MILANO – La commozione dei seguaci di don Luigi Giussani, divisi fra quelli che manifestano dispiacere per il loro papa preferito a cui il fondatore di Comunione e liberazione era legato da un’amicizia personale, e quelli che, invece, lo lasceranno andare verso il suo ritiro con orgoglio per ciò che il loro fine teologo è riuscito a smuovere nella curia romana. La benedizione delle comunità cristiane di base, più aperte e tolleranti, che hanno fatto dell’accoglienza agli ultimi il loro credo evangelico (ed ecumenico) e ammirano anche se con qualche riserva, il vigore di papa Ratzinger, che ha cercato di dare un impulso al rilancio del pontificato. Nelle parrocchie, nelle comunità, i credenti pregano per il bene della Chiesa, ma davanti alla pubblica abdicazione di Benedetto XVI sono più smarriti e sconcertati di quanto si possa immaginare. Anche se poi, ognuno di loro ha una reazione diversa davanti alla rinunzia papale. Che viene dalle viscere o dalla testa, indipendentemente dalla comunità di appartenenza o dalla natura insondabile della propria fede.
Basta farsi un giro per le chiese più belle e significative di Milano, che ormai diventano vivaci solo durante il weekend, quando gli immigrati cattolici, circa 250 mila credenti, le riempiono con la loro fervente fede, vissuta in modo carnale, senza troppi interrogativi di natura teologica. Ogni domenica i latinoamericani, soprattutto peruviani ed ecuadoriani, si ritrovano nella Basilica di Santo Stefano Maggiore, vicino all’università Statale, per ritrovare un po’ di pace e prendersi una tregua dalle fatiche della loro immigrazione. È qui che, fra lacrime e canti, celebrano l’eucarestia, col pensiero al papa che lascia il soglio vacante. E mentre don Giacinto Quadri celebra una messa vivace in spagnolo, con severi moniti e gioiose allegorie prese dalle parabole dei Vangeli, Maria, impiegata in una società finanziaria, si commuove. Piange, dice che è stanca, ma poi confida a bassa voce che lei si è sentita abbandonata, e teme di non sopportare l’idea di quel soglio vacante.
«Il mio primo pensiero alla notizia della sua rinuncia è stato Dios mio, porqué nos abandona?»(Dio mio, perché ci abbandona?). «Un papa no se puede cansar (un papa non si può stancare) altrimenti che padre è?», esclama Juana, peruviana. Reazioni di pancia, della base dei militanti della fede, che non hanno ancora metabolizzato lo sconforto provocato dalle dimissioni del papa, che diventerà emerito, ma per loro è semplicemente come un padre di famiglia, che se ne va di casa, con spiegazioni difficili da comprendere. Loro non si soffermano sui tormenti della chiesa moderna, chiamata a risolvere molti enigmi terreni e rompicapi dogmatici. No, per loro esiste solo un grande vuoto, inconsolabile.
«No me lo creo (non ci credo), qualcosa deve essere successo. Se lui va via, se acaba el mundo, (finisce il mondo)», spiega un altro fedele peruviano mescolando italiano e spagnolo, nonostante sia immigrato in Italia dieci anni fa. E al rituale «scambiatevi un segno di pace», i fedeli si sciolgono in un abbraccio appassionato, che esorcizza pene e angosce. Personali e pastorali. La sensazione che emerge, girando per le parrocchie che ospitano i cattolici immigrati è di un profondo disaccordo con il gesto di rinunzia del papa, anche se Benedetto XVI, lo ha detto chiaramente durante il suo ultimo saluto in piazza San Pietro, alla vigilia del suo ritiro, davanti a migliaia di fedeli. «Non ritorno a una vita privata, non abbandono la croce ma resto in modo nuovo presso il Signore crocifisso».
Secondo Padre Giacinto Quadri, responsabile della Cappellania generale dei Migranti, istituita dalla diocesi più grande d’Europa, gli immigrati hanno una grande passione per gli aspetti esteriori della manifestazione della fede. «Se fosse per loro si farebbero sempre processioni, e quindi fanno fatica a comprendere il gesto del Santo Padre. Ne abbiamo parlato, ho cercato di farli riflettere, ma sono turbati, per molti di loro si tratta di uno smacco per la Chiesa».
