia di origine del giovane, e alternativa al reddito minimo garantito. Ciascuno sarebbe libero di scegliere se impiegare questa somma in una sola volta, e nelle modalità che egli ritiene più opportune, o se tenerla per affrontare nel futuro periodi di difficoltà.

La proposta non è nuova né per l’Italia – la fece in forma diversa il Senatore Massimo Livi Bacci nel 2003 – né nel dibattito accademico e politico anglosassone. Proposte di questo tipo si differenziano di solito per aspetti importanti (l’importo, il grado di libertà nell’impiego delle risorse, le modalità di finanziamento, etc), ma sono tutte accumunate dall’idea che nel riformare il welfare si debbano studiare misure che incentivino la responsabilità individuale, e che per far questo sia meglio trasferire un’unica somma una volta nella vita piuttosto che assicurare un flusso continuo di risorse, come nel caso del reddito minimo garantito.

Se si guarda alle esperienze concrete, quella più importante, anche se non la sola, è stata sperimentata dal Governo Blair nel 2002. Il cosiddetto Child Trust Fund era un somma di 250 sterline versate annualmente a ogni nuovo nato (500 se di famiglia con redditi inferiori alle 13.000 sterline), che dovevano essere depositate in un conto speciale e messe a disposizione del giovane al diciottesimo anno di età. Come sostenne allora David Blunkett, ministro dell’educazione nel governo Blair, “disporre di una somma di denaro aiuta lo sviluppo del carattere e l’assunzione di responsabilità. Consente alle persone di pianificare il loro futuro e quello dei loro figli”.

L’intento è di aumentare la mobilità sociale, cercando di separare il destino dei giovani adulti da quello delle famiglie di provenienza, eguagliando così le opportunità di giovani che vengono da famiglie con disponibilità differenti. Questa strumento favorisce inoltre l’assunzione di responsabilità dei beneficiari rispetto al loro futuro. Se finanziato con inasprimento della tassazione sulle successioni, l’equità della proposta sarebbe garantita dal diverso contributo che verrebbe da persone che dispongono di ricchezze differenti.

Per l’Italia questa proposta sarebbe un modo per porre rimedio alla nuova emergenza distributiva, quella generazionale. La prima figura mostra che se nella prima metà degli anni ‘70 il reddito di un capo famiglia con meno di 30 anni era ben superiore a quello di un capofamiglia con più di 65 anni, e negli anni ‘80 era uguale, adesso è solo il 70%. Questo significa che in media un giovane di 30 anni ha un reddito inferiore a quello di un ultrasessantacinquenne. Questi dati riguardano gli individui che vivono da soli o che hanno formato una famiglia propria. La figura sarebbe ancor peggiore se fossero presi in considerazione tutti i giovani adulti che rimangono nella famiglia di origine per mancanza di risorse.
 

Le ragioni della storia raccontata nella figura sono sicuramente molte: la crescente scolarizzazione e il diverso ingresso nel mercato del lavoro dei giovani italiani, le distorsioni del nostro mercato del lavoro e del nostro sistema di welfare, il progressivo invecchiamento della popolazione e la scarsa crescita degli ultimi 15 anni.

Se si guarda alla distribuzione della ricchezza (Figura 2) invece che del reddito, nel 2008 la coorte di popolazione oltre i 65 anni aveva una ricchezza pari alla mediana italiana, mentre quelli con meno di 34 anni si attestavano intorno al 60% della mediana italiana. Nel 1987 chi aveva meno di 34 anni aveva una ricchezza superiore all’80% della ricchezza mediana italiana, mentre gli over 65 si attestavano intorno al 65%.
 

L’assegnazione di una dote finanziaria a ogni giovane adulto sarebbe quindi un modo per modificare un dato di fatto: oggi coloro che devono prendere decisioni cruciali per loro stessi, ma importanti per tutto il paese (quanto investire nella formazione, se creare nuove famiglie e avere figli, se avviare nuove attività imprenditoriali), lo fanno disponendo di una fetta molto ridotta di risorse rispetto a quelle dell’intera collettività, sia in termini di reddito sia di ricchezza. Non era così 30 anni fa. Vogliamo porvi rimedio?

(1) L’attuale imposta di successione ha un’aliquota effettiva di poco superiore al 2 per cento. Le aliquote legali variano dal 4 all’8 per cento, ma esistono delle franchigie che vanno da un massimo di 1 milione a beneficiario per i parenti in linea diretta a 100 mila euro per gli altri. Il costo dell’operazione a favore dei diciannovenni al 2010 è di circa 12 miliardi di euro, pari a circa un quinto della base imponibile dell’imposta di successione al 2010 (date le franchigie). Si tratterebbe di ridurre drasticamente le franchigie o di alzare drasticamente le aliquote.

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