Portineria MilanoVincenzo, la “pecora bianca” che mette nei guai il clan La Russa

Vincenzo, la "pecora bianca" che mette nei guai il clan La Russa

«La pecora bianca è diventa nera». Tra i nostalgici del Msi di Giorgio Almirante, circola questa battuta su Vincenzo La Russa, primogenito del clan di Paternò, di nuovo indagato nell’inchiesta sul crack Fonsai (dove è consigliere di amministrazione) e raggiunto giovedì dal terzo avviso di garanzia, questa volta per il reato di infedeltà patrimoniale (gli altri due sono di falso in bilancio e ostacolo all’attività di vigilanza). È l’ennesima mazzata sulla famiglia La Russa alla vigilia delle elezioni, con l’ex ministro della Difesa Ignazio preoccupato per i sondaggi elettorali in picchiata (Swg dice 1% ndr) e con il rischio concreto di restare fuori dalle stanze del potere romano e (soprattutto) lombardo.

Figlio più anziano dello storico senatore Antonino – artefice insieme con il finanziere Michelangelo Virgillito dell’entrata nel “salotto milanese” della famiglia di Salvatore Ligresti – Vincenzo, nato a Paternò nel 1938, è stato in questi anni spesso lontano dai riflettori, distante appunto dai fratelli più noti Ignazio e Romano, missini di ferro, poi aennini, quindi pidiellini, quindi Fratelli d’Italia. Quando negli ’60 e ’70 il senatore Antonino capì che gli altri due figli si divertivano di più a fare i missini in piazza San Babila, tra comizi e mazzate contro i “compagni”, scelse Vincenzo come «mente economica», perché tra i pochi in famiglia ad aver sposato politicamente la Dc di Giulio Andreotti. Era l’unico con la «capa quadrata», capace di interfacciarsi con il sistema economico/politico Dc-Psi in quegli anni. 

Per questo motivo, negli ambienti larussiani, Vincenzo è stato sempre soprannominato la «pecora bianca», anche se grande amico di un socialista storico come Massimo Pini. Studioso, silenzioso, autore di due biografie sui Dc Mario Scelba e Amintore Fanfanti, simile secondo alcuni al Don Abbondio del Manzoni, ex presidente di Sai Finanziaria, è stato deputato negli anni ’80 per la Dc e ha ricoperto incarichi di prestigio un po’ dappertutto. Dalla presidenza del collegio sindacale di Innovazione Italia Spa, fino alla vice-presidente della Sai Agricola S.p.A., pure con un piede in MM (Metropolitane Milanesi), Vincenzo La Russa è stato persino presidente dell’Istituto Italo-Cinese, fondato da Vittorino Colombo per poi cedere la presidenza a Cesare Romiti e, quella onoraria (chiaramente) a Giulio Andreotti.

In questi anni di vittorie e di potere per il clan di Paternò è stato lui a mantenere i contatti più stretti con Ligresti, quel Don Salvatore, ormai anche lui finito stritolato dalle inchieste su Fonsai. Vincenzo lo ha sempre fatto con grande silenzio, riportando alle cene di Natale e nelle ville larussiane i report sull’ingegnere. Perché c’è una regola non scritta nel giro La Russa: i fratelli fanno le vacanze sempre insieme. Ci sono la casa di Zoagli in Liguria, quella di Paternò e quella di Ragalna, alle pendici dell’Etna, piccolo comune dove nel 2002 faceva l’assessore al Turismo Daniela Santanchè. Altri tempi, altri fasti.

I nuovi accertamenti dell’indagine su Fonsai prendono spunto dalle decine di querele presentate dagli azionisti di minoranza della società, in molti casi attraverso il tramite delle associazioni di consumatori. Tra questi, il presidente dell’Adusbef, Ennio Lannutti, che nelle scorse settimane aveva incontrato i titolari dell’inchiesta e aveva invitato gli inquirenti ad «allargare lo spettro alla Consob la cui omessa vigilanza ha prodotto il dissesto. È impossibile – osserva – che nessuno dei vigilanti si fosse accorto del buco di oltre due miliardi di euro, addossato a risparmiatori, azionisti, assicurati e lavoratori».

Nel mirino dei pm Vittorio Nessi e Marco Gianoglio sono finite, in particolare, le condotte gestionali degli indagati in conflitto d’interessi con la società, che avrebbero determinato l’uscita dalle casse del Gruppo di decine di milioni di euro. Tra queste, consulenze e contratti per servizi, stipulati da Fondiaria Sai con societa’ riconducibili alla famiglia Ligresti. Sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti anche la compravendita di immobili, terreni e fabbricati, in parte di proprietà di Fonsai e in parte della famiglia Ligresti. 

E poi ci sono appunto i La Russa, con le fiduciarie Idi e Quitogest, in mano per il 34% a Laurda La Russa De Cicco, moglie di Ignazio. Del resto, la famiglia è già statatoccata l’anno scorso da un indagine su Romano, indagato per finanziamento illecito ai partiti nello scandalo Aler. Anche il genero Marco Osnato (sposato con Cristina La Russa) è rimasto invischiato in Aler, ma questo non gli ha impedito di mantenere il suo posto nel consiglio comunale di Milano. Romano è candidato in Lombardia e spera di restare in sella. Ma un po’ tutto il clan di Paternò teme lo tsunami elettorale. 

A dimostrare la preoccuazione basti citare il tentantivo di nemmeno una settimana fa in regione Lombardia di nominare Giovanni Catanzaro condirettore di Lombardia Informatica. Catanzaro, delegato dell’azienda regionale, nato a Caltanissetta, è uomo di La Russa a tutto tondo, già presente nel consiglio di amministrazione di Finmeccanica, ex presidente di Consip: fu lui a portare il call center di regione lombardia a Paternò. Il Pd lombardo lo ha stoppato, come pure il tentativo di prorogare Giorgio Papa come direttore generale di Finlombarda. Nelle ville di Paternò sono giornate difficili, anche per un “pecora bianca”. 

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