Nella parrocchia del Sacro Volto di via Sebenico, invece, si ritrovano gli ucraini, soprattutto donne, quasi tutte badanti, che, candele in mano, accolgono l’invito alla penitenza per la quaresima con espressioni estatiche. E, interpellate, rievocano la memoria del papa che più hanno amato: Karol Wojtyla. «Lui è sopravvissuto al nazismo, al comunismo, e a una lunga malattia, e non ci ha mai lasciate sole», spiega Natasha. «Per me il ritiro di papa Ratzinger deve avere a che fare con il terzo segreto di Fatima», aggiunge un ex ingegnere, ora badante in una famiglia italiana. «Aspetto un messaggio dalla Madonna di Medjugorje che ci possa illuminare. Qualcosa sta finendo, qualcosa sta accadendo, qualcosa sta cominciando», spiega come se stesse recitando un suo mantra personale. E ancora: «Quando il papa ci ha lasciato, non riuscivo a smettere di piangere. E pregando chiedevo al Signore, Dio perché ci hai fatto questo? Lui rifiuta un dono, sono delusa», dice Svetlana, 27 anni, che in chiesa si presenta in minigonna perché poi, dopo la lunga liturgia, deve andare in discoteca. E alla fine della messa, tutti si chiudono in silenzio perché si mettono in fila, davanti al parroco, per chiedere un’ulteriore benedizione e trovare un po’ di pace.
Nella parrocchia di San Lorenzo Maggiore, ogni domenica si celebra la messa in tagallo per i filippini, che rappresentano la comunità cattolica più numerosa di Milano dopo quella latinoamericana, e si ritrovano in diverse chiese, fra cui anche quella di Santa Maria del Carmine. Giovani, adolescenti, famiglie, non fanno che cantare, prima, durante e dopo la liturgia. Loro, forse perché sperano nell’elezione del cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, sembrano essere più riflessivi, o forse solo più capaci di adeguarsi ai grandi cambiamenti. «Per me è giusto che vada via se è stanco», dice una giovane mamma in italiano stentato, mentre un’altra donna, che ha un negozio di alimentari, commenta: «Però non dovremmo dare al mondo l’idea di una Chiesa debole, tormentata». «Per me ha agito con onestà, dopo aver esaminato la sua coscienza, ha sofferto e ora porta la sua croce, è un santo», osserva contrito Loy, che canta nel coro della parrocchia. «Nella sua fragilità, ha dimostrato la sua forza. E io accetto la sua decisione col cuore, prima che con la mente», aggiunge uno studente universitario.
Ma poi se ci si rivolge ai movimenti cattolici italiani, il tono delle loro reazioni cambia. Gli aderenti, loro si chiamano così, del Rinnovamento nello Spirito Santo, il movimento ecclesiale carismatico che conta 250mila seguaci in Italia, nato sotto l’auspicio di un ritorno alla prima chiesa delle origini, si trovano ogni giorno in qualche cappella per unirsi a uno dei gruppi di preghiera. Il loro presidente, Salvatore Martinez, ha già dichiarato che la decisone del papa ha suscitato stupore, dolore e commozione. I commenti degli aderenti del gruppo di preghiera Emmaus, che si riunisce nella chiesa barnabita di Sant’ Alessandro, sono tutti ispirati ai brani della Bibbia, che aprono a caso ogni giorno per le loro preghiere. «Gesù se ne è andato a 33 anni e ha detto non vi lascio soli, arriverà il secondo consolatore, lo spirito santo. Perché mai dovremmo angosciarci dalla rinunzia del papa?», esclama il signor Luciano. «La nostra priorità è tornare alla prima chiesa, quella delle origini, pregare, stare uniti e lodare il signore, ora più che mai», spiega, più interessato a trasmettere il senso della loro preghiera o rievocare i piccoli miracoli a cui hanno assistito attraverso le loro lodi al Signore. «Noi amiamo il papa come un padre, che non abbandona la nave, anche se per un momento, ammettiamolo, ci siamo sentiti orfani», interviene la signora Concetta, impiegata.
Più riflessive, le focolarine, seguaci del movimento fondato da Chiara Lubich. Per parlare con loro bisogna andare in una delle case dove vivono in comunità, loro le chiamano focolari, ma condividono il loro credo con le famiglie, quasi tutte di ceto medio alto, che hanno aderito al movimento. Al focolare di una casa nel centro storico della Milano bene, Elisabetta, Stefania e altre sorelle di fede ragionano sulle loro reazioni emotive e riflettono su come affrontare questo momento delicato. Superato lo choc, per loro, medici, insegnanti, o casalinghe, le dimissioni del papa aprono uno spazio nuovo nella Chiesa. Di libertà e di dialogo, personale, con Dio. «La decisione del papa è stata coraggiosa, ha dimostrato l’intelligenza della sua fede, permetterà di dare slancio al risveglio e al rinnovamento spirituale», affermano. Loro, in quanto focolarine, si sentono chiamate ora più che mai a seguire il loro carisma, quello dell’unità. «Ogni mese prendiamo un brano del Vangelo da mettere in pratica», dicono. E nel mese, destinato a tracciare un solco nella storia della chiesa, il messaggio da divulgare e praticare è quello scritto dall’apostolo Giovanni rivolto alle comunità cristiane da lui fondate in un momento di grave difficoltà: «Siamo passati dalla morte alla vita perché abbiamo amato un fratello». Nessun dubbio, per loro. Smarrite sì, orfane mai